Audizione Senato: lo schema di Decreto è illegittimo e sbagliato. Va ritirato.
Pubblichiamo la nota consegnata dalla Segreteria nazionale della Cgil Scuola nella giornata di oggi all’audizione con la Commissione Istruzione del Senato sullo schema di Decreto legislativo relativo all’attuazione della Legge 53/’03 alla scuola dell’infanzia, elementare e media.
Pubblichiamo la nota consegnata dalla Segreteria nazionale della Cgil Scuola nella giornata di oggi all’audizione con la Commissione Istruzione del Senato sullo schema di Decreto legislativo relativo all’attuazione della Legge 53/’03 alla scuola dell’infanzia, elementare e media.
Nelle prossime ore daremo un’informazione sull’andamento dell’audizione.
Nel frattempo prosegue d’intensità la raccolta di firme sotto l’appello per il ritiro dello schema di Decreto lanciato dalla nostra organizzazione.
Nella giornata di oggi è convocata la Conferenza Stato Regioni che dovrebbe pronunciarsi sul testo del Decreto rispetto al quale è possibile l’ accoglimento da parte del Governo di alcune modifiche rispetto all’
articolato approvato dal Consiglio dei Ministri.
Roma, 10 dicembre 2003
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CGIL SCUOLA
VII Commissione del Senato
Commento allo” Schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53”
Copertura finanziaria
Non si prevede, a copertura finanziaria del primo decreto di attuazione della legge 53, nessuna legge specifica di finanziamento, come è invece espressamente previsto dalla legge.
Il rispetto dei vincoli imposti dalla legge 53/03, non sono aggirabili e la CGIL scuola ne chiede il rispetto, infatti il finanziamento preventivo, che fa parte della programmazione e va quantificato, non va confuso con eventuali risparmi derivanti dai tagli di organico.
La democrazia
E’ urgente aprire una fase di consultazione degli operatori della scuola affinché il dibattito parlamentare possa avvalersi del contributo del mondo della scuola.
In questo processo, la scuola reale è stata lasciata nel più totale abbandono. I docenti non sono mai stati coinvolti in un confronto e nemmeno sono stati oggetto di mera informazione. Hanno subito invece dall’alto vari tentativi di aggirare le procedure corrette per imporre aggiornamento e finte sperimentazioni su contenuti misconosciuti e non condivisi.
Il dissenso che si espande nella scuola è il frutto anche di un tale modo di procedere, insieme all’ostilità per dei cambiamenti che intendono sovvertire gli assi culturali su cui si basa il modo di concepire la scuola pubblica.
Gli allegati
Gli allegati contengono Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati. Non si può assolutamente condividere la scelta di mettere a disposizione della scuola questi documenti in via transitoria. Tale transitorietà non è prevista dalla legge 53, che invece prevede, per quanto riguarda “l’individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio personalizzati”, appositi regolamenti.
Le Indicazioni Nazionali, non hanno al momento nessun fondamento normativo. Per averlo devono seguire l’iter indicato dalla L. 53 e dall’art.8 del D.P.R. 275/99 che prevede la consultazione delle Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.
Va inoltre rilevato che la presenza di documenti per i quali non è chiara la collocazione normativa, può determinare nelle scuole sovrapposizione di norme e disorientamento culturale che avrebbero ripercussioni negative sulla qualità organizzativa e didattica del lavoro docente.
Il docente tutor
La legge 53, a cui devono attenersi i decreti attuativi, non fa il minimo accenno all’introduzione della figura del docente tutor, né al nuovo assetto delle relazioni professionali fra docenti derivante dalla presenza di un docente con tali funzioni.
Si individua pertanto, in questa parte dello schema di decreto, un eccesso di delega che va oltre il mandato della legge stessa.
Per tutte queste ragioni la CGIL scuola chiede che il “Decreto attuativo concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione” venga ritirato.
Esso inoltre non rappresenta la cultura diffusa nella scuola, né realizza il dettato costituzionale e non fa avanzare la scuola pubblica ma la fa regredire a scuola selettiva, classista, rinunciataria.
Nel merito e nel dettaglio, le nostre osservazioni sono le seguenti.
SCUOLA DELL’INFANZIA
Il decreto distingue la scuola dell’infanzia dal primo ciclo di istruzione di cui fanno parte la scuola elementare e la scuola media.
Mettere la scuola dell’infanzia fuori dal sistema di istruzione vuol dire condannarla ad una funzione residuale che ne svilisce ruolo e funzione. Vuol dire favorirne le derive assistenziali, al di fuori di un progetto educativo che riesca davvero a promuovere lo “sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale , religioso e sociale delle bambine e dei bambini……..”
La legge, all’art.2 comma d inserisce la scuola dell’infanzia nel sistema di istruzione. Il decreto non riprende ciò che la legge esplicitamente contiene
Appare inoltre inopportuno attribuire alla scuola il compito dell’educazione morale e religiosa dei bambini senza creare un alone di spiritualità che mal si concilia con la caratteristica di scuola laica, aperta a tutte le religioni in quanto portatrice di un progetto di uguaglianza, senza distinzioni religiose. La moralità attiene poi alla sfera dei costumi culturali, la cui traduzione in valori condivisi rischia di dare luogo ad una morale di stato, se proposta come contenuto educativo.
E’ necessario infine andare oltre la pura dichiarazione di intenti quando si parla di continuità educativa, ed esplicitare gli strumenti culturali e finanziari con cui si pensa di realizzarla.
La generalizzazione
Solo un piano di finanziamenti specifici potrà dare credibilità all’affermazione che rassicura sulla generalizzazione della scuola dell’infanzia, come fece nel 2001 il governo precedente, con un piano finanziario che prevedeva, in 5 anni, l’istituzione di 2500 sezioni.
Al di fuori di atti concreti, sostanziati da risorse certe, l’affermazione è priva di significato.
L’anticipo scolastico
La grande presenza di liste d’attesa, legata alla mancata generalizzazione della scuola dell’infanzia, rende di fatto impraticabile l’avvio dell’anticipo scolastico.
Altre difficoltà sono rappresentate dall’adeguamento delle strutture alla presenza di bambini più piccoli: giochi, locali e attrezzature adeguati, diete differenziate e, non ultimo, la presenza di un maggior numero di operatori, la formazione del personale, oggi calibrata sui bisogni formativi di alunni dai tre ai sei anni di età.
Infine la inevitabile disomogeneità con cui gli Enti Locali potrebbero affrontare l’onere dell’adeguamento delle strutture rischia di provocare riflessi negativi sulla reale possibilità di garantire le pari opportunità a tutti i cittadini.
Il tempo scuola
Un tempo scuola così frammentato, con una ampia gamma di possibili scelte individuali, fra un tempo minimo di frequenza di 5 ore giornaliere e un tempo massimo di 10 ore giornaliere, rende alquanto aleatorio il progetto didattico. Da anni la scuola dell’infanzia ha organizzato il proprio progetto educativo pensandolo realizzato su di un arco temporale di otto ore. Questo è un tempo che si è visto essere ideale per la realizzazione di una giornata educativa di senso compiuto. Ciò è confermato anche da molte ricerche.
La proposta prevista nel decreto non tiene conto di ciò, infatti potrebbe accadere che molte famiglie, considerata la possibilità offerta, potrebbero chiedere il solo turno del mattino, privando i bambini di una esperienza significativa. Inoltre si potrebbe anche verificare che dopo la 5° ora, ad ogni scadenza oraria della giornata, un certo numero di bambini lasci la scuola per soddisfare le esigenze della famiglia, arrecando danni al continuum temporale, didattico, relazionale del gruppo. Come conseguenza di tutto ciò, si potrebbe verificare una concentrazione nelle ore mattutine del progetto educativo e, nei confronti dei bambini, si rischia un “accanimento cognitivo” nelle prime ore e un atteggiamento di“ badantato” nelle restanti. Tutto ciò farebbe retrocedere il livello di qualità raggiunto dalla scuola dell’infanzia italiana anche per la capacità pedagogica di organizzare la giornata educativa.
Se a tutto questo si aggiunge la possibile compresenza di bambini di due anni e mezzo, con organici ridotti, ne deriva che una scuola così concepita non serve ai bambini e alle bambine, ma parla alle famiglie che sono così indotte a intendere la scuola come un servizio a domanda individuale, consono alle loro necessità, non sempre coincidenti con gli interessi dei bambini.
I docenti: la contemporaneità, l’organico funzionale
Qualunque tipo di organizzazione didattica dovrà fare i conti con l’abolizione del doppio organico per sezione e dell’organico funzionale di circolo (norme di cui si prevede l’abolizione).
In presenza di una tale frammentazione di tempi e di piani educativi, con la personalizzazione della didattica, l’abrogazione dell’art. 104 del T.U. non si comprende.
L’art. 104 è quello che garantisce l’assegnazione del doppio insegnante per ogni sezione, una risorsa indispensabile per affrontare la frammentarietà dei tempi e della didattica con strumenti professionali e arginare il rischio di assistenzialismo.
La contemporaneità dei docenti, insieme al numero dei bambini per sezione, è una risorsa indispensabile per qualificare il progetto educativo e va esplicitamente garantita e qualificata.
Venendo meno queste risorse, la scuola dell’infanzia rischia di assomigliare più ad un luogo di passaggio, di parcheggio per tutte le singole esigenze di permanenza, che ad un luogo di incontro, di scambio relazionale e di costruzione di un ambiente educativo.
Tutto ciò si configura come un chiaro segnale di dequalificazione della scuola dell’infanzia, mirato esclusivamente al risparmio.
LA SCUOLA PRIMARIA
Le finalità
Scompare, nella nuova definizione delle finalità della scuola elementare, il riferimento ai valori della Costituzione.
Il richiamo al rispetto delle diversità individuali, contenuto nel nuovo testo proposto dallo schema di decreto, deve realizzarsi in un contesto che si da l’obiettivo di eliminare le cause di disuguaglianza sociale, altrimenti il rischio è di riprodurre disparità e differenze. Fra le finalità della scuola pubblica non può mancare il riferimento ai valori costituzionali, essi fanno della scuola pubblica una funzione dello stato, inconfondibile ed unica fra le altre agenzie educative e la galassia di scuole private.
Il tempo scuola
Nella scuola elementare è fortemente radicato un modello di scuola dai tempi distesi che trova la sua più alta espressione nel tempo pieno, modello organizzativo molto diffuso nelle realtà metropolitane del nord e che incontra un diffuso consenso fra le famiglie.
L’abrogazione dell’art. 130 del T.U., che regolamenta il tempo lungo e il tempo pieno, chiude con queste esperienze. La somma dei tre tempi, quello obbligatorio, quello opzionale e quello della mensa, ammesso che sia realizzabile, visto che i costi della mensa si scaricherebbero interamente sull’ente locale, diventerebbe solo una somma numerica di ore possibili, in cui la didattica dei tempi distesi non è riproducibile.
Sia il tempo pieno che la scuola dei moduli si avvalgono di una didattica dai tempi distesi, concepita per non imporre forzature ai ritmi di crescita dei bambini e alla loro evoluzione.
Frammentare l’attuale tempo della didattica (30 ore) in due tempi, di cui uno obbligatorio e uno opzionale, vuol dire rompere con la didattica dei tempi distesi, perché si tenderà a comprimere il tempo obbligatorio di 27 ore settimanali in orario solo antimeridiano, viste le difficoltà economiche degli enti locali a garantire un tempo mensa totalmente a loro carico.
Le attività opzionali non saranno l’estensione delle attività del mattino, ma, in totale discontinuità, potranno riguardare attività le più disparate con esperti, come anche attività di doposcuola per i deboli.
Chi sarà in grado di trarre profitto da una tale frammentazione? I più deboli rischieranno l’emarginazione e ci sarà anche chi rischierà di subire l’effetto delle aspettative dei genitori, che potrebbero fare richieste alle scuole non sempre coerenti con i reali bisogni dei figli.
E’ sicuramente meno forte e autorevole la scuola che non ha un suo progetto da proporre ma solo una serie di servizi da vendere.
I docenti
La scuola elementare è uscita dalla situazione del maestro tuttologo con l’introduzione del gruppo docente contitolare nella stessa classe. Ciò ha comportato un arricchimento di una didattica un po’ asfittica, chiusa; la collegialità, la programmazione e i tempi distesi hanno promosso maggiori opportunità per percorsi didattici arricchiti dove le contemporaneità rappresentano risorse importanti da giocarsi ai fini dell’approfondimento e del recupero.
Il docente coordinatore tutor svolgerebbe, in questa situazione, una funzione di depressione del clima che si è instaurato nella scuola elementare, clima che si regge sulla contitolarità dei docenti e sulla loro pari dignità, infatti le funzioni che gli vengono attribuite delineano una posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto agli altri, gli si attribuisce addirittura un orario frontale ridotto, in contrasto con il contratto di lavoro, e si attribuisce al Dirigente Scolastico il potere di individuarlo.
L’abrogazione dell’art. 128 del T.U. che definisce proprio la collegialità e la con titolarità dei docenti, fissa l’effettiva subordinazione degli altri docenti al docente tutor e questo sposta l’asse del funzionamento della scuola dell’autonomia, dal progetto espresso cooperativamente dai docenti, alle gerarchie che trasmettono indicazioni.
La riduzione degli organici, fino all’annullamento di tutti gli spazi di contemporaneità, l’abolizione dell’organico funzionale di circolo, non permetteranno di spendere risorse per la promozione delle pari opportunità, lasciando inalterate le condizioni di partenza degli alunni e le disuguaglianze che queste determinano.
L’anticipo scolastico
In una prospettiva di diminuzione di organici, di aumento del numero di alunni per classe, l’avvio dell’anticipo scolastico prospetta un aggravamento del problema.
In una stessa classe potrebbe esserci la compresenza di alunni con 20 mesi di differenza e questo renderebbe molto più difficoltosa la didattica, dentro un’organizzazione più rigida, priva della risorsa delle compresenze.
LA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO
Le finalità
Le finalità della scuola secondaria di I grado, in una versione nuova rispetto all’attuale, non riportano più il riferimento alla Costituzione, introducono la diversificazione didattica e metodologica, la cura della dimensione sistematica delle discipline, lo sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e alle vocazioni.
Le disuguaglianze sociali, frutto di contesti sociali ed economici diversi, non sempre favorevoli allo sviluppo dei ragazzi, determinano condizioni di partenza diverse.
Occorre adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che impediscono una reale parità di opportunità fra ragazzi diversi, per collocazione sociale e familiare.
Solo la scuola pubblica può svolgere questa funzione, in quanto svincolata da preoccupazioni di ordine economico e laica nel perseguimento dei suoi obiettivi, pertanto non selettiva sul piano sociale. La scuola è inoltre l’istituzione che, intervenendo su alunni in giovane età, può svolgere al meglio il suo ruolo di decondizionamento sociale.
E’ necessario pertanto reintrodurre il riferimento alla Costituzione nelle finalità della scuola secondaria di I grado, la forza dei suoi valori mirati all’integrazione e all’uguaglianza non possono essere sottesi o sminuiti.
Il tempo scuola
L’attuale tempo scuola viene, nello schema di decreto, completamente destrutturato per lasciare spazio ad un’offerta di istruzione che, per le sue caratteristiche, provoca una diminuzione di scuola per tutti, probabilmente compressa in un orario antimeridiano, e un’offerta formativa opzionale e facoltativa che si realizza per pochi attraverso l’uso di esterni, forse anche un doposcuola per i bisognosi complicato da una difficile gestione della mensa, resa impossibile dalle difficili condizioni economiche degli enti locali.
La riduzione del tempo scuola a 27 ore settimanali per le discipline obbligatorie, l’aumento delle discipline e delle educazioni, pongono oggettivamente il problema della riduzione oraria per le singole discipline.
La compressione dei tempi per la didattica frontale, ridotta per queste ragioni a didattica trasmissiva, la presenza di attività facoltative che sembrano mirate principalmente a coltivare talenti ed eccellenze, la frantumazione dei tempi e delle attività, sono escludenti per tutti coloro che non rientrano in quel modello di apprendimento o hanno bisogno di più tempo per giungere a risultati.
Insomma un salto all’indietro, che fa tornare la nostra scuola ad una scuola selettiva, di classe, a diverse velocità, dove si perde il valore dell’uguaglianza e della socializzazione.
Il tempo prolungato, che scompare nella forma attuale della didattica dai tempi distesi, i corsi ad indirizzo musicale, sostituiti dai laboratori per la coltivazione dei talenti, i corsi ad indirizzo linguistico, sostituiti da un tempo ridotto per la didattica delle lingue, rappresentano oggi modelli di organizzazione didattica dal carattere inclusivo che mirano all’integrazione e allo sviluppo di tutte le intelligenze avvalendosi delle risorse che i tempi distesi e un ambiente relazionale accogliente garantiscono.
A tutto questo si vuole sostituire una didattica essenziale e personalizzata, individuale, che privilegi l’apprendimento e non la formazione, dove chi ha gambe corre, chi non ne ha resterà indietro, infatti la riduzione dei docenti sottrae le risorse umane che, in teoria, garantirebbero la diversificazione e la personalizzazione. Ne deriva che ciascuno dovrà arrangiarsi con i mezzi che il destino avrà messo loro a disposizione.
I docenti
L’introduzione del docente tutor a cui sono affidati compiti di più alta responsabilità rispetto al raggiungimento delle finalità, rispetto al rapporto con le famiglie e alle loro scelte, rappresenta un oggettivo intralcio alla collegialità dei docenti; pone gli altri docenti in una posizione subordinata e induce alla deresponsabilizzazione.
Modifica inoltre l’assetto organizzativo della scuola dell’autonomia che, per essere veramente tale, non può trarre la sua forza da un’organizzazione gerarchica, verticista, autoritaria, ma deve fondarsi sulla libertà e la responsabilità dei docenti che cooperano su un piano di parità.
La continuità educativa
La caratteristica di scuola di mezzo della scuola media, rende necessario un forte raccordo con la scuola elementare, da una parte, e la scuola superiore, dall’altra.
Gli insegnanti sanno che il passaggio da un grado a un altro di scuola, comporta, soprattutto per i più deboli, uno sforzo di adattamento che rischia di tradursi in insuccesso e dispersione scolastica.
E’ per questo che i docenti hanno dato vita a diverse esperienze di continuità educativa che hanno lo scopo di introdurre i cambiamenti con gradualità, a questo proposito gli istituti comprensivi sono un contenitore ideale per sperimentare curricoli verticali.
Nel decreto attuativo non si fa menzione alcune degli istituti comprensivi, si esalta la rottura epistemologica e didattica della scuola media rispetto alla scuola elementare, si abroga l’art.119 del T.U. sulla continuità educativa fra le due scuole, pertanto appaiono mere dichiarazioni d’intenti i richiami alla continuità quando i fatti denotano una diversa intenzione.
In quanto all’obbligo di permanenza dei docenti, potrebbe costituire un utile provvedimento, peccato che la stessa cosa non debba valere per il personale precario, la cui presenza, sempre più massiccia, non può certo garantire quella stabilità di cui la scuola ha bisogno.
L’orientamento scolastico
La funzione di orientamento oggi si estende a tutta la scuola media ed è mirata alla scoperta di sé, delle proprie attitudini, della propria identità.
Caricata principalmente sul terzo anno, si riduce a forma organizzativa atta a definire la scelta del canale formativo per il percorso scolastico successivo, con il rischio di introdurre precoci canalizzazioni ancor prima del termine fissato per la scelta.
Il ruolo della famiglia
Il ruolo assegnato dal decreto alla famiglia è prevaricante rispetto alle prerogative della scuola e ne mortifica il ruolo.
Infatti la scelta dei tempi e dei percorsi didattici è intrinsecamente legato al progetto didattico educativo; attribuirli, come variabile dipendente, alle volontà delle famiglie, configura un servizio scolastico che si vende a pezzi, scarsamente significativo pertanto nel suo progetto globale.
Ne deriva pertanto che se in questo modo la scuola viene ridotta a servizio a domanda individuale, contemporaneamente l’istituzione che si sottrae ai suoi compiti e alle sue responsabilità lascia più sole le famiglie che ad essa si affidano.