Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Scuola » I sindacati alla VII Commissione del Senato sulla legge delega

I sindacati alla VII Commissione del Senato sulla legge delega

Il 9 maggio 2002 si è svolta l’audizione da parte della VII Commissione istruzione del Senato dei Rappresentanti di CGIL, CISL e UIL scuola sul d.d.l. delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale.

10/05/2002
Decrease text size Increase  text size

Il 9 maggio 2002 si è svolta l’audizione da parte della VII Commissione istruzione del Senato dei Rappresentanti di CGIL, CISL e UIL scuola sul d.d.l. delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale.

L’audizione era stata richiesta precedentemente dalle tre segreterie dei sindacati confederali. Le posizioni della CGIL scuola sono state illustrate al Presidente e ai rappresentanti della VII Commissione, da Enrico Panini Segretario CGIL scuola.
Roma 10 maggio 2002

Appunto per la VII Commissione del Senato sul Disegno di Legge

“Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale”

Il ricorso alla delega e il Titolo V della Costituzione

Il ricorso alla delega legislativa, trattandosi di una legge su materie di esclusiva competenza statale per il loro contenuto generale ed "universale" ( le "norme generali sull' istruzione" ed i "livelli essenziali delle prestazioni"), è, alla luce del nuovo Titolo V della nostra Costituzione, in particolare dell’art.117, comma II, lettera n), costituzionalmente non percorribile.

Infatti, trattandosi di una legge che deve contenere “le norme generali sull’istruzione”, non vi è spazio per una delega, che dovrebbe affidare al Governo la possibilità di fissare quelle norme generali limitandosi ad indicare i “principi e criteri direttivi” ex 76 della Costituzione.

Per altro, anche per una competenza ripartita (come è nel caso dell’istruzione) non è possibile, come affermano autorevoli costituzionalisti, che il Parlamento si limiti ad indicare principi e criteri direttivi per successivi “principi fondamentali” affidati al governo.

Da ciò consegue, oltre che un vizio di incostituzionalità, che il Disegno di Legge delega, dettando i principi fondamentali nelle materie di competenza della legislativa concorrente, deve essere adottato con il parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali opportunamente integrata.

Il ricorso alla delega e la partecipazione

Sul piano generale, la Cgil Scuola non condivide la scelta del ricorso alla “delega” perché rappresenta uno strumento che limita la discussione ed il confronto, nelle aule parlamentari e nel Paese, su una materia importante e delicata come l’istruzione e la formazione. Infatti, lo stesso titolo del Disegno di Legge, che rispecchia le novità introdotte dalla Legge n. 3/’01, richiama la competenza esclusiva dello Stato a dettare le “norme generali” in materia di istruzione ed evidenzia la necessità della più ampia condivisione possibile delle scelte.

Lo strumento "delega" rende esplicita l'indisponibilità del governo a sostenere il confronto con il mondo della scuola.

L’esperienza recente ci ha dimostrato che le riforme sono tali quando sanno avvicinare l’insieme dei soggetti interessati e coinvolti. Non è fuori luogo ricordare che nel 1973, per una legge di riforma importante come i “decreti delegati”, fu addirittura costituita una commissione di elaborazione rappresentativa di tutte le forze politiche e di tutte le organizzazioni sindacali e professionali. Importante fu il coinvolgimento che portò all’approvazione della riforma della scuola elementare nel 1990. Nel nostro caso neanche il confronto di merito è stato garantito dal Governo!

Contro il ricorso alla delega la Cgil Scuola ha raccolto, in alcune settimane, oltre 170.000 firme. La petizione è stata firmata anche da un consistente numero di esponenti del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo.

Per opportuna conoscenza ed informazione ne alleghiamo alcune copie a queste nota informando, contemporaneamente, che abbiamo chiesto un incontro con il Presidente del Senato per informarlo delle nostre valutazioni e per consegnargli la petizione che, fra pochi giorni, risulterà sottoscritta da oltre 200.000 persone.

L’autonomia scolastica.

La Legge 3/’01 richiede il rispetto più rigoroso della autonomia delle istituzioni scolastiche che deve rappresentare uno dei cardini dell'attività legislativa, proprio perché l'autonomia è stata "costituzionalizzata" ; ignorare invece la quota di curricolo di scuola, prevista dal DPR 275, e trasformarla in curricolo locale a titolarità di altre autonomie locali rappresenta una concreta lesione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. Le scuole saranno così soggette a due centralismi: quello nazionale e quello regionale che definiranno l’intero piano di studi!

Il ruolo della Repubblica.

L'obiettivo dell'elevamento dei livelli culturali della popolazione, riportato nell’articolato, appare una pura affermazione di principio, visto che scompare il richiamo costituzionale alla Repubblica come soggetto che si impegna ad assicurare a tutti i cittadini pari opportunità di formazione. Risulta così ancora più incomprensibile uno stato che si fa carico della formazione "spirituale" dei cittadini piuttosto che di quella culturale.

L’obbligo scolastico.

L'obbligo scolastico rappresenta un diritto costituzionalmente garantito, e quindi non eliminabile. Appare perciò ambiguo il richiamo all'articolo 34 della Costituzione, che prevede la durata dell'obbligo di 8 anni , ignorando la Legge 9/’99 che lo ha portato a 10 anni. Il meccanismo messo in atto dai percorsi previsti dopo la scuola media porterà a diverse durate nei tempi; infatti chi sceglie la strada della qualifica avrà 11 anni di formazione, chi utilizza il canale quadriennale dell'istruzione professionale ne avrà 12 e chi frequenta il percorso liceale ne avrà 13. Come rintracciare il dovere costituzionale di garantire uguali opportunità? Dove trova riscontro il principio dei 12 anni di formazione? Risulta anche evidente la compromissione dell'obiettivo europeo di conclusione dei percorsi entro il 18° anno di età.

Il piano finanziario.

Il piano finanziario previsto all'articolo 1 apre un lungo e spesso elenco di materie, che vanno dal quadro ordinamentale all'edilizia scolastica, che richiedono ulteriori decisioni amministrative e legislative per essere sostanziate. In questa parte è stridente il contrasto tra le affermazioni e le consistenti politiche di taglio concretamente effettuate fino ad oggi.

Ben cinque dei punti individuati nel comma 2 dell'art 1 si riferiscono ad azioni finalizzate allo sviluppo professionale e alla formazione del personale: non possiamo non rilevare come si tratti di materie che attengono alla contrattazione e al rapporto negoziale tra le parti sociali. L'apertura del tavolo per il rinnovo contrattuale, con le conseguenti risorse certe, rappresenterà subito il primo luogo di esplicitazione della volontà politica su tali materie.

Infanzia

Dal diritto alla frequenza, garantito dalla Repubblica, si passa alla "possibilità" di frequenza, introdotta per giustificare l'anticipo nell'accesso. La CGIL scuola valuta negativamente l’anticipo di 4 mesi dell’iscrizione; in particolare ritiene non rispettoso dei diritti dei bambini e del loro sviluppo l’inserimento a 2 anni e 4 mesi nella scuola dell’infanzia. L’opportunità di concludere il percorso formativo entro il 18° anno non può far dimenticare i reali bisogni della prima infanzia.

Inoltre la possibilità riservata alle famiglie per l’iscrizione anticipata dei figli rivela una concezione familistica, assistenziale e di custodia e non pedagogica dell’educazione; infatti lo stesso documento Bertagna evidenzia i rischi del precocismo e nega la scuola dell’infanzia come puro servizio assistenziale rivolto alle famiglie: il carattere formativo di questa scuola è ben delineato e definito dagli Orientamenti ’91 che vanno ancora considerati come documento programmatico di riconosciuta levatura culturale.

Altrettanto grave e discriminante risulta l’anticipo delle iscrizioni subordinato alla disponibilità finanziaria dei Comuni che non determina la garanzia di fruibilità certa del diritto allo studio sull’intero territorio nazionale.

L’esperienza della scuola dell’infanzia italiana, i cui livelli qualitativi sono ampiamente riconosciuti a livello internazionale, deve essere salvaguardata in quanto luogo di apprendimento e socializzazione che svolge un compito essenziale di prevenzione del disagio scolastico. Il governo deve generalizzare le esperienze di qualità della scuola dell’infanzia su tutto il territorio nazionale, invece di mettere in crisi un modello che funziona.
Da subito chiediamo che l’ultimo anno della scuola dell’infanzia venga reso obbligatorio sancendo finalmente nel nostro Paese il diritto delle bambine e dei bambini ad avere ovunque la loro scuola.

Elementare e media

Il Disegno di Legge è estremamente esplicito: scuola elementare e scuola media rimangono in tutto separate nonostante la cornice del ciclo primario, scompare perfino il biennio comune quinta elementare - prima media, previsto dalla commissione Bertagna come raccordo tra i due segmenti.

In questo modo non si affronta la questione della frattura nel percorso di base che ancora produce il 6% di bocciature in prima media.

Questa scansione rigidamente separata è giocata sulle discipline, che sono presenti nella scuola media, ed ignora la graduale e progressiva costruzione degli apprendimenti.

Non a caso il Disegno di Legge trascura platealmente la realtà degli istituti comprensivi, che sono il 43% delle realtà scolastiche, che aggregano scuole dell’infanzia, elementari e medie e che lavorano sulla continuità educativa, sul curricolo verticale, sull’impiego integrato del personale, sul confronto e la collaborazione tra le diverse culture professionali.
Nella scuola elementare, inoltre, si rischia di trovare un ambiente educativo impreparato ad accogliere bambini di poco più di cinque anni e anche l'organizzazione di percorsi differenziati può risultare di complessa e difficile soluzione in presenza nella stessa classe di un arco di età molto ampio.

Complessivamente le spinte precocistiche e adultistiche producono effetti negativi allo sviluppo intellettuale ed affettivo dei bambini e sui modelli di organizzazione didattica delle scuole: prevalgono i metodi trasmissivi e la compressione dei tempi, si riduce lo spazio per l'operatività, la didattica laboratoriale, il gioco.

Lo schema del Disegno di Legge entra in modo prescrittivo nel dettaglio della articolazione dei due segmenti, privando le scuole di ogni spazio di flessibilità proprio quando l’autonomia scolastica diventa una risorsa della nostra Costituzione.

Secondaria

E' il segmento in cui si introduce la canalizzazione precoce: a 14 anni, o addirittura prima in caso di anticipo, si separa il percorso liceale (statale) dal canale della formazione (regionale).

Una scelta precoce, sostanzialmente determinata dalle caratteristiche socioculturali delle famiglie di provenienza, tra il canale dell’eccellenza, per chi è destinato agli studi universitari e alle fasce alte del mercato del lavoro, e il canale della preparazione al lavoro per l’area del disagio scolastico, cui si prospetta un destino formativo e lavorativo inferiore e subalterno.

La pari dignità culturale dei due percorsi, affermata dal progetto governativo, è negata nell’architettura: la diversa durata dei percorsi (5 anni il liceo, al massimo 4 anni il canale della formazione); le prevedibili difficoltà di molte regioni ad organizzare e gestire un’offerta formativa di grande rilievo dal punto di vista quantitativo e qualitativo, vista la cattiva prova spesso fornita nella gestione dell’attuale formazione professionale; l’inevitabile debolezza culturale di un percorso prioritariamente finalizzato all’inserimento lavorativo la dicono lunga sulla condizione di inferiorità e subordinazione del canale regionale.

Contraddittorio, nel testo, il ruolo dell'ultimo anno dei licei : va dedicato al consolidamento dell'indirizzo o è proiettato verso il post-secondario e, quindi, diventa orientativo?

Gli istituti professionali di Stato con il loro patrimonio di esperienze e di competenze rischiano di tornare indietro, vista la totale diversità dei sistemi regionali di formazione professionale.

Invece di potenziare ed incentivare lo strumento degli stage e dei tirocini, che dovrebbero essere accessibili a tutti gli studenti, a prescindere dall’indirizzo di studio, si introduce il meccanismo dell'alternanza tra scuola e lavoro che può diventare uno strumento per le imprese per ottenere incentivi e utilizzare manodopera gratuita. Soprattutto perché non sono richiamati gli aspetti che hanno caratterizzato la scelta dell'apprendistato, che è un contratto, sottoposto a regole precise per il mercato del lavoro e nella definizione dello status del giovane studente lavoratore. Si rischia di trasformare l'alternanza in un terzo canale, assai dequalificato e rivolto alla fascia più debole della popolazione giovanile, senza impegni formativi per le imprese.

Emergono nettamente due distinti piani formativi, caratterizzati persino nelle parole scelte: uno destinato alla acquisizione di competenze, l'altro di abilità: parole usate l'una per il canale dell'istruzione, l'altra per quello della formazione.

Non è difficile immaginare che il sistema duale favorirà l’abbandono delle esperienze di integrazione tra scuola, formazione professionale e lavoro, così come è prevedibile che, una volta canalizzati altrove gli studenti difficili, si verifichi un riflusso delle pratiche didattiche fondate sulla centralità dello studente.

L’esigenza di innalzare i livelli di istruzione di tutti, infatti, risponde alla diffusa consapevolezza nelle democrazie occidentali che la conoscenza è il fattore strategico per progresso civile e democratico e per lo sviluppo sociale ed economico.

La precoce preparazione al lavoro non corrisponde all’evoluzione del mondo del lavoro in tutti i paesi sviluppati verso professionalità più ricche e complesse, per le quali una solida preparazione culturale di base permette maggiore duttilità, capacità di aggiornamento e riconversione nei confronti della sempre più rapida obsolescenza delle competenze professionali specifiche.

Formazione

Il canale universitario identico per la formazione di tutti i docenti lascia aperte alcune preoccupazioni rispetto alla possibilità di avvicinare scuola ed università, come è avvenuto con l'esperienza delle SSIS , dove i supervisori di tirocinio, in semiesonero, hanno rappresentato un importante canale di comunicazione.

È per noi necessario che lo studente affianchi alla preparazione più squisitamente disciplinare anche approfondimenti della stessa dal punto di vista didattico-epistemologico. Del resto l’attuale società prevede sempre più che la preparazione professionale e culturale si sviluppi lungo tutto l’arco della vita. Sarebbe dunque una contraddizione pensare che con la laurea specialistica per l’insegnamento si debba raggiungere la conoscenza completa di una o più discipline.

Una abilitazione all’insegnamento conseguita solo attraverso studi teorici, senza aver preso contatto con la realtà scolastica, avrebbe lo stesso senso di un’abilitazione alla professione medica acquisita senza essere mai entrati in una corsia di ospedale!

Infine la Costituzione italiana prevede l’accesso ai posti di lavoro nel pubblico impiego, come sono nella maggior parte dei casi quelli nelle scuole, solo attraverso concorso. Nell’articolo 5 non compare un momento conclusivo del percorso di formazione.

Che poi si entri nel merito di aspetti, il riferimento è al contenuto della lettera f), che riguardano il personale a tempo indeterminato, prefigurando soluzioni che riguardano specifiche competenze della contrattazione, non può che sollevare il nostro dissenso.

Valutazione

L'articolato demanda la valutazione degli alunni agli insegnanti e ritorna l'indicazione della valutazione del comportamento degli allievi, mentre rinvia la valutazione del sistema alla normativa successiva; il modello di valutazione che si assumerà permetterà di comprendere le finalità reali del sistema scolastico cui si riferisce.

Noi riteniamo che, in un modello scolastico che ha lo scopo di promuovere e sviluppare le potenzialità di apprendimento di tutte le persone, non si possa non adottare un modello valutativo promozionale, teso a sostenere l’azione formativa e lo sviluppo e, dunque, il miglioramento costante della qualità della formazione, che l’istituzione scolastica ed il singolo insegnante devono assicurare alla persona che apprende.

Roma, 9 maggio 2002