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Autonomia delle scuole e Direzioni regionali

Pubblichiamo una lettera inviata al Direttore regionale del Friuli dal nostro responsabile dell'Esecutivo dei Dirigenti Scolastici della Cgil Scuola che difende con orgoglio e fondati motivazioni l'Autonomia costituzionale delle scuole italiane.

13/05/2002
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Pubblichiamo una lettera inviata al Direttore regionale del Friuli dal nostro responsabile dell'Esecutivo dei Dirigenti Scolastici della Cgil Scuola che difende con orgoglio e fondati motivazioni l'Autonomia costituzionale delle scuole italiane.

Roma, 14 maggio 2002

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Al Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale
per il Friuli – Venezia Giulia - Trieste
Recenti provvedimenti ed iniziative dell’Ufficio scolastico regionale del Friuli – Venezia Giulia sembrano mettere in discussione regole e principi dell’autonomia dell’istituzioni scolastiche. E’ importante che il passaggio da un sistema all’altro sia accompagnato da azioni coerenti, finalizzate alla piena realizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, senza nostalgie per le esaurite funzioni di supremazia gerarchica, prima esercitate da Provveditorati e Ministero, e senza tentativi di riproporle nel nuovo contesto culturale ed ordinamentale.
Ci riferiamo in modo particolare alla richiesta d’invio del programma annuale e dei piani dell’offerta formativa, con una pluralità di fini: disporre “di indicazioni relative non soltanto ad una «scheda anagrafica» delle Istituzioni Scolastiche Autonome, ma anche indicazioni relative alle modalità operative delle singole I.S.A.”, “consentire ad un certo numero di operatori della Direzione l’analisi dei materiali” e la restituzione di riflessioni, spunti e materiali “che si ritengano utili alla riprogettazione per gli anni a venire”, “fissare criteri per la ripartizione dei finanziamenti”.
Ci riferiamo anche alla vicenda dell’insegnamento della lingua, delle tradizioni e della cultura delle minoranze linguistiche storiche, a certuni interventi dei dirigenti dei Centri dei servizi amministrativi, alla pluralità di voci in materie, in cui la competenza esclusiva è dell’Ufficio scolastico regionale e non dei C.S.A., alla vicenda dei finanziamenti per le nuove tecnologie, agli indirizzi sull’insegnamento della religione cattolica.

1. Invio dei piani e dei programmi. Finanziamenti.

Molte istituzioni non hanno ancora apprestato il programma annuale delle risorse sia perché esso deve essere formulato sulla base delle nuove regole definite con decreto ministeriale del 1° febbraio 2001, n. 44, e si sa che la prima applicazione di regole richiede sempre un tempo maggiore (continuano anche le iniziative di formazione e d’informazione di più soggetti ed enti), sia perché fino a gennaio 2002, almeno in provincia di Udine, non era nemmeno nota la dotazione ordinaria, su cui contare per finanziare le iniziative delle scuole in questa parte residua di anno scolastico. E qui si discute solo di fondi annunciati non di quelli erogati, perché se si dovesse parlare anche di questi, verrebbe da segnalare che, sempre in provincia di Udine, per tutto il 2001, i fondi, spettanti in conto competenza, sono stati effettivamente erogati per una quota minima e sono stati annunciati quasi a fine esercizio ed alcuni ad esercizio scaduto. Ma è un altro discorso.

Il Ministero ha prorogato l’esercizio provvisorio fino al 30 aprile prossimo, con la conseguenza che la documentazione richiesta potrebbe essere inviata completa solo dopo il 30 aprile, solo dopo la data entro la quale molte scuole avranno deliberato il programma annuale.

Le scuole attendono da parecchio tempo sia finalmente assegnata la dotazione ordinaria e perequativa, che, senza vincoli di destinazione, consenta loro l'acquisto dei beni di consumo e strumentali necessari a garantire l'efficacia del processo di insegnamento - apprendimento dei vari gradi e tipologie di istruzione, come vorrebbe l’art. 2, 3° comma, del decreto legge 25 agosto 2000, n. 240, che integra le disposizioni contenute nell’art. 21, 5° comma, della legge 15 maggio 1997, n. 59.

Invece, la dotazione ordinaria è stata definita solo quest’anno ed in misura percentuale ridotta rispetto alle varie assegnazioni ricevute nel corso del precedente esercizio, nonostante il citato art. 2, 3° comma, del d.l. n. 240/2000, abbia stabilito un’annuale rivalutazione sulla base del tasso di inflazione programmata. Una riduzione del venti per cento, invece, non sembra proprio una rivalutazione in misura corrispondente al tasso d’inflazione.

Della dotazione perequativa nemmeno l’ombra.

Le scuole devono produrre quantità industriali di progetti, per ottenere finanziamenti, che nella migliore delle ipotesi, quando vengono concessi, sono annunciati con ritardo e conseguente, inevitabile pregiudizio delle attività finanziate, mentre sarebbe preferibile, come vuole la legge per altro, si assegnasse per il funzionamento amministrativo e didattico una consistente dotazione ordinaria, cui aggiungere quella perequativa per sopperire alle sopravvenute esigenze, alle specificità, all’originalità, ecc.

I criteri di ripartizione della dotazione ordinaria si devono definire a prescindere dai piani dell’offerta formativa, la conoscenza dei cui contenuti non può in alcun modo costituirne il presupposto.

L’autonomia delle scuole è messa pesantemente in discussione sia dalla pretesa ragionieristica di stabilire le assegnazioni in misura prudenzialmente ridotta rispetto a quelle degli anni precedenti, con il rischio di arrivare dopo alcuni anni ad Euro zero, sia dalla volontà di conoscere le attività prima di distribuire i fondi. Non avviene così per nessuna delle autonomie (enti locali, ad esempio), presenti nel nostro sistema costituzionale, che ricevono le dotazioni, a prescindere da ciò che intendono farne. I controlli sono sempre eseguiti sulla legittimità e legalità degli atti non sulla loro opportunità e destinazione.

Per distribuire i fondi correttamente e con semplicità, non serve conoscere i piani dell’offerta formativa, il programma annuale e tutta l’altra documentazione, che le scuole hanno prodotto. Esaminare tutto questo materiale, eterogeneo, compilato con logiche diverse, con criteri variabili, ricchi di impliciti è fatica improba e non porta al risultato di definire criteri per la distribuzione delle risorse e a distribuirle per tempo. Un esempio per tutti: il progetto lingue 2000. I progetti delle scuole sono redatti su schemi prestabiliti eppure le risorse sono comunicate tre, quattro mesi dopo l’inizio dell’anno scolastico. Figurarsi distribuire fondi sulla base della lettura di un’enorme quantità di documenti complessi ed articolati.

Si stabiliscano criteri e parametri oggettivi (dati numerici, specificità locali, adesione a progetti, ecc.) e sulla loro base si distribuiscano i fondi. Oltre tutto, così operando, si creerebbe un circuito virtuoso: sapendo quali sono gli elementi presi in considerazione per la distribuzione delle risorse, i piani dell’offerta formativa verrebbero costruiti sul loro modello, rendendoli sovrapponibili, più leggibili e conoscibili.

2. Riprogettazione dei piani dell’offerta formativa e istituzioni scolastiche autonome.

L’altro aspetto, sotto cui l’invio dei piani dell’offerta formativa deve essere letto, interessa l’autonomia delle istituzioni scolastiche, costituzionalizzata con il nuovo art. 117 della Costituzione.

Stabilite le direttive per l’azione che devono svolgere, le scuole programmano e realizzano l’attività secondo percorsi autonomi, individuali od in rete, contenuti nei rispettivi piani dell’offerta formativa, e rispondono dei risultati conseguiti, ai diversi livelli di responsabilità, che istituzionalmente ciascuna categoria di personale presente nelle scuole si assume (dirigente scolastico, direttore dei servizi generali ed amministrativi, personale docente, ausiliario ed amministrativo).

L’ufficio scolastico regionale verifica i risultati ed interviene a correggere patologie, a rimuovere errori, ecc. Ma non può né deve intervenire nella fase di progettazione, che è prerogativa delle scuole autonome, né nel percorso, che queste hanno liberamente scelto, sempreché non ci siano azioni scorrette da sanzionare o atti e provvedimenti illegali o illegittimi da rimuovere o inerzie, nei confronti delle quali siano da assumere interventi sostitutivi.

Riflessioni, spunti e materiali ritenuti utili alla riprogettazione, annunciati dalla circolare del 26 febbraio 2002, prot. n. 1762/C23, limitano l’autonomia delle scuole, rappresentano un’interferenza su un procedimento in fase di attuazione (così verrebbero valutati gli interventi del guardasigilli su un processo in corso), non sono leciti nella misura in cui non sono richiesti o concordati. Il sostegno all’attività di programmazione delle scuole deve avvenire attraverso percorsi condivisi, non può essere burocratizzato, riproponendo il vecchio modello gerarchico scuola-provveditorato-ministero, fortemente deresponsabilizzante.

Oltre tutto chi dovrebbe leggere la massa dei documenti inviati dalle scuole, dovrebbe occuparsi di programmazioni, preventivi, intenzioni, che non si possono valutare e giudicare sulla base della loro formulazione, come se si trattasse di esercitazioni o componimenti, ma della loro efficacia, quindi in relazione ai risultati. Nel caso specifico, non avendo a disposizione gli elementi di conoscenza diretta dei fatti, che sostengono le programmazioni e non conoscendone i risultati, come si possono formulare osservazioni utili alla riprogettazione? E’ epistemologicamente scorretto suggerire la riprogettazione di un programma, alla cui stesura hanno certo messo mani e cielo e terra e mare, e che è compiuto in sé, pur con tutti i limiti che le cose umane hanno, senza averne conosciuto gli esiti. L’esperienza e la teoria stanno fra loro in un processo dialettico, né l’una né l’altra esauriscono la realtà: come sarebbe quindi possibile sulla base della sola teoria (i piani) ridefinire le azioni, senza essere passati attraverso l’esperienza? La validazione dei piani è data dall’esperienza, razionalizzata a sua volta dai piani.

L’aiuto alla progettazione può avvenire solo facendo circolare materiali, rispondendo a richieste di aiuto (spesso non si formulano, per l’atteggiamento censorio, che hanno assunto talune iniziative promozionali, come il monitoraggio dei pof), non intervenendo sui materiali prodotti dalle scuole, che vedrebbero in tal modo posta una forte riserva sulla loro azione.

La fase di progettazione è prerogativa esclusiva delle scuole autonome così il percorso, che queste hanno liberamente scelto. Prevedere la formulazione di osservazioni condiziona l’autonomia e l’indipendenza delle istituzioni scolastiche.

Naturalmente la vigilanza è sempre doverosa ma non è generalizzata o generalizzabile, riguarda le azioni o le inazioni dei singoli.

3. Autonomia delle istituzioni scolastiche e lingue minori.

La vicenda dell’insegnamento delle lingue minori può essere valutata sotto diversi profili. Premesso che nessuno mette in discussione il principio e la sua necessitata attuazione, qui interessa osservare come anche in questa vicenda l’autonomia delle scuole sia stata preterita, con danno anche per la stessa attuazione dei progetti di insegnamento delle lingue minori.

E’ stata inviata una lettera a tutti i genitori degli alunni frequentanti le scuole dell’infanzia, elementari e medie delle province di Gorizia, Pordenone e Udine, preannunciando l’applicazione della legge di tutela delle minoranze linguistiche, senza sapere se le singole scuole sarebbero state in grado di progettare iniziative e di realizzarle, di mettere in campo risorse soprattutto umane, disponibilità personali.

Non solo non si è valorizzato il livello scuola ma si è creato un grave pregiudizio alla tutela delle lingue minori. Le scuole, non potendo descrivere attività che non avevano deciso né programmato, non hanno potuto neanche spiegare ai genitori il seguito che sarebbe stato dato alla loro eventuale adesione all’insegnamento della lingua minore. Quali risposte avrebbero potuto dare su progetti che non avevano predisposto?

Il direttore regionale non doveva rivolgersi direttamente ai genitori degli alunni, superando il livello scuola, come se volesse sostituirsi ad esso, colpevolmente inerte. E’ chiaro il perché. Le famiglie conoscono l’offerta formativa dalla scuola e l’offerta formativa, se è un obbligo, deve contenere anche la descrizione delle modalità di realizzazione dell’insegnamento della lingua minore e della cultura, di cui è portatrice.

L’offerta formativa è delle singole scuole. Solo esse possono proporre attività e chiedere il consenso su di esse alle famiglie, le quali trovano così in loco il loro interlocutore.

Non era avvenuto per nessuna materia che si interferisse in questo modo (lo stesso Ministero su questioni anche di poco momento ha solo proposto strumenti, lasciando le scuole libere di deciderne altri) e spiace che sia avvenuto proprio su una questione delicata come la tutela delle lingue.

Inutile dire come si sarebbe dovuto procedere. Attività promozionale della direzione regionale, conferenze di servizio dei capi d’istituto, programmi decisi dai collegi dei docenti sulla base di risorse umane e finanziarie preventivamente conosciute, informazione alle famiglie.

Partire dalla coda non è stato un bene.

4. Istituzioni scolastiche e Centri servizi amministrativi. La comunicazione.

Taluni dirigenti dei Centri scolastici amministrativi continuano ad agire come Provveditori, come i terminali, cioè, dell’amministrazione centrale: esercitano azioni di vigilanza, inviano lettere ai dirigenti scolastici come fossero loro subordinati, trattano materie sulle quali non hanno più competenza, diramando come ha fatto il dirigente del CSA di Udine, gli organici magistrali del prossimo anno scolastico, prima ancora che il Direttore regionale abbia adottato i propri provvedimenti, e stabilendo procedure d’individuazione dei perdenti posto contrarie ad ogni regola. Organizzano aggiornamenti del personale amministrativo ed ausiliario, preordinandone contenuti, modalità di partecipazione, ricadute sulle scuole (oneri di missione a carico delle scuole, recupero delle ore di aggiornamento, ecc.), ignorando il ruolo delle istituzioni scolastiche autonome e la funzionalità per esse dell’aggiornamento (i dirigenti scolastici, ad esempio, non sono stati chiamati ad esprimere il loro parere sull’utilità dell’insegnamento di una lingua straniera ai loro collaboratori scolastici).

Genera confusione, infine, l’utilizzo generalizzato di tutti verso di tutti della posta elettronica, con la conseguenza che si perde il carattere degli atti e dei provvedimenti messi in circolazione: precettivo, informativo, divulgativo, promozionale, ecc. Come si perdono l’autenticità e la responsabilità della fonte, in mancanza della firma elettronica. Impiegati che diramano istruzioni, che smentiscono i dirigenti ed in certi casi lo stesso ministero.

5. Introduzione delle nuove tecnologie. Finanziamenti.

Su richiesta dell’U.S.R., le scuole hanno inviato comunicazioni su fogli excel, finalizzate alla ripartizione dei finanziamenti per l’introduzione delle nuove tecnologie. Accertato che solo alcune risultano, “almeno apparentemente ineccepibili, sotto tutti i profili” (e piacerebbe comprendere il senso dell’avverbio “apparentemente”, applicato al caso), la nota del 26 febbraio 2002, prot. n. 1762/C23, segnala errori e lacune: trasmissioni multiple, talché non si conosce la versione definitiva (ma dovrebbe essere facile saperlo: è l’ultima), fogli vuoti, ecc.

Conseguentemente, “poiché risulta assolutamente impossibile verificare con le oltre 200 istituzioni scolastiche regionali ciascun singolo dato si fa presente” che non si accetteranno ritardi e “si richiede a tutto il personale dirigente una verifica rigorosa dei dati trasmessi ed eventualmente una nuova trasmissione con annullamento di tutte le precedenti trasmissioni, entro il 01.03.2002” e “qualora la documentazione presenti lacune tali da rendere impossibile il processo decisionale e di assegnazione dei fondi si sottolinea come ciò sarà inteso come espressione di volontà di rinuncia ai fondi”.

Orbene, la nota, datata 26 febbraio e messa in linea il 28, pretende per il giorno dopo (il mese di febbraio, è noto, conta solo ventotto giorni) il rinnovo della documentazione. Nella sostanza, è inaccettabile, senza conoscere gli errori commessi o le lacune lasciate, che siano negati fondi alle scuole, che non correggano quelli e colmino queste, non per inerzia bensì perché non se ne sono accorte (se non viene segnalato da altri, spesso chi ha commesso un errore non è in grado di riconoscerlo).

E’ questo il sostegno alle scuole autonome? Si annunciano osservazioni per la riprogettazione dei pof, di cui non tutti sentono il bisogno, mentre si negano indicazioni precise per correggere errori, colmare lacune, indispensabili per l’ottenimento di fondi.

Ed infine, che significa che “saranno fatte verifiche incrociate con dati già richiesti e messi a disposizione da altre istituzioni”. Si insinua il dubbio che alcune scuole abbiano attinto finanziamenti per l’acquisito dello stesso computer, ad esempio, da più fonti? Ciò non è materialmente possibile, poiché in tal caso le scuole avranno liberato le risorse, prima impegnate per quel bene, per l’acquisto di un altro bene. E ciò è possibile, proprio sulla scorta del principio, stabilito dal citato art. 2, 3° comma, del d.l. n. 240/2000, secondo il quale i fondi sono assegnati alle scuole senza vincolo di destinazione. Se una scuola prima impegna la propria dotazione per acquistare un determinato bene e riceve poi fondi per l’acquisto dello stesso bene da altre fonti di finanziamento, opera correttamente ed in piena autonomia, legittimamente reimpiegando le proprie risorse per altre finalità. A meno che, ma qui dovrebbe intervenire il codice penale e non lo vogliamo nemmeno pensare, qualcuno si sia intascato le risorse supplementari. In ogni caso, si tratterebbe di patologie, sulle quali non vale la pena di spendere parole e che rischiano di far perdere incisività all’azione di vigilanza dell’ufficio. O si voleva dire qualcos’altro?

6. Insegnamento della religione cattolica.

A seguito di un incontro con i direttori degli uffici scuola diocesani della regione, sono stati emanati indirizzi in materia d’insegnamento della religione cattolica “desunti dalle norme” e diramati con nota dell’U.S.R. del 10 gennaio 2002, prot. n. 271/C23.

Si tratta di una sintesi di norme di legge e concordatarie e di istruzioni ministeriali stratificatesi nel corso di un ventennio.

Due questioni si pongono: una riguarda la compatibilità degli indirizzi così congegnati con l’autonomia decisionale delle scuole, l’altra il merito di taluni indirizzi.

La prima questione. Poiché si tratta di sintesi di normativa in vigore più che di veri e propri indirizzi, ci si deve chiedere quale valore essa assume in relazione al fatto che le istruzioni ministeriali richiamate non avevano in passato, ed hanno ancor meno oggi, valore di fonte di diritto. Le norme di legge, com’è ovvio, prevalgono sulle fonti amministrative ed il dirigente scolastico oggi, che non dispone più della tutela rappresentata dalla subordinazione gerarchica, risponde dell’applicazione di quelle e non di queste.

E’ utile disporre di strumenti di conoscenza delle norme vigenti ma un conto è l’ausilio, che questi offrono nel lavoro quotidiano, un conto è attribuire ad essi valore di indirizzo o di vera e propria disposizione interpretativa, dal momento che l’atto di interpretare spetta al dirigente scolastico, atto soggetto ad una pluralità di gravami sia interni che esterni, la cui paternità però non può essergli sottratta nemmeno nella forma surretizia di un indirizzo.

E qui viene in esame la seconda questione.

Non condividiamo il richiamo un po’ ossessivo alle istruzioni ministeriali ma, se il metodo è questo, allora le istruzioni ministeriali si devono richiamare tutte. Invece, mancano le istruzioni ministeriali dei primi anni di vigenza del nuovo Concordato, impartite dall’allora ministro Falcucci, fondamentali perché sistematiche e comprensive di tutti gli argomenti e di tutte le implicazioni, che comporta il nuovo ordinamento dei rapporti tra Stato e Chiesa. Una loro raccolta con le leggi e gli accordi relativi è stata apprestata dal Ministero in un Bollettino ufficiale del 1992.

Se le istruzioni ministeriali, di cui si offre la sintesi, non sono tutte quelle prodotte, ciò significa che è stata operata una scelta. E la scelta ci sembra maliziosa. Dimenticando alcune istruzioni, in almeno un caso, si offre un quadro giuridico non del tutto rispettoso dei diritti dei cittadini di essere posti nella condizione di esercitare i diritti, che la legge attribuisce loro.

Ci riferiamo alla possibilità di variare l’opzione da un anno all’altro (punto 1. degli indirizzi), quando l’iscrizione alla classe successiva avviene d’ufficio. Il ministero con circolare del 20 dicembre 1985, n. 368 (non citata dagli indirizzi), stabilisce che entro il mese di maggio di ciascun anno scolastico le segreterie delle scuole forniscano copia del modulo prescritto e della circolare, affinché operino una scelta per l’anno scolastico successivo. Se il modulo non viene restituito in tempo, è confermata la scelta operata nell’anno scolastico precedente. Non solo le famiglie sono informate della possibilità di variare l’opzione ma viene loro offerto lo strumento (il modello e la circolare).

Con gli indirizzi, invece, si afferma apoditticamente che per le classi “dove l’iscrizione avviene d’ufficio – vale la scelta già effettuata, salvo diversa espressa dichiarazione di volontà entro i termini di iscrizione” e si richiama una circolare, quella del 6 aprile 1995, n. 119, che non tratta dello specifico caso. Restando nella logica della sintesi delle istruzioni ministeriali, si commette l’errore di anticipare al termine delle iscrizioni (di solito in gennaio) l’esercizio del diritto di scelta, che il ministero aveva posto nel mese di luglio, e si sorvola sul diritto delle famiglie di ricevere informazione e strumenti.

Vale, in questo caso, non solo il precedente della circolare n. 368 del 1985 ma la norma ben più forte del regolamento n. 275/1999, che attribuisce alla competenza delle scuole autonome ogni atto, comportamento e provvedimento attinente la carriera scolastica degli alunni. E le iscrizioni, i termini e quant’altro sono di stretta competenza delle scuole.

Udine, 10 aprile 2002