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Invalsi 3: la valutazione di sistema

Alcune osservazioni sul questionario di predisposizione e organizzazione del servizio scolastico approntato dall’Invalsi

08/07/2005
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Delle prove Invalsi molto si è detto e molto si è scritto; meno attenzione è stata prestata all’altro aspetto dell’attività che l’Invalsi sta svolgendo in ottemperanza alla direttiva ministeriale del luglio dello scorso anno: la valutazione del sistema scolastico. L’Istituto la presenta sul proprio sito come “indagine nazionale sul funzionamento delle istituzioni scolastiche”; lo strumento adoperato è un corposo questionario, inviato alle scuole quasi al termine dell’anno scolastico.

La non coincidenza dei tempi fra l’invio/esecuzione delle prove e l’inoltro del questionario di sistema ha avvalorato in molti l’ipotesi che il ministro, per il tramite dell’istituto di valutazione, potesse procedere ad una valutazione delle scuole (e magari dei docenti) attraverso la sola verifica degli apprendimenti degli alunni; ha diffuso lo sconcerto fra quanti erano convinti che le due attività affidate all’Invalsi fossero strettamente correlate, non potendo la verifica e la valutazione degli esiti prescindere dalle condizioni in/dalle modalità con cui i processi vengono attuati.
Lo sconcerto è diventato stupore e a volte forte irritazione quando, presa visione del questionario di sistema, si è dovuto constatare che le condizioni di contesto socio-economico ambientale non vengono affatto rilevate, mentre quelle di contesto scolastico sono parzialmente rilevate da un secondo e distinto questionario. Si richiedono molte informazioni di struttura (in quanti plessi, su quanti comuni si articola l’istituto, se è stato dimensionato negli ultimi anni ecc…), informazioni di cui l’amministrazione dovrebbe già essere in possesso. (Troppo spesso le scuole sono bersagliate dalle medesime richieste provenienti dai diversi uffici dell’amministrazione scolastica, o dallo stesso ufficio in tempi diversi, o da enti esterni, perché non si ponga l’urgenza della creazione di una banca dati consultabile da chi ne abbia interesse, con la garanzia ovvia della tutela dei dati sensibili, così da non gravare con richieste superflue il lavoro delle scuole.)
E se viene richiesto quanti sono gli alunni, quanti i disabili ecc…, nessuna domanda investe gli alunni immigrati di recente o meno, mentre questo è un dato che influenza non poco l’organizzazione e l’attività delle scuole. Si fa cenno all’attività di integrazione degli alunni stranieri solo nell’elenco delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica. Considerare i due interventi solo come alternativi dimostra che all’Invalsi non sanno che tra gli immigrati ci sono, oltre che i musulmani, anche i cattolicissimi sudamericani, filippini, africani…
Colpisce però soprattutto che l’intero impianto del questionario sia volto non tanto a conoscere come le scuole si sono organizzate e quali strategie hanno adottato, quanto piuttosto alla verifica (viene da dire: al controllo) dell’adesione delle stesse scuole alla “riforma” morattiana. Tutti gli aspetti, non solo quelli organizzativi, ma anche quelli metodologici vengono ricondotti ad essa. Le domande sono infatti rivolte alle classi già coinvolte (tutta la primaria e il primo anno della secondaria di primo grado) e separatamente alle altre due classi della secondaria di primo grado. Non sono però le stesse domande. Questo potrebbe avere un senso riguardo gli aspetti organizzativi (suddivisione delle attività fra obbligatorie ed opzionali, ad esempio), ma non risulta giustificabile se si tratta di strategie e di metodologie di insegnamento. Solo alla classi –diciamo così- pre-riforma si chiede se e quali informazioni sono state fornite agli studenti in merito a metodo di insegnamento, obiettivi da raggiungere ecc, mentre tutto questo non viene indagato nelle classi riformate: si dà per scontato che basta dire “siamo in una classe che segue la riforma” perché tutto diventi trasparente e limpido circa l’informazione e la comunicazione nei confronti degli alunni e delle famiglie?
Ma solo alle classi riformate viene chiesto quali metodologie di insegnamento siano state prevalentemente adottate (metodo espositivo/cooperativo/simulazione/laboratoriale ecc…). Alle altre classi non riformate, nulla di tutto questo: il questionario non consente, così, di registrare ad esempio che in una classe “non riformata” si attua una didattica laboratoriale o un insegnamento individualizzato. Forse che prima della Moratti è esistito un unico “metodo ministeriale” universalmente noto e praticato (berlingueriano?… trasmissivo?… comunista?…)? Non ce n’eravamo mai accorti, ma sappiamo che tale convincimento esiste nella mente di chi la scuola l’ha frequentata poco e male…
Oppure il fatto è che non importa quello che le scuole hanno praticato, ma è sufficiente adeguarsi al “nuovo”, che nuovo non è?
Gli esempi potrebbero continuare a iosa. Basti citare soltanto la grande attenzione che viene data al tema della valutazione. Tutto il discorso si concentra in un’analisi estremamente dettagliata di come e dove e con chi e quando si è compilato il portfolio (per fortuna, si chiede anche con quale funzione). Non viene rilevata, anzi non si vuole conoscere l’esperienza pregressa e spesso sostanziosa maturata in materia.

Siamo dunque di fronte ad uno strumento che non rileva come le scuole hanno funzionato, o quali sono i tratti di qualità di tutto il servizio prestato, che non fornisce elementi per la correlazione tra i risultati e l’organizzazione/funzionamento della scuola. Indaga che le scuole abbiano attuato la riforma.
Con ciò il questionario Invalsi è andato ben oltre le indicazioni date dal ministro attraverso la direttiva del luglio dello scorso anno.
La direttiva incaricava l’Istituto di provvedere alla valutazione di sistema con particolare riferimento al funzionamento e al pof delle istituzioni scolastiche; per le classi interessate dalla riforma un’attenzione di particolare riguardo andava prestata all’articolazione delle attività nella quota nazionale del curricolo e nelle attività obbligatorie e facoltative, nonché all’attivazione della funzione tutoriale. Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola erano subito insorte lamentando l’inopportunità di quest’ultima rilevazione a decisioni non ancora assunte, ma non avrebbero mai sospettato che l’Invalsi potesse interpretare il mandato in maniera così ampia su tutto il resto!
La cosa preoccupante è che anche la nuova direttiva e la nuova circolare Invalsi di cui abbiamo dato notizia nelle precedenti note si muovono sulla stessa linea. Riguardo la valutazione di sistema la formulazione è identica a quella dell’anno passato, ma è stato doverosamente tolto il riferimento all’indagine sull’attivazione delle funzioni tutoriali. Verrà riproposto lo stesso questionario?
Per il prossimo anno scolastico la rilevazione di sistema è prevista nella fase conclusiva. Sarà impossibile la correlazione con l’indagine sulle conoscenze degli alunni, che si svolgerà invece nella fase iniziale.
Quale utilità ne trarranno le scuole? E l’Amministrazione?

Un’ultima segnalazione riguarda la difficoltà che le scuole hanno incontrato nella compilazione on-line del questionario. Il sovraccarico sul sistema ha causato lentezze tali che hanno costretto i compilatori (in genere i dirigenti scolastici) al lavoro in ore serali: se avessero atteso le lentezze tra una risposta e l'altra avrebbero impiegato ben 22 ore circa per la sola compilazione. La data ultima fissata per la compilazione è stata perciò spostata.

Roma, 8 luglio 2005

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