Il Senato discute sulle Indicazioni Nazionali
In questi giorni è in discussione al Senato una mozione presentata dalla senatrice Soliani e sottoscritta da 91 senatori delle forze politiche di opposizione che ha per oggetto le Indicazioni Nazionali per i Piani di studio Personalizzati allegate in via transitoria al Dlgs 59/04.
In questi giorni è in discussione al Senato una mozione presentata dalla senatrice Soliani e sottoscritta da 91 senatori delle forze politiche di opposizione che ha per oggetto le Indicazioni Nazionali per i Piani di studio Personalizzati allegate in via transitoria al Dlgs 59/04.
I sottoscrittori, giudicando le Indicazioni “inadeguate allo scopo” e “viziate sotto il profilo della legittimità”, chiedono che il Senato impegni il Governo al ritiro dei documenti e all’istituzione di una commissione che, espressione della comunità scientifica e della scuola, elabori gli obiettivi educativi e culturali per la scuola italiana.
Nell’illustrare la mozione, la senatrice Soliani esprime la convinzione che il governo della scuola è problema che riguarda l’intera nazione ed evidenzia come, al contrario, il metodo seguito (la non ufficializzazione della Commissione, il mancato confronto parlamentare, il non aver tenuto conto dei rilievi del CNPI e dell’associazionismo professionale e sindacale, l’adozione in via transitoria ecc…) sia fonte di conflittualità e ingeneri incertezza fra i docenti. Le scuole infatti, secondo la relatrice, vivono le Indicazioni nazionali come un arretramento rispetto “a conquiste vagliate e consolidate” e rispetto ai programmi del ’79, dell ’85 e agli orientamenti per l’infanzia del ’91, poiché in esse non si rintraccia “una visione unitaria del sapere” e trapela invece un’idea di apprendimento “secondo la quale si pensa di riempire dei contenitori vuoti”.
La lettura dei resoconti del dibattito che si è svolto al Senato risulta molto istruttiva. (sedute
685 ,
691 e
692 ).
I sostenitori della mozione espongono documentati e argomentati rilievi nel merito dei contenuti delle Indicazioni, esprimono preoccupazioni di prospettiva circa la funzione della scuola e del sapere per i ragazzi e i bambini di oggi, uomini e donne di domani, e per il futuro del paese.
I senatori della maggioranza oppongono slogan e ragionamenti che, quando non sono semplice contrapposizione ideologica, svelano una profonda ignoranza della materia trattata e della scuola reale del nostro paese, se non addirittura l’ignoranza dei contenuti della “riforma Moratti”. Solo in tali contesti, infatti, si può affermare che gli insegnanti italiani “si sono rifiutati in passato di fare le sperimentazioni già programmate” (Favaro, Forza Italia) e far derivare da ciò la necessità dell’adozione “di un codice deontologico da collocarsi nell’ambito della riformulazione ormai improcrastinabile dello stato giuridico dei docenti” dato che oggi non si sa se “i capi di istituto possano svolgere precisi e seri controlli sui programmi effettivamente svolti” (Brignone, Lega). Il senatore Bevilacqua (AN) afferma che “adesso c’è l’obbligo di frequentare la scuola fino a 18 anni di età”, mentre il sen. Compagna (UDC), se retoricamente si scusa per non aver letto le Indicazioni, contemporaneamente rivendica “che non voglio neanche leggerle”, affidandone in toto la difesa al Governo e addita “il microcorporativismo delle organizzazioni sindacali, che infetta viale Trastevere”. Valditara (AN) rivendica la paternità sua personale e del suo partito nell’aver sostituito, alla riflessione sulla lingua dei programmi della Falcucci e di Berlinguer, la grammatica, la sintassi e l’analisi logica delle Indicazioni perché questo significa “ripristinare la cultura della regola e favorire nel giovane l’ordine mentale”. Da più parti si elogia la flessibilità e l’adattabilità delle nuove Indicazioni in contrapposizione alla rigidità e all’inflessibilità della pianificazione scolastica fondate sulla centralità dei programmi berlingueriani (!).
Per fortuna che in altri passi gli stessi senatori non possono proprio non dire, ma molto marginalmente, che le Indicazioni “non sono i migliori programmi possibili” , che “risentono del fatto che più mani ne hanno caratterizzato la stesura… e di una certa farraginosità” (Valditara), che si tratta di un documento “migliorabile, perfettibile” (Favaro), fino a condividere che in effetti il metodo adottato non è quello previsto dalla normativa, cosa che non sarà tuttavia sufficiente ad accogliere la mozione.
Particolarmente significativo è infine l’intervento del sottosegretario Aprea la quale fa derivare l’adozione delle Indicazioni non tanto dall’approvazione della legge 53/03, quanto piuttosto direttamente dalla legge e dal regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche (ignorando in contemporanea l’iter legislativo lì previsto). Il valore del nuovo assetto della scuola italiana, secondo il sottosegretario, consisterebbe nel passaggio da “una scuola delle nozioni” ad una scuola che impiega le conoscenze e le abilità per “la crescita e la valorizzazione della persona umana”;
la transitorietà delle Indicazioni sarebbe lo strumento che consente ai docenti di partecipare “in prima persona alla discussione di merito dei loro contenuti” con l’auspicio che “tutti, indistintamente, al di là degli schieramenti ideologici, politici, professionali e sindacali, diano il loro contributo”.
Ma quale scuola conoscono l’on. Aprea e i suoi colleghi di maggioranza?
Se conoscessero davvero quel che è accaduto e che accade nella scuola italiana, soprattutto nel ciclo di base, saprebbero che nella maggioranza dei casi si tratta tutt’altro che di una scuola nozionistica: tale era, purtroppo, con il maestro unico e tale diventerà, purtroppo, con il tutor-tuttologo e i tempi ristretti ed affannosi previsti dalla legge 53. Tale diventerà grazie agli 800 obiettivi (tutti di contenuto) previsti dalle Indicazioni Nazionali.
Saprebbero che l’attuale assetto organizzativo non deriva dall’esigenza di impiegare in qualche modo il personale, bensì deriva da esperienze di sperimentazione, e che i docenti non hanno mai inteso la sperimentazione come un’improvvisazione (proviamo e poi vediamo se funziona), ma come pratica volta alla verifica di teorie pedagogiche ampiamente conosciute e approfondite.
Chiamano rigidità il rigore del metodo scientifico.
E quale clima collaborativo auspicano, quando, ben seguendo più illustri esempi, rifiutano di entrare e discutere il merito delle questioni?
L’unica collaborazione che cercano è quella di chi dice sempre e comunque di sì.
Roma, 19 novembre 2004