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Canalizzazioni un tanto al kilo

Con la canalizzazione degli indirizzi il MIUR altera le opportunità formative

25/01/2006
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Si parla ormai da un po’ di tempo di un imminente decreto sulle canalizzazioni. Si tratta, per intenderci, della norme che dovrebbero definire come gli oltre 40 percorsi di studio finora esistenti dovrebbero essere canalizzati negli 8 licei della Moratti o, meglio, in quei 18-19 percorsi in cui questi si articolano. Una cosa quindi di un certo interesse per i destini di ogni scuola, ma anche di un certo rilievo vista la sproporzione tra le quantità di partenza e quelle di arrivo. Una sorta di imbuto o, se si preferisce, di setaccio, che potrebbe anche produrre un ingorgo se non si ragiona bene su ciò che una canalizzazione del genere rappresenta rispetto alla individuazione del corpo forte dei bisogni formativi che il paese esprime e rispetto alla sua conseguenza necessaria: la riprogettazione della rete scolastica , che competerà ad ogni amministrazione provinciale.

Non a caso il decreto è stato rispedito, molto opportunamente, al mittente da parte del Presidente della Conferenza delle Regioni, al quale la cosa era stata presentata molto affrettatamente verso la metà di dicembre, con una fretta ingiustificata per un’attuazione che è prevista solo a settembre 2007, ma più che giustificata, invece, dalla malcelata voglia del ministero di anticipare quella data con la scusa della sperimentazione.

Una sperimentazione che, come abbiamo già detto e come vedremo, scaricherebbe alle scuole il compito di ridisegnare la mappa delle opportunità formative collocando a casaccio i nuovi indirizzi sul territorio.

Pur non avendo visto il testo del decreto – inutile insistere: per questo ministero gli insegnanti ed i loro sindacati sono sempre gli ultimi da informare: si sa mai che possano avere qualche suggerimento valido! – ne abbiamo tratto alcune conseguenze dalle notizie che ne ha dato la stampa. E ne abbiamo tratto la conclusione che si tratti di una scelta grossolana, fatta “un tanto al kilo”.

In primo luogo: nella ipotesi in circolazione non viene considerata l’attuale istruzione professionale. Si conferma così la nostra previsione, anche se la cosa non ci rallegra affatto: contrariamente ad altri (Gilda, Uil) che si erano sbizzarriti ad immaginare l’assorbimento nel nuovo modello anche dei principali indirizzi dell’istruzione professionale, noi non ci siamo mai illusi che le intenzioni iniziali, così retrò e segregazioniste, fossero del tutto scomparse. Sembra anzi che anche per alcuni settori dell’istruzione tecnica (arte del metallo, del vetro e del tessuto) si prefiguri il precipitare nel buco nero dell’istruzione-formazione professionale regionalizzata.

In secondo luogo: sempre secondo quanto scrivono i giornali, il metodo utilizzato per individuare le canalizzazioni è di una banalità lapalissiana: i licei classici diventano licei classici, i licei scientifici licei scientifici, i licei artistici licei artistici, i licei linguistici – finora solo sperimentali - diventano licei linguistici.

Tautologico! Direbbe Bisio. Ma questo, purtroppo, non è uno spot pubblicitario.

Qualche variazione sul tema si ha nel liceo delle scienze umane: vi confluiscono i vecchi istituti magistrali i quali però non esistono più da 5 anni e si sono trasformati o in licei sperimentali linguistici (vedi sopra), o sociopsicopedagogici (tautologia, de facto!) o delle scienze sociali (fine dell’esperienza!).

Il massimo della fantasia lo si coglie nel liceo tecnologico, che riassorbirebbe gli attuali istituti tecnici industriali e agrari, e nel liceo economico che riassorbirebbe non solo tutta l’attuale istruzione tecnica commerciale, ma anche gli istituti tecnici per il turismo e quelli per le attività sociali.

E qui casca l’asino!

Ci spieghiamo con un esempio: l’indirizzo PACLE, periti aziendali corrispondenti in lingue estere, ramo assai diffuso degli istituti commerciali, diventerà dunque un liceo economico? Ma la domanda formativa di fondo che è stata soddisfatta finora in questi istituti era prevalentemente di tipo linguistico o di tipo economico-commerciale? Siamo pronti a scommettere che era di tipo linguistico.

Ma non solo: con una storia scolastica in cui per quarant’anni non sono esistiti licei linguistici pubblici, questa domanda ha investito fortemente anche l’istituto tecnico per il turismo, che ora si vuole anch’esso ridurre a liceo economico, tutt’al più con una spruzzatina di turismo per tre ore facoltative alla settimana negli ultimi tre anni.

Casi limite? Eccezioni?

No. Ecco un terzo caso La formazione informatica attualmente erogata dalle scuole italiane passa prevalentemente non attraverso l’indirizzo informatico dell’istituto tecnico industriale, ma attraverso quello di ragioniere programmatore dell’istituto tecnico commerciale. Anche quest’ultimo indirizzo si trasformerà dunque in liceo economico? Solo l’indirizzo del tecnico industriale si trasformerà in liceo tecnologico? Solo questo conserverà la sua prerogativa epistemologica? Oppure potranno convivere liceo economico e liceo tecnologico indirizzo informatico, come una volta convivevano l’indirizzo per ragionieri e quello per ragionieri programmatori, l’Igea e il Mercurio?

E’ evidente che non si tratta di casi isolati, ma che dietro a queste domande si celano questioni più profonde.

La prima di queste avrebbe dovuto essere ben presente a chi voleva passare da un sistema dove la maggior parte degli alunni erano inseriti in percorsi tecnico professionali , i quali con la loro quarantina di indirizzi ricomponevano competenze e mansioni diverse i relazione allo sbocco professionale (un esempio per tutti: il mix umanistico-economico dell’istituto tecnico per il turismo) a un sistema licealizzato fondato sulla divisione in grandi aree disciplinari. Si trattava infatti di rileggere in un’altra chiave di lettura, con una griglia di possibilità assai diversa per quantità e per filosofia ispiratrice, la domanda formativa del Paese.

La seconda questione fa un po’ da contrappasso rispetto alla prima: nonostante la quarantina di indirizzi esistenti abbiamo attualmente una relazione incoerente non solo tra percorsi secondari e sbocchi professionali, ma anche tra percorsi secondari e sbocchi universitari. E la colpa non è della liberalizzazione degli accessi universitari, che il decreto attuativo 226/05 sopprime, ma è di una stratificazione di bisogni inespressi soprattutto in direzione dei percorsi umanistici e scientifici. Qui l’opzione storica dei soli due licei classico e scientifico suonava scoraggiante per i più: quanti sono i diplomati dell’istituto tecnico commerciale che passano a lettere, per esempio? E quanti sono i licei classici e scientifici di provincia che sopravvivono grazie all’accoppiata con l’indirizzo psico-pedagogico? Qui mancavano fino a pochi anni fa i percorsi linguistici. Qui mancavano e mancano tuttora percorsi di studi sociali: come abbiamo già visto scienze umane è più versata su pedagogia come il vecchio magistrale, che su scienze sociali.

La individuazione di questi bisogni formativi e la loro collocazione nei nuovi canali, non le tautologie di Lapalisse-Moratti , sono la questione di cui bisogna tenere conto nel passaggio al sistema licealizzato, pena, altrimenti, due rischi:

1) non intercettare la domanda di formazione reale che sale dal Paese;

2) svuotare interi territori di opportunità formative.

Come si può ben capire si tratta di questioni dagli effetti sconvolgenti per il futuro della scolarizzazione italiana, sia per l’utenza sia per i lavoratori della scuola.

Per questi ultimi non basta a sentirsi tranquilli, sapere dove saranno canalizzati, se poi il nuovo canale non avrà più l’utenza del vecchio, se darà luogo a doppioni sul territorio, se non risponderà ai bisogni della popolazione. Non saranno tranquilli, questo è certo, i lavoratori del settore professionale. E non potranno essere certo le singole sperimentazioni né nei tecnici né nei professionali a dipanare matasse di questa portata, anzi c’è il rischio che precostituendo scelte finiscano o per essere smentite da una futura redistribuzione delle opzioni o per distribuire a casaccio i nuovi indirizzi sul territorio.

Roma, 25 gennaio 2006