Estero. La FLC Cgil conferma il suo no alla privatizzazione dei corsi di lingua e cultura
Secondo un recente disegno di legge, primo firmatario l’on.le Narducci, i corsi di lingua e cultura all’estero di cui alla legge 153/71 vanno affidati a soggetti privati. I motivi della nostra contrarietà e la centralità dell’intervento pubblico.
Sarà per via della presenza in Parlamento degli eletti nella circoscrizione Estero o sarà per via di una crescente sensibilità della classe politica, fatto sta che la XV legislatura è destinata a passare alle cronache come quella più attenta alle questioni relative alla scuola italiana all’estero e alla necessità di una sua profonda riforma.
Lo testimoniano le tante proposte di legge di riordino del sistema presentate in Parlamento che segnano l’urgenza e l’esigenza di una revisione del sistema stesso giudicato obsoleto, inadeguato e incapace di cogliere le sfide del nostro tempo e in grado di rilanciare, a livello europeo e mondiale, la nostra politica culturale.
Nei mesi scorsi sono stati presentati disegni di legge da parte dell’on.le Giovanardi (UDC) , da alcuni parlamentari della sinistra, primo firmatario l’on.le Galante (PDCI) . Poi qualche settimana fa è stata la volta dell’on.le Razzi (Italia dei Valori) .
Ora a queste iniziative si è aggiunta la proposta, ultima in ordine cronologico, di alcuni deputati, primo firmatario on.le Narducci , eletti per lo più nella circoscrizione Estero del gruppo de l’Ulivo. E ci risulta che ce ne siano ancora altre in gestazione.
Ci troviamo, pertanto, davanti al fiorire di una intensa attività parlamentare frutto e sintesi di un dibattito che per anni ha riguardato solo, o quasi esclusivamente, la comunità italiana all’estero e che oggi, nel coinvolgere la maggior parte dei partiti politici, si prefigge, invece, l’obiettivo di inserirsi, a pieno titolo, nel dibattito politico e culturale del nostro Paese.
Benché in tutti si avverta l’esigenza di un riordino e di un superamento dell’attuale stato di mero assistenzialismo, i disegni di legge depositati in Parlamento non forniscono una positiva e adeguata soluzione alla storica dicotomia rappresentata dalla presenza contestuale delle scuole e dei corsi di lingua e cultura e dall’antica “querelle” pubblico/privato, il cui rapporto ha connotato, nel corso della sua evoluzione, l’intero sistema.
Questo ci porta a dire che, viste nel loro insieme, tutte e quattro le proposte contengono una sorta di “pericolosa” complementarità che se portata alle estreme conseguenze potrebbe produrre la definitiva sfaldatura del sistema e la perdita della centralità dell’intervento pubblico.
Mi spiego. Non v’è dubbio che nei primi tre progetti di legge si delinea una positiva discontinuità nell’impostazione della politica scolastica all’estero: viene proclamata la centralità dell’intervento pubblico; viene introdotta la novità di una agenzia interministeriale destinata al governo del sistema, che di fatto metterebbe fine alla direzione della gestione da parte del Ministero degli Affari Esteri; viene estesa alle scuole italiane all’estero l’autonomia scolastica; viene implementato il contingente e così via
Però, indipendentemente dalle soluzioni adottate più o meno condivisibile, queste proposte non sciolgono, in maniera chiara e definitiva, il nodo vero della questione rappresentato dalla legge 153/71 ovvero dalla collocazione o meno di tutta l’attività dei corsi di lingua e cultura italiana fuori o dentro il nostro sistema nazionale di istruzione. Da un lato, sebbene con parziali accorgimenti e con le consuete e improprie ingerenze su temi contrattuali, viene mantenuto per la scuola italiana all’estero lo “status quo” con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, dall’altro la totale assenza di una specifica collocazione ordinamentale delle iniziative di diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo, la mancanza di definizione dell’orizzonte dei diritti e dei doveri dei vari soggetti chiamati alla gestione e il rapporto che tali iniziative debbono avere con il sistema scolastico nazionale segnano il limite e la contraddizione più vistose di queste tre proposte. E’ emblematico il fatto che tali temi, che rappresentano il fulcro di ogni proposta di riordino, siano affrontati con preoccupante vaghezza e superficialità.
Nella sua proposta l’on. Narducci si dedica, invece, solo ed esclusivamente alle iniziative a sostegno dello sviluppo della diffusione della lingua e della cultura italiana ridisegnando un percorso all’insegna di una completa privatizzazione del servizio. Proprio per questa sua peculiarità riteniamo che questo disegno di legge sia fortemente complementare con le altre iniziative parlamentari in quanto si prefigge di andare a coprire un vuoto di intervento lasciato altrimenti nella ambiguità e indeterminatezza.
Nel fare questo, però, viene scelta la via più insidiosa e più contraddittoria mediante la quale l’intero sistema, nato dalla 153/71, viene condannato ad una inevitabile deriva privatistica, ordinamentale e di gestione, che rappresenta il ritorno ad una logica di “deregulation” con caratteristiche persino più regressive rispetto a quelle che hanno connotato alcune bozze elaborate dal precedente governo di centrodestra.
L’intero intervento, finanziato dallo Stato e coordinato da un’unica direzione del MAE, verrebbe completamente esternalizzato e dato in affidamento totale ad enti gestori privati senza individuare sulla base di quali norme e di quali requisiti possa essere concesso tale affidamento.
Tutto il personale verrebbe reclutato in loco, si presuppone con forme contrattuali locali, alla solo condizione che abbia un generico “adeguato” titolo di studio. Il che significa praticamente tutto e niente.
Nell’arco di cinque anni verrebbe eliminata la presenza del personale del contingente statale, oggi unico elemento che garantisce una sorta di continuità tra il sistema nazionale e quello dell’attività corsuale.
L’unico nesso con il sistema nazionale dell’istruzione sarebbe dato dalla presenza di un contingente di dirigenti scolastici, ai quali spetterebbe un compito non ben definito di coordinamento
Il tutto viene giustificato, nella presentazione, con l’esaltazione di autosufficienza delle comunità italiane all’estero ormai in grado di fare affidamento sulle proprie risorse professionali stigmatizzando l’intervento degli insegnanti provenienti dall’Italia alla stregua di una forma di moderna colonizzazione!
Come si vede non si tratta di una proposta nuova, ma la rielaborazione di un disegno politico di totale privatizzazione a suo tempo ampiamente bocciato soprattutto per via delle implicazioni inaccettabili in esso contenute. Affidare esclusivamente a enti e soggetti privati lo sviluppo e la diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo significa dar vita ad un diverso e alternativo sistema di istruzione del tutto estraneo e indifferente al nostro sistema nazionale. Significa, altresì, condannare tali iniziative ad una inevitabile “anarchia” didattico/educativa/ordinamentale e relegare i nostri connazionali all’estero ad un pericoloso “provincialismo” culturale che marcherebbe ancora di più le attuali differenze.
Vogliamo sottolineare che in questo modo non solo lo Stato italiano verrebbe meno ad un suo preciso dovere, contemplato già nella legge 153/71, nei confronti delle comunità italiane all’estero, ma ridurrebbe il suo intervento ad una semplice ridistribuzione di risorse abdicando a soggetti “estranei” il suo ruolo istituzionale e centrale in tema di istruzione sancito dal dettato costituzionale.
A ben guardare la proposta dell’on. Narducci non solo risulta inaccettabile sul piano ordinamentale ma segna una deriva neoliberista, localista e spartitoria ingiustificata sotto ogni punto di vista che non tiene conto della attuale consistenza del fenomeno.
Attualmente il “privato” controlla, a livello mondiale, l’80% dei corsi di lingua e cultura con finanziamenti da parte dello Stato italiano. L’intervento di quest’ultimo con docenti e ata di nomina Mae è limitato solo ad alcune aree della vecchia Europa a forte emigrazione italiana (Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Gran Bretagna) dove gli interventi di lingua e cultura hanno rappresentato, per oltre un trentennio, il punto di riferimento delle nostre comunità soprattutto in relazione alla qualità dell’intervento garantita dalla presenza di docenti provenienti dall’Italia.
Del resto ci sembra che proprio in queste realtà, seppure dentro limiti e difetti strutturali, si siano realizzati momenti significativi di integrazione dei rispettivi sistemi di istruzione. Questo a significare che, al di là dell’enfasi, il progetto Narducci cela semplicemente la richiesta di uno spostamento di risorse a vantaggio di precisi gruppi di pressione. Altro che colonialismo!
Il sistema scolastico italiano all’estero complessivamente inteso per essere consolidato, valorizzato e rilanciato non ha certo bisogno di uno schema di sviluppo “neofeudale” e “neoliberista”. Ha bisogno, al contrario, di essere parte integrante del nostro sistema nazionale di istruzione.
Il che sta a significare che deve essere, in primo luogo, superato l’attuale collocazione delle competenze affidate per legge al Mae. Non può sfuggire, infatti, che nell’arco del tempo l’attuale collocazione, figlia di una logica obsoleta e storicamente datata, ha determinato una evidente frattura tra il sistema scolastico metropolitano e quello italiano all’estero che non ha consentito una sua positiva evoluzione. L’impostazione va quindi rovesciata attribuendo le competenze direttamente all’istruzione.
In questo senso la costituzione dell’Agenzia, prospettata nei tre disegni di legge, quale luogo di governo del sistema, può rappresentare lo strumento capace di favorire, in via transitoria, lo spostamento di competenze.
In secondo luogo alle istituzioni scolastiche ed educative e alle iniziative scolastiche e attività di assistenza a favore dei lavoratori italiani e loro congiunti emigrati va riconosciuta pienamente l’autonomia scolastica. Ciò consente non solo una ricostruzione della rete ma una evoluzione positiva del sistema capace di intercettare in maniera efficace gli effettivi bisogni formativi e di integrazione con i sistemi scolastici locali.
In terzo luogo. Fermo restando la centralità dell’intervento pubblico le scuole non statali e le iniziative gestite dagli enti possono far parte del sistema pubblico di istruzione solo se hanno determinati requisiti e nel rispetto di regole precise e ben definite per legge.
E’ dentro quest’orizzonte strategico che vanno ridisegnate le norme nuove capaci non solo di ridisegnare una rete efficace ma di armonizzarsi con i bisogni dei nostri connazionali e integrarsi nei sistemi di istruzione degli altri paesi.
Se i primi tre disegni di legge, pur contenendo limiti e contraddizioni, si muovono dentro quest’ottica, il progetto Narducci, nel completarli, segna, però, una decisa ed evidente frattura ancorata ad una visione strategica residuale e più preoccupata a dare risposte a scopi propagandistici che a determinare una evoluzione qualitativa e quantitativa del sistema.
Di fronte ai contenuti di questo disegno di legge, che sarà oggetto di numerose discussioni, diciamo subito, come FLC Cgil che siamo decisamente contrari!
La FLC CGIL continua a considerare la centralità dell’intervento pubblico e l’applicazione delle regole certe le coordinate principali di una riforma degli interventi all’estero.
Roma, 12 aprile 2007