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Circolare sulle iscrizioni: Il "costo dell'autonomia"

Circolare sulle iscrizioni

19/01/2005
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Noi siamo fra coloro che per primi, e con particolare impegno, hanno voluto approfondire le conseguenze derivanti dall’introduzione delle nuove norme in materia di istruzione nel Titolo V della nostra Costituzione.
Lo abbiamo fatto perché convinti che la Costituzione vada applicata e, pertanto, è fondamentale individuarne le implicazioni, considerato il silenzio e l’incuria che hanno accompagnato la sua entrata in vigore nell’azione del Governo.
Lo abbiamo fatto perché le modifiche al testo originario della nostra Costituzione hanno introdotto cambiamenti considerevoli che non possono essere interpretati con la categoria della strumentalità (“applico se mi conviene”) né con quella del continuismo, per cui le norme costituzionali non avrebbero cambiato molto e tutto può continuare a funzionare come prima.

Un Governo saggio avrebbe ricercato confronti e promosso intese con le Regioni e con gli Enti Locali in materia di attuazione della Costituzione perché gli scontri su queste materie non fanno bene a nessuno, certamente non ai cittadini. Così non è e la Corte Costituzionale è ormai chiamata a sopperire al ruolo che avrebbe dovuto svolgere il Governo.

Con questa nota, che si avvale del contributo di esperti nel settore, vogliamo contribuire ulteriormente a fare un po’ di chiarezza sul rapporto fra le scuole autonome ed i possibili obblighi che scaturiscono dalla Circolare sulle iscrizioni.
E’ importante, per noi, fare questo convinti come siamo che le leggi si applicano e che la prima legge che deve essere applicata è la Costituzione del nostro Paese.

Preliminarmente, la questione che vogliamo affrontare attiene alla possibilità di dettare disposizioni aventi carattere di direttiva tra soggetti diversi dotati di poteri e competenze distinte ed autonome.
Per soggetti diversi ci riferiamo all’amministrazione centrale e alle scuole, che hanno specifiche prerogative sulla base dell’ordinamento vigente.
In sostanza, l’interrogativo riguarda la possibilità di ritenere, da parte dello Stato, che con una Circolare possa determinarsi un obbligo di rispetto totale delle disposizioni dettate, con caratteristiche di applicazione uniforme ed omogenea sull’intero territorio nazionale.

Ciò non è più sostenibile in base all’ordinamento vigente per una serie di motivazioni.

In primo luogo il potere di direttiva è tipico di un rapporto tra soggetti tra cui intercorre un rapporto di “subordinazione” funzionale, organizzativa e finanziaria.
Tra Stato e scuola può esserci un rapporto di “ integrazione” funzionale ma non di subordinazione, considerato tra l’altro che le istituzioni scolastiche hanno oggi autonomia costituzionalmente garantita.
Anche volendo accogliere un’accezione “debole” dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, il cui contenuto essenziale sarebbe costituito, nella sua contenuto minimo, dall’autonomia “ tecnica” delle singole scuole, la prima questione che si pone è quella che attiene alla garanzia della libertà d’insegnamento.
Essa, infatti, non può essere compressa o incasellata in schemi formativi precostituiti, se non nel contenuto minimo indispensabile che consente di assicurare a tutti i potenziali beneficiari il rispetto della a-territorialità nella garanzia dei diritti civili e sociali e, nel caso specifico, del diritto all’istruzione.

E’ escluso, pertanto, che possa configurarsi un generico potere di direttiva da parte dello Stato nei confronti delle istituzioni scolastiche.

Anzi, le istituzioni scolastiche hanno come primo obbligo quello di elaborare ed attuare un Piano dell’Offerta Formativa calato sulle esigenze del territorio in cui operano e, pertanto, hanno un autonomo potere d’iniziativa in tema di programmazione e di attuazione dell’offerta formativa.
In sostanza, il potere di direttiva del Ministero, precedentemente considerato come prevalente rispetto alla stessa legge, va fortemente ridimensionato nella sua efficacia giuridica sia sotto l‘aspetto dei contenuti (condizione già riconosciuta dalla Legge 59/’97) che degli effetti che può produrre.

E opportuno precisare che oggi il dettato costituzionale (Titolo V, art.117) riconosce poteri allo Stato nelle seguenti materie:

a) potere legislativo esclusivo in materia di determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) , con conseguente potere regolamentare;
b) potere legislativo esclusivo in materia di norme generali, con conseguente potere regolamentare
c) potere legislativo in materia di determinazione dei principi fondamentali.

Mentre riconosce poteri a livello regionale nelle seguenti materie:

1) potere legislativo e regolamentare di attuazione dei principi generali ;
2) potere legislativo esclusivo in materia di istruzione e formazione professionale;
3) potere legislativo esclusivo in materia di diritto allo studio ed assistenza scolastica.

Dunque, al di là della distinzione tra “norme generali” e “principi fondamentali”, la determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni rappresenta la garanzia che su tutto il territorio nazionale ci siano uniformi livelli di erogazione nell’offerta del servizio d’istruzione.
A titolo meramente esemplificativo si può affermare che nella categoria dei LEP potrebbero rientrare:

  • la determinazione dei curricoli comuni;

  • il minimo “quadro” orario;

  • il livello della formazione degli insegnanti;

  • la funzionalità delle strutture e degli ausili formativi.

In tale contesto una Circolare (come la n° 90 sulle iscrizioni) che detti disposizioni in materia di tempo scuola può essere legittimamente ritenuta operante, e pertanto applicabile, solo laddove si consideri che il tempo indicato per ogni ordine di scuola e la distinzione nelle materie di insegnamento fra curriculari e facoltative costituiscano il minimo che ogni istituzione scolastica (statale o paritaria) deve assicurare su tutto il territorio nazionale, e cioè l‘indicazione di uno dei LEP che lo Stato deve determinare.

D’altra parte la stessa Legge 53/’03 detta disposizioni in materia di norme generali e Livelli Essenziali delle Prestazioni e la Circolare n° 90 non fa che disciplinare, un po’ arbitrariamente, considerato che l’uso del potere regolamentare avrebbe determinato maggiori garanzie per tutti i soggetti interessati, le sue modalità di applicazione.

Una diversa lettura di una direttiva che imponesse un’applicazione uniforme ed omogenea del tempo scuola e delle materie d‘insegnamento sarebbe in contrasto con l‘autonomia costituzionalmente garantita delle singole istituzioni scolastiche che, laddove possibile, in base alle risorse umane e finanziarie di cui dispongono, devono proporre modelli formativi che nell’assicurare il minimo livello delle prestazioni dettate dalla legge e dalla direttiva, amplino l‘offerta formativa sulla base delle esigenze didattiche di non subordinazione di alcune materie rispetto alle altre e sulla base delle richieste della collettività che rappresentano dal punto di vista educativo.

Un diverso atteggiamento non può che essere direttamente censurato davanti al giudice ordinario, laddove si dimostrasse che una diversa articolazione del tempo scuola è stata dettata unicamente dalla necessità di adeguarsi ad una Circolare ministeriale.

Un’ultima considerazione attiene alla preoccupazione di creare una pluralità di micro sistemi di formazione, magari con caratteristiche localistiche, che finiscano per mettere in discussione la validità nazionale del titolo di studio ed implementare le differenze culturali e socio- economiche già esistenti.
Il sistema delineato dalla Costituzione non risponde a tale logica e contiene in sé gli strumenti per salvaguardare l’unitarietà del sistema nazionale d’istruzione, attraverso la determinazione dei principi fondamentali, delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni.

Se l’autonomia didattica, intesa come “ libertà progettuale” (art. 21, comma VIII, Legge 59/’97) è oramai la regola su cui si fonda l’attività delle singole istituzioni scolastiche, i loro atti di programmazione incontrano un limite solo negli obiettivi generali del sistema d’istruzione che è lo strumento concreto attraverso il quale si garantisce il livello unitario di formazione su tutto il territorio nazionale.
Limite imposto anche alla legislazione regionale, considerato che il riparto delle competenze delineato dall’art.117 cost., individua l’istruzione come materia di legislazione concorrente, attribuendo alla potestà legislativa regionale la competenza in tema di programmazione scolastica e gestione amministrativa del relativo servizio (cfr. Sentenza. Corte costituzionale n.13 del 2004).
Pertanto sia la competenza concorrente che quella esclusiva riferibile alle regioni incontra il limite del rispetto dei LEP.
Nessun pericolo per l’unitarietà del sistema scolastico nasce con una corretta applicazione del nuovo riparto di competenze in cui la determinazione dei principi fondamentali, non derogabili dalla legislazione regionale o dall’autonomia delle istituzioni scolastiche, e dei livelli essenziali delle prestazioni costituisce la cornice invalicabile entro la quale soggetti diversi possono agire nell’ambito delle proprie competenze ed attribuzioni.

Pertanto si può affermare che la riproposizione di Circolari ministeriali con lo stesso contenuto e tenore preesistente al nuovo Titolo V e l’immobilismo derivante dalla pedissequa applicazione delle disposizioni ministeriali, laddove vengono presentate, nella maggior parte dei casi strumentalmente, come l’unica difesa possibile alla frantumazione dell’offerta formativa costituiscono un alibi che finisce per pregiudicare la stessa autonomia che si dichiara di voler tutelare.
E’altrettanto evidente che una maggiore attenzione del Governo alla determinazione dei principi fondamentali e dei LEP, magari con la partecipazione delle regioni (che devono adottare tutte le misure organizzative indispensabili per rendere disponibile il servizio), anche nella fase della loro individuazione, doveva costituire una priorità della politica scolastica proprio a garanzia dell’unitarietà del sistema.
Sembra invece che l’obiettivo prioritario sia quello di attuare la Legge 53/’03 senza preoccuparsi, ancora una volta, dell’effettività del sistema, la cui tenuta continua ad essere affidata ai singoli operatori scolastici.

In conclusione abbiamo visto come allo Stato competa la potestà legislativa esclusiva solo in materia di norme generali e di determinazione dei LEP.
Di conseguenza, la Circolare n° 90 in materia di iscrizioni, “applicativa” od interpretativa della Legge 53/’03, non può che essere considerata come un’indicazione, sicuramente troppo dettagliata e puntuale, della norma di legge.
Una indicazione di una delle possibili modalità che le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, hanno per poter applicare una norma di legge.
In particolare, le indicazioni dettate in materie di tempo scuola non possono che essere considerate se non come il tempo minino che ogni scuola deve garantire sul territorio nazionale, con successiva indicazione del minimo degli insegnamenti didattici.

Roma, 19 gennaio 2005