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Decreto secondo ciclo: anticiparne l’attuazione con la sperimentazione?

E’ rischioso

20/10/2005
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In questi giorni in particolare in alcuni istituti tecnici e professionali ci si sta interrogando sull’opportunità di anticipare l’attuazione del decreto sul secondo ciclo, in base alla previsione dell’art. 27 comma 4 dello stesso, laddove si dice “ ferma restando l’autonomia scolastica”.

A parte il fatto che il riferimento all’autonomia è scontato essendo stata ricompresa nel testo della Costituzione, rileviamo che:

In base a quanto previsto dal regolamento sull’autonomia (DPR 275/99) non è possibile per le singole istituzioni scolastiche sperimentare l’attuazione di nuovi ordinamenti, essendo questa materia di competenza della legge nazionale. Come noto, infatti, il DPR 275/99, definisce gli ambiti dell’autonomia in materia di didattica, organizzazione e ricerca.

D’altra parte il Miur stesso nel momento in cui ha deciso di non attivare la sperimentazione nazionale (vedi art. 27 comma 4 del decreto), conferma che prima che si possa attuare la previsione lì contenuta, vanno definiti ed emanati una serie di atti formali, di rilevante importanza, che ricadono sulla programmazione della rete scolastica, sugli sbocchi professionali e persino sui piani di studio, senza i quali i nuovi ordinamenti non possono partire.

In questo modo la eventuale decisione di sperimentare anticipatamente l’attuazione del decreto, esporrebbe le scuole ad un duplice rischio:

1. quello di ridurre il monte orario e le discipline, in assenza dell’ordinamento nazionale che potrebbe essere definito in modo diverso;

2. quello di non poter garantire agli studenti il rilascio dei titoli professionali in uscita, attualmente in capo agli istituti tecnici e professionali che, laddove si trasformassero in licei, perderebbero tale prerogativa, prefigurando per loro un vero e proprio salto nel buio.

E’ bene tener conto di questi elementi, laddove alcuni fossero tentati di inoltrarsi sul terreno della sperimentazione, che oltre ad essere scivoloso, può persino esporre le scuole a rischi futuri non irrilevanti.

Ciò vale anche per coloro che, preoccupati del proprio futuro professionale ed occupazionale, e della sopravvivenza dei propri istituti, potrebbero considerare la sperimentazione una prospettiva meno incerta e più rassicurante dello stato di attuale precarietà in cui una legge sbagliata, nel merito e nel metodo, ha ridotto in particolare gli istituti tecnici e professionali.

Roma, 20 ottobre 2005