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E ora? Tagli anche alle superiori?

Dopo il ritorno al maestro unico la forbice toccherà le superiori: riduzione degli orari negli istituti tecnici e, forse, percorsi di quattro anni anziché cinque le modifiche strutturali più gettonate.

12/09/2008
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Mentre tutta l’attenzione sembra rivolta alle elementari per la questione del ritorno al maestro unico qualche giornale comincia a parlare di tagli nella secondaria superiore. D’altra parte il DL 112 (poi convertito in legge 133/08) parlava apertamente e spudoratamente di modifiche ordinamentali da farsi proprio e solo in ragione delle politiche di risparmio. Una novità! Non era mai successo prima: tutti gli interventi precedenti cercavano di unire l’utile di un risparmio di spesa al dilettevole di una ipotesi di riforma e razionalizzazione, tutt’al più, come nel caso della Moratti, mascheravano la prima sotto la seconda.
Tremonti no. Lui l’ha detto chiaramente: la “riforma” (le virgolette sono d’obbligo visto che questa parola ha normalmente un valore progressivo, non recessivo) serve solo a tagliare. E poche storie!

La inapplicabilità del decreto 226

Ma nella secondaria superiore non è così facile. Lì ci sono indirizzi, discipline diverse, alcune generali altre specifiche, alcune teoriche e altre pratiche. Tagliare quelle specifiche può significare stravolgere o persino distruggere un indirizzo. E distruggere indirizzi, fonderli, farli pendere verso una versione più liceale o più professionalizzante, può significare per una scuola perdere utenza, per un comune creare doppioni, per una provincia svuotare un territorio di una opzione di studi. Un lavorio che richiede prima che venga ridisegnata la mappa scolastica di ogni provincia. Un lavoro troppo complicato perché possa essere approntato dalle amministrazioni locali, alle quali spetta, per gennaio quando ci saranno le iscrizioni.
Ci sarebbe il decreto legislativo 226/2005, quello che applicava la legge 53/2003 alle secondarie superiori e che prevedeva meno orari, meno indirizzi e meno discipline. Era stato sospeso ma solo fino a settembre 2009. Cadrebbe a fagiolo per l’accoppiata mani-di-forbice Tremonti-Gelmini, ma ha appunto la caratteristica anzidetta: passando da una sessantina di indirizzi (senza contare gli sperimentali) a poco più di una ventina richiede soprattutto una ricollocazione degli indirizzi e quindi delle scuole.

Meno orario per l’istruzione tecnica

E poi questo decreto non prevedeva più l’istruzione professionale di stato e prevedeva il liceo tecnologico ed economico al posto degli istituti tecnici. Scelta criticatissima non solo da parte degli oppositori della Moratti ma anche da parte di Confindustria. Ed infatti con la legge 40/07 Bersani e Fioroni restaurarono nella scuola statale sia l’istruzione professionale che gli istituti tecnici. Applicare il 226 implicherebbe dunque un altro passaggio legislativo che abroghi ciò. Anche ciò richiede più tempo.
Ed infatti il nuovo governo non sembra intenzionato percorrere questa strada: nel convegno ministeriale che in questi giorni si è tenuto sugli ITS, è trapelata l’intenzione di non mettere in discussione, almeno per ora, l’istruzione professionale di stato e gli istituti tecnici, salvo per questi ultimi procedere ad una riduzione degli orari, misura già preventivata all’interno della legge 40.
Un po’ come è già stato fatto per il biennio degli istituti professionali, che, sempre stando a quanto è trapelato, non dovrebbero essere ulteriormente toccati.
Resta però da vedere come si riuscirà a fare questa riduzione di ore senza alterare equilibri disciplinari che possono rivelarsi decisivi per lo sbocco professionale.

Quattro anni invece di cinque

Più radicale l’ipotesi di accorciare di un anno i percorsi stabilendoli in quattro anni, anziché cinque. Un’annata di scuola secondaria superiore corrisponde grosso modo a 500.000 alunni meno e a 50.000 insegnanti in meno, anche se l’effetto si vedrebbe solo tra quattro anni. L’ipotesi, ventilata da Gelmini, che ha trovato più audience sui giornali, limiterebbe però il percorso in 4 anni solamente a coloro che non proseguono gli studi all’università, e quindi salverebbe una parte non quantificata dei 500.000 alunni e dei 50.000 docenti.

La scelta del taglio, che sappiamo essere prettamente economica, può in questo caso essere mascherata dietro al fatto che in Europa molti sistemi scolastici terminano a 18 anni. Ma attenzione! Il vantaggio che questi sistemi danno è soprattutto nel passaggio all’università e conseguentemente nell’età della laurea che è più bassa di quella italiana. Se il passaggio per l’università resta a 19 anni siamo punto e a capo, a meno di non considerare l’ultimo anno come un primo anno universitario, la qual cosa, a sua volta, aprirebbe altre complicazioni.

In realtà questa scelta di far fare quattro anni a chi non prosegue all’università e cinque a chi prosegue è lo stesso piano previsto dalla Moratti (salvo che questa prevedeva l’esame di stato solo al quinto anno per passare l’università) e presenta tutti gli stessi difetti.

In primo luogo, si può dire che chi è destinato ad andare avanti negli studi, e quindi a studiare di più, continua studiare di più. Mentre si tagliano le conoscenze a chi termina gli studi. Sarebbe più logico il contrario!

Vi è poi la questione dei titoli e degli sbocchi professionali: se oggi ci vogliono cinque anni per fare un geometra è un po’ difficile dire che in quattro anni si farà lo stesso geometra. Quindi o non ci sarà più un titolo di geometra (o ragioniere o perito) oppure questo titolo sarà svalutato rispetto ad oggi. A quel punto la prosecuzione negli ITS, non ancora neppure rodati, sarà obbligatoria. In altre parole il percorso realmente efficace sarà più lungo (6-7 anni contro gli attuali 5), non più breve. E le famiglie dovranno mettersi nella prospettiva di mantenere un figlio agli studi fino a 20 o 21 anni: tanto varrà iscrivere i figli al liceo e all’università.

Terza conseguenza: per come è impostata la cosa è evidente che, fatta eccezione per qualche corso o sezione, le scuole che dureranno cinque anni saranno i licei, quelle che dureranno quattro saranno gli istituti tecnici e professionali. Con tutte le conseguenze di “valore” nell’opinione pubblica e il relativo riorientamento delle iscrizioni, come qualche anno fa quando si supponeva che gli istituti tecnici sarebbero stati aboliti.

In altre parole, rispetto al contestatissimo progetto Moratti, quello della Gelmini "se non è zuppa è pan bagnato"!

Roma, 12 settembre 2008