L'Anci sulla delega per l'istruzione e formazione professionale
Pubblichiamo di seguito il documento sul Disegno di Legge-delega relativo alle "Norme generali sull'istruzione e livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale", predisposto dall’ANCI,
Pubblichiamo di seguito il documento sul Disegno di Legge -delega relativo alle "Norme generali sull'istruzione e livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale", predisposto dall’ANCI, consegnato nella Conferenza Unificata del 14 febbraio u.s.
Roma, 28 febbraio 2002
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Da anni l’A.N.C.I. e l’UNCEM seguono i lavori del Governo e del Parlamento per contribuire, con funzioni e compiti specifici, alla realizzazione del vasto disegno riformatore del sistema scolastico italiano.
Il cambio di ministri e di filosofie politiche che azzerano, in alcuni casi, riforme faticosamente messe a punto, se da un lato legittimano giustamente una visione diversa di una nuova classe dirigente, dall’altro esasperano lo sforzo dei Comuni che devono favorire e adattare sul territorio scelte che cambiano troppo rapidamente.
Anche sulla scorta di una solida esperienza di organizzazione e gestione diretta delle scuole degli enti locali - di vari ordini e gradi - con dignità pubblica parimente riconosciuta, ci sembra opportuno cogliere e generalizzare alcuni dubbi che emergono dalla lettura di questo schema del ddl che evidenzia - tra l’altro - i ruoli dello Stato, delle Regioni e delle scuole autonome, mentre lascia pressoché inespressi quelli di Province e Comuni.
Prioritariamente va detto che i Comuni non condividono la scelta operata dal Governo di procedere con lo strumento della legge-delega in una materia così delicata e di competenza di tutti i soggetti istituzionali stato, regioni, enti locali.
Lo strumento della legge delega infatti sottrae agli Enti Locali la possibilità di intervenire nella puntuale osservazione sui testi dei provvedimenti delegati, indispensabile ai fini della loro necessaria condivisione.
Una tale procedura appare inaccettabile specialmente a fronte della parificazione dei soggetti costituzionali, operata dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha espressamente previsto che la materia dell’istruzione non sia più di esclusiva competenza dello stato, ma in parte di competenza concorrente in altra esclusiva delle regioni, con significativi punti di contatto funzionale con i compiti attribuiti agli enti locali.
La equiordinazione dei diversi livelli costituzionali e l’affidamento agli Enti locali della generalità delle funzioni amministrative, già presente nel nostro ordinamento, si pensi all’articolo 4 della legge 127/97, pone alle competenze dei Comuni il solo limite dell’autonomia scolastica.
Pertanto il compito dei Comuni, titolari di una propria funzione normativa per l’esecuzione dei principi e per la concretizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni, sia pure in una ampia collaborazione con gli altri soggetti, non può essere circoscritto alla espressione di un più o meno cogente parere limitato agli indirizzi che si intendono adottare.
I Comuni dovranno invece essere associati nella discussione sull’intero quadro che scaturirà dall’adozione dei principi stessi. Spetterà poi alle Regioni contestare il diritto dello stato di assumere regolamenti in materia di legislazione non esclusiva come certo sono gli argomenti elencati nella legge di delega.
In merito al testo, l’A.N.C.I. e l’UNCEM intendono esplicitare le seguenti considerazioni:
Innanzitutto si concorda con la opportunità di porre mano ai miglioramenti della riforma della scuola, che si reputino necessari per ottenere una riforma apprezzata dalla più ampia maggioranza possibile di famiglie, studenti ed operatori, tuttavia non si può nascondere una preoccupazione sui tempi, anche in relazione al fatto che il testo fissa in 24 mesi, a decorrere dalla approvazione della legge il limite di tempo per l’adozione dei provvedimenti delegati.
Tale lunghezza nella realizzazione priverà non solo gli studenti del corrente anno scolastico, ma anche dei prossimi, dei benefici, seppure parziali, delle novità introdotte dalla legge 30.
- Inoltre si apprezza l’enunciazione dell’articolo 1, comma 1 che si propone obiettivi che si condividono, mentre si chiede che di seguito alla frase " nel rispetto dei principi costituzionali delle regioni e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche" si aggiunga "e degli enti locali, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali".
Quanto ai principi, l’A.N.C.I. e l’UNCEM intendono rilevare che la nuova formulazione di "diritto-dovere" che assume "l’obbligo scolastico" previsto all’articolo 34 della Costituzione, può essere condiviso solo se esemplificativa di una idea non di una modifica, poiché a questa si può procedere solo con legge costituzionale.
Articolo 2
punto e): relativo alla iscrizione alla scuola materna di bambini che compiono 3 anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento.
L’A.N.C.I. e l’UNCEM esprimono contrarietà e preoccupazione per una tale possibilità che si lascia ad una scelta indiscriminata e senza alcuna condizione; ciò per due ordini di considerazioni, una di carattere psico-pedagogico, l’altra di carattere organizzativo-finanziario.
La grande esperienza tutta italiana dei nidi emiliani e degli altri comuni, ( è allegata una scheda predisposta dal Comune di Roma) che da tempo hanno dedicato alla fascia d’età 0-6 anni, grandi e qualificate risorse economiche e professionali, ben superiori sia al contributo delle famiglie che delle regioni o dello stato, ha creato una competenza generale e inoppugnabile, favorendo anche la crescita di pubblicazioni scientifiche e di ricerche universitarie.
E' stato dimostrato in modo inconfutabile che la crescita dei bambini ha tempi che non sono comprimibili neppure dalla fretta delle famiglie o dalle loro esigenze lavorative e che qualsiasi forzatura si rivelerà pericolosa per la salute mentale dei piccoli, la loro crescita equilibrata, compromettendo la loro naturale capacità di socializzare in un luogo di pari, come è il nido o la materna.
L’ingresso il primo settembre alla scuola materna di bimbi di due anni e 4 mesi, che si dovranno confrontare non con i coetanei, ma con bimbi che hanno compiuto i 3 anni da maggio in poi dell’anno precedente, più grandi quindi anche di 16 mesi, dimostra la sottovalutazione o peggio una noncuranza di tutte le implicazioni psicologiche che scaturiscono da rapporti squilibrati.
L’anticipo dell'ingresso alla scuola materna, oltre tutte le controindicazioni già espresse, comporterebbe la necessità di una revisione degli organici in incremento, con la necessità di prevedere un organico funzionale di scuola e non più di circolo/istituto, perchè non è pensabile di procedere a rapporto numerico invariato (1 insegnante per 25/28 bambini sul turno in tutte le scuole).
Considerato che necessiteranno anche nuovi locali, l'anticipo dei 2 mesi doveva caso mai essere procrastinato e non anticipato, per dare il tempo ai comuni (obbligati a fornire i locali alle scuole d'infanzia statali e, ovviamente, comunali) di approntare i nuovi locali.
Il volere applicare la riforma "da subito" porterà a gravi disorganizzazioni nei servizi: i nuovi potenziali iscritti saranno aggiunti in coda a quelli che hanno fatto domanda entro il 20 gennaio o avranno uguali opportunità?!. Se fosse vera la seconda ipotesi, dovremmo rifare tutte le graduatorie, rifacendo fare le domande a tutti; in ogni caso non riusciremo a fare le graduatorie definitive prima dell'estate. Nel primo caso, i nuovi utenti resteranno fuori dalle scuole e grideranno alla "beffa".
Grave problema organizzativo: le famiglie possono chiedere l'anticipo a 2 anni e 4 mesi alla scuola d'infanzia (includendo i nati da gennaio ad aprile), ma non sono obbligati ad iscriverli con lo stesso anticipo alla scuola elementare. Cosa succederà per i bambini che resteranno alla scuola d'infanzia?!; faremo sezioni di 28-30-ecc. a seconda di quanti non hanno chiesto l'iscrizione alle elementari?; li cacceremo comunque da scuola o creeremo un 4° anno di scuola d'infanzia?.
Oltre a questo, i bambini con problemi di inserimento (handicap, difficoltà relazionali, ritardo cognitivo, ecc.) utilizzeranno in massa l'opportunità di iscriversi alla scuola d'infanzia in anticipo, ma ve li lasceranno fino al compimento dei 6 anni pieni: già oggi dobbiamo discutere con molte famiglie (e i tecnici ASL) per passare alle elementari bambini di 7 e anche 8 anni.
Si tenga inoltre conto che le tipologie di scuola dell'infanzia in Italia non prevedono a tutt’oggi una condizione generalizzata di sezioni per età omogenee e quindi è necessario ricordare ad es. i tempi di conquista piena delle autonomie di base.
In sintesi, l'attuazione dell'anticipo dell'inserimento nelle scuole dell'Infanzia/materne richiede tempi non brevi e fondi ad hoc per:
-la rielaborazione del progetto educativo, in relazione alle caratteristiche dello sviluppo psicofisiologico dei bambini più piccoli;
-la definizione del profilo professionale dei docenti
-la formazione del personale docente e non-docente
-la progettazione e la trasformazione ambientale degli spazi
-lo studio, la sperimentazione e l'attuazione di un diverso modello organizzativo
La seconda questione riguarda l’aspetto economico organizzativo.
A meno che non si vogliano costringere gli Enti (autonomi) a riscrivere tutti i Regolamenti dei servizi entro i prossimi due mesi, le classi di scuola materna funzionanti non possono accogliere la nuova ondata di bambini del primo e del successivo incremento, in quanto sono già al massimo della capienza stabilita dalle leggi vigenti, avendo dovuto assorbire l’aumento di utenza italiana e straniera registrata negli ultimi anni, per tale fasce di età, da tutte le statistiche, comprese quelle del Ministero dell’Istruzione.
Alcuni Comuni hanno già valutato l’incremento dei servizi cui sarebbero costretti dall’anticipo in esame.
Nel Comune di Modena, di cui ad esempio della situazione generale si allega una scheda particolareggiata, allegato 2, occorrerebbero 50 nuove aule, per non parlare di tutti i servizi aggiuntivi, per un costo complessivo di 12 miliardi, che in scala nazionale renderebbe necessario lo stanziamento aggiuntivo di 1.300 miliardi.
Mentre come è noto nella legge finanziaria per l’anno 2002 non è stato previsto, scelta inusitata nell’ultimo decennio, nessun finanziamento per l’edilizia scolastica.
Non si può poi tacere che qualsiasi incremento di oneri conseguente i nuovi ingressi, la formazione degli insegnanti integrata con competenze finora proprie solo delle educatrici dei nidi, la refezione scolastica, il trasporto scolastico riservato o il sostegno ai disabili, il prescuola, il materiale didattico etc, è vietato agli Enti cui le nuove norme finanziarie impongono un tetto di spesa.
Ancora sull’articolo 2 rispetto alle questioni dell’offerta formativa: la affermazione secondo cui "i piani di studio contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle Regioni.." sembra ridurre la attuale collaborazione tra scuole e Comuni che è delineata nelle procedure di definizione, da parte delle scuole, sentiti gli enti locali, delle parti volte a rispondere ai bisogni culturali e socio economici provenienti dai territori ove le singole istituzioni scolastiche si trovano ad operare.
Pare di intendere, invece, che il curricolo obbligatorio venga ripartito tra Stato e regioni (rimanendo alla scuola solo il compito di declinare), mentre ai bisogni localmente e comunemente rilevati si dovrebbe andare ad utilizzare la parte degli ampliamenti dell'offerta formativa, facoltativi per gli alunni e obbligatori (solo fino ad un definito monte orario) per la scuola.
I Comuni intravedono grandi pericoli di possibili interventi ideologici delle singole regioni e sono drasticamente contrari alla negazione di fatto dell'autonomia scolastica e delle autonomie locali che deriva dalla cancellazione delle norme che regolamentano l'autonomia scolastica e delle leggi che hanno attribuito nuove funzioni e compiti agli enti locali (in particolare DLgs 112/98 e DPR 275/99).
Ancora un problema costituisce la scomparsa di ogni indicazione per la generalizzazione degli istituti comprensivi e nell'eliminazione del biennio V elem-I media, della precedente stesura del DDL, da cui si intravede la volontà di mantenere completamente separate la scuola elementare e la scuola media.
Gli istituti comprensivi sono oltre il 40% del totale delle scuole funzionanti. Sono stati fortemente voluti dai comuni sia, in origine, come modalità di mantenere il presidio della scuola pubblica nei comuni di montagna sia, negli anni più recenti, come modello organizzativo che garantisce una migliore qualità del servizio unendola ad una maggiore razionalizzazione delle spese sia interne alla scuole sia relative ai servizi di supporto.
Questioni relative alle scuole superiori:
Quando si parla di "seconda gamba" del sistema educativo nazionale, ovvero la formazione professionale che prevede "alternanza scuola-lavoro", l’A.N.C.I. e l’UNCEM non possono che prevedere difficoltà di organizzazione sul territorio di stage di massa in aziende pubbliche o private - là dove queste siano presenti - e situazioni sperequative tra un’area e l’altra del Paese.
Se la possibilità di passaggio all’interno del sistema dei licei sembra ipotesi concretamente complessa, assai difficoltosa se non improbabile appare, nel tempo, il salto dalla formazione professionale al sistema istruzione; si pone inoltre un problema di sicurezza in azienda e anche su questo aspetto - come su altri - sarebbe interessante conoscere le riflessioni dei settori produttivi.
Per quanto si possa sperare nella nuova dirigenza scolastica, certo non sarà leggera la "responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa" nella costruzione e realizzazione del ciclo formativo dai 15 ai 18 anni "sulla base di intese con le imprese e/o le rispettive associazioni di rappresentanza, enti pubblici e privati, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro".
Se i Comuni dovranno concorrere a favorire queste iniziative, ovviamente dovrà essere sempre chiarita la fonte degli interventi finanziari.
Il giusto apprendimento continuo, fortemente delegato e sostenuto a livello locale, per "l’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea" presuppone la formazione di cittadini (europei) con più alti bagagli culturali umanistici e tecnologici trasversalmente acquisiti in termini culturali.
La scelta di uno dei due binari formativi dopo la terza media appare come rigida categorizzazione, classificazione dei giovani che non sprona ad un’ampia crescita intellettuale ma limita in un percorso pericolosamente a senso unico.
La determinazione di "favorire la formazione spirituale e morale e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale e nazionale ed alla civiltà europea" non sembra di facile applicazione nei quartieri di quei Comuni e nei paesi di quelle Province che hanno avuto forti flussi migratori da paesi di religione e civiltà diversa dalla nostra.
Nel ddl si affronta in modo sbrigativo il tema dei piani di studio. Qualche dettaglio in più dovrebbe essere espresso circa la "quota riservata alle regioni, per gli aspetti di loro specifico interesse, collegati anche con le realtà locali".
Articolo 3: sembrano incoerenti tra loro le enunciazioni del punto a) in cui inizialmente si affidano le valutazioni periodiche e annuali degli studenti ai docenti, con le verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli allievi affidate, dall’ultimo comma dello stesso punto, all’Istituto Nazionale della Valutazione del Sistema di Istruzione, che potrebbe comunque acquisire tutte le indicazioni utili allo svolgimento del proprio compito, senza replicare le desuete modalità delle ispezioni ministeriali.
Rispetto all’introduzione di una struttura sistemica di valutazione nazionale, il rischio è di vedere "bocciati" dal centro quei ragazzi e quegli istituti della periferia socialmente debole, dove magari viene dato il massimo contributo da insegnanti e allievi stessi.
Tra le questioni ancora da segnalare è quella che concerne la durata oraria settimanale dell’istruzione obbligatoria e la sua articolazione giornaliera, cui si collega l’organizzazione dei servizi aggiuntivi di competenza dei Comuni, che dovrebbe essere inserita tra i livelli minimi essenziali delle prestazioni.
Nella riunione tecnica della conferenza del 12 febbraio u.s., la rappresentante del Ministero dell’Istruzione ha comunicato che la riduzione a 25 ore settimanali, dell’orario obbligatorio è da considerarsi superata, in quanto non ha ottenuto il consenso delle famiglie e degli Enti locali.
Naturalmente l’A.N.C.I. e l’UNCEM valutano positivamente tale assicurazione, esprime soddisfazione per la sensibilità rispetto alle preoccupazioni non solo proprie, ma delle famiglie, di cui i Comuni si erano fatti portavoce nella loro titolarità di rappresentanza delle esigenze del territorio e rimane comunque in attesa di conoscere i provvedimenti che chiariscano tali punti, su cui esprimere il proprio parere.
Ancora all’art. 3 non appare chiara la "ripetenza" dell’ultimo anno del biennio, quando per il Consiglio di classe potesse essere più proficua una ripetenza al primo anno del biennio stesso.
Circa il vincolo contrattuale dei docenti alla permanenza nella stessa sede per l’intero biennio, quale parametro della continuità didattica, si intravedono complesse problematiche nella gestione degli organici - specialmente nel secondo ciclo dei licei.
L’auspicio è che i decreti legislativi, che devono essere emanati entro 24 mesi dall’approvazione della legge, siano soprattutto espressione di garanzia delle realtà e delle problematiche del territorio locale - Province e Comuni - punti di partenza (e non di arrivo) di percorsi funzionali allo sviluppo articolato del sistema Paese, come del resto previsto dal nuovo titolo V della Costituzione.
Si allegano: n°1 dal Comune di Roma
n°2 dal Comune di Modena
Allegato n° 1 Appunti sulle difficoltà in relazione all'anticipo dell'inserimento nella scuola materna dei bambini di meno di 3 anni del Comune di Roma.
Rispetto allo sviluppo del bambino
La scuola dell'Infanzia per i Comuni e Materna per lo Stato, ha come punto di riferimento per i contenuti pedagogici gli Orientamenti del 91. Questo documento, lungi dall'essere una mera guida per la programmazione delle attività didattiche, delinea una struttura educativa fortemente centrata su una concezione peculiare e specifica del bambino in riferimento alla fascia 3-6 anni: "La scuola dell'infanzia concorre, nell'ambito del sistema scolastico, a promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai tre ai sei anni di età, nella prospettiva della formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente partecipi alla vita della comunità locale, nazionale e internazionale. (Orientamenti dell'attività educativa nelle Scuole Materne Statali - Decreto Ministeriale 3 giugno 1991)
L'impostazione degli Orientamenti per l'attività didattica partono dal presupposto che in questa fascia di età il bambino può far proprie le esperienze che il contesto educativo propone, traendone opportunità costruttive che permettono un reale sviluppo della personalità, sia sotto l'aspetto cognitivo, sia sotto l'aspetto emotivo. Gli Orientamenti descrivono puntualmente le caratteristiche psicofisiologiche della fascia di età 3-6 e da questa analisi ne scaturisce l'impostazione metodologica.
Non solo, gli Orientamenti fanno riferimento ad una cultura dell'infanzia che correttamente tiene conto della complessità dei contesti, della stretta interrelazione e interdipendenza dei comportamenti della comunità degli adulti, di ciò che gli esseri umani pensano ai giorni nostri di cos'è il sapere e di come si struttura nell'individuo.
La plasticità dello sviluppo infantile è intesa come una possibilità di strutturare la propria autonomia in un contesto che suggerisce delle esperienze nelle quali il bambino sperimenta la possibilità di prendere decisioni.
Per questa specifica fascia di età, la possibilità di fare esperienze che in un certo senso creano una disponibilità psicologica dell'individuo a strutturare una propria identità, a raggiungere livelli di autonomia e di competenze che gli permetteranno nel futuro di percepire se stesso come persona libera che interagisce costruttivamente con gli altri, ha come presupposto che il bambino abbia avuto la possibilità nei primissimi anni della sua vita di avere risposte alle sue esigenze psicofisiologiche.
Storicamente, chi si è occupato di servizi per la prima infanzia (O-6), ha elaborato modelli di servizi differenziati per i due periodi: 0-3 e 3-6.
Questo dato di fatto trova origine in uno scenario abbastanza complesso:
- i due servizi, nido e scuola, sono nati per rispondere ad esigenze molto diverse
- nella loro storia i due servizi hanno elaborato modelli peculiari di risposta alle esigenze dei bambini
- nel tempo, nei due servizi si è delineata un'organizzazione specifica della struttura
Attualmente, pur nel rispetto di una concezione di servizi per la prima infanzia che devono necessariamente rispondere alla continuità della crescita (i due regolamenti di Roma per le Scuole dell'Infanzia e per i Nidi, hanno le stesse premesse) è necessario non sottovalutare questa "specializzazione" delle due strutture che si è delineato nella loro storia.
Questo è tanto più vero se si pensa che il nido e la scuola dell'infanzia/materna hanno la complessità che scaturisce dall'essere una risposta educativa degli adulti nei confronti delle nuove generazioni. Ogni modifica nelle e tra le due strutture richiede che venga rielaborato il pensiero di bambino cui si propongono le esperienze.
Rispetto al progetto educativo
Il progetto educativo di una struttura si traduce nel quotidiano in una organizzazione dello spazio, del tempo e del contesto dell'esperienza che deve necessariamente rispondere alle domande: ciascun bambino può cogliere l'opportunità di crescita che si struttura? Questa opportunità ha un carattere di reale incidenza sullo sviluppo della sua personalità?
Rispetto agli spazi e all'organizzazione
Nei confronti di un eventuale anticipo la scuola dell'infanzia/materna deve essere ripensata rispetto alla fase di sviluppo di bambini più piccoli:
devono essere ripensati gli spazi: ambienti per il sonno, luoghi per i pasti diversi dalle mense, zone per attività di piccolo gruppo;
devono essere ripensati gli orari dell'intera struttura: organizzazione di una giornata che rispetta i ritmi lenti dello scoprire il mondo e del fare proprie le esperienze, organizzazione del trasformarsi e del cambiare delle attività che rispetta il comporsi e scomporsi dei piccoli gruppi presenti nei diversi momenti
Rispetto al personale
La necessità di rivedere un progetto educativo ed un'organizzazione della struttura comporta necessariamente una riflessione, ed eventuali modifiche, relativamente al profilo professionale degli insegnanti della scuola dell'infanzia/materna: sempre dagli Orientamenti "L'insegnante, attraverso una regia equilibrata ed attenta, capace anche di interpretare e valorizzare i cosiddetti 'errori', guiderà il bambino a prendere coscienza di sé e delle proprie risorse, ad adattarsi creativamente alla realtà ed a conoscerla, controllarla e modificarla per iniziare a costruire, la propria storia personale all'interno del contesto in cui vive."
A queste caratteristiche professionali andranno quantomeno affiancate tutte quelle che sono fondamentali con i bambini pi- piccoli e che, molto sinteticamente, possono essere riassunte nel concetto di accoglienza e contenimento psicologico del bambino. Solo queste peculiarità del rapporto adulto-bambino permetteranno, pochi mesi dopo, al bambino di intraprendere il percorso delineato dagli Orientamenti.
Sicuramente per esercitare questa funzione saranno necessarie, dopo l'elaborazione del profilo, delle attività di formazione complesse che formino i docenti pi- alla relazione, che non alla manipolazione di oggetti e programmi.
Un'organizzazione di una struttura che vuole essere educativa per i bambini più piccoli, e vuole essere educativa in tutti i momenti della giornata e in tutti i luoghi in cui fluisce il tempo-scuola, richiede necessariamente una diversa organizzazione del tempo-lavoro dei docenti e del personale non-docente. Questo, molto probabilmente potrebbe richiedere un incremento degli organici.
Una modifica apparentemente semplice (diminuire di pochi mesi l'ingresso nella scuola dell'infanzia/materna) se non è inserita nella complessità dell'educare, rischia di essere unmodo semplicistico di rispondere al compito della formazione delle nuove generazioni
Allegato n°2 Comune di Modena
Il tema più rilevante resta, comunque , quello dei costi.
In 4 mesi, a Modena, nascono circa 530 bambini, di questi entrano al nido il 27-30% (ma è una situazione modenese e di poche altre realtà): anche questi chiederanno in buona parte la scuola d'infanzia, che ha una retta mediamente inferiore del 60% rispetto a quella del nido.
Gli altri, soprattutto nella maggior parte del Paese ove non ci sono nidi, chiederanno tale servizio, che la legge delega definisce "un diritto".
Se anche solo il 70% delle famiglie utilizza l'anticipo, avremo 370 bambini in più da collocare in struttura per 3 anni. Con scuole d'infanzia con 75 posti, fanno 5 nuovi plessi che - ad almeno 3 miliardi di costo l'uno - dà 15 miliardi solo d'investimento; se si considera l'anticipo solo di 2 mesi, il costo è dimezzato.
La spesa corrente, dedotte le rette, nelle scuole d'infanzia comunali e statali/convenzionate varia da 1 a 9 milioni l'anno (oltre i contributi statali, che comunque lo Stato dovrà reperire) per bambino, per un totale minimo di 370 milioni (se si estendono le convenzioni con FISM o si aprono statali) fino a 9 volte tanto per 3 anni.
Nell'ipotesi di solo 2 mesi di anticipo cui non seguano gli altri 2 mesi (marzo-aprile) il costo è la metà di dette cifre.
Tradotto a livello nazionale, vuol dire un investimento di almeno 4000 miliardi e altri 120 miliardi di spesa corrente solo a carico dei Comuni, nell'ipotesi - assai peregrina - che si aprano statali o vi siano posti liberi nelle FISM.
Questo solo nella fase transitoria, se si procede come prevede il decreto-legge. Se gli altri 2 mesi vengono "aggiunti" dopo almeno un biennio, allora decisamente la spesa rimane quella calcolata sopra come "metà": si inseriscono nei nuovi locali approntati per i nati in gennaio-febbraio, quelli nati in marzo-aprile quando i primi hanno completato il ciclo.
Va considerato che il costo della fase transitoria, per le scuole d'infanzia, viene ridotto dal numero di bambini che anticipano l'iscrizione alle elementari. Nell'ipotesi che si tratti del 50% degli aventi diritto, il costo delle scuole d'infanzia si riduce, per gli investimenti e per la spesa corrente del 37% circa, sia a livello comunale che nazionale.
Prudenza avrebbe voluto che si cominciasse, fra un paio d'anni ad ammettere i nati in gennaio e ogni tre anni, progressivamente, si anticipava di un altro mese.
A regime si avrà una anticipazione dell'avvio della scuola di 4 mesi, che a regime non avrà le conseguenze catastrofiche di cui sopra, anche se molto pesanti.
Qualora tutti i bambini che chiedono l'anticipo alla scuola d'infanzia lo mantengano anche alle elementari, la ripercussione sui costi a regime dovrebbe essere nulla.
Qui bisogna, però, fare alcune valutazioni, anche se opinabili.
Se almeno un 7% di bambini anticipano l'iscrizione alla scuola d'infanzia pur mantenendo l'iscrizione alla elementare nell'epoca regolare dei 6 anni, si ha un aumento - a Modena - di circa 110 bambini, cui fornire la scuola: dà un costo di investimento di 4,5 miliardi e una spesa corrente di 110 milioni annui, se si aprono statali o FISM.
A livello nazionale, indicativamente, darebbe un 1300 miliardi di investimento e 35 miliardi di spesa corrente; in realtà la somma è più elevata perché in molte parti d'Italia si è ancora lungi dall'avere assicurato il posto/materna a tutti, come prevede la nuova legge (io faccio i conti su Modena, ove conteggio solo i costi aggiuntivi determinati dalla legge).
...Ma vi è il blocco triennale degli organici degli insegnati di scuola d'infanzia e quindi <>; se dovranno essere gli Enti locali i costi aumentano smisuratamente e non vale nemmeno la pena di calcolarne i costi. Anche le scuole private, almeno a Modena, sono già tutte piene a seguito dell'aumento dei nati e dovrebbero costruire nuove scuole… e non lo faranno gratuitamente!.
Non trascuriamo un aumento di costi d'investimento, su Modena, di almeno 200-300 milioni per adattare le sezioni "tre anni" ai bisogni di bambini che ora sono al nido, con spazi per fasciatoi, ecc. Poi vi sono costi legati al fatto che nelle comunali dovremo pur mettere un po' di personale in più: non si gestiscono bambini di poco più di due anni (ora al nido c'è un rapporto 1:7 o 1:8) con un rapporto 1:12,5; si dovrebbero prevedere almeno 300 milioni in più di personale.
A livello nazionale è difficile dire, perché il discorso della spesa corrente vale solo per chi ha comunali, mentre restano i costi per gli adattamenti edili.
Si assume che, a regime, tutti i bambini che abbiano anticipato, si iscrivano col medesimo anticipo alle medie inferiori. Vi sarà probabilmente un aumento delle ripetenze, specie per i soggetti più deboli, ma difficilmente valutabile quantitativamente oggi.
Fin qui si è calcolato che del 34% che può chiedere l'anticipo, si è ipotizzato che solo un 24% lo chieda effettivamente e, di questi, un 7% si fermi un anno in più alla scuola d'infanzia : sono stime prudenziali.
Nel periodo transitorio, alle elementari, i costi d'investimento sono drammatici limitatamente all'anticipo dei 2 mesi.
Se anche solo il 70% chiede l'anticipo dei 4 mesi(ed è credibile, perché, una volta anticipato alla scuola d'infanzia, poi si va all'elementare con anticipo) si ha a Modena: più 380 bambini da mantenere a scuola per 5 anni, quindi un totale di 20 classi, cioè 4 plessi da un corso, che costano (col terreno) almeno 5 miliardi l'uno, totale di 20 miliardi. A livello nazionale dovrebbe dare circa 6.000 miliardi.
Con una semplice proporzione (6.000:5 = X:3) si ottiene il costo presunto di oltre 12 miliardi per Modena e 3.600 a livello nazionale. E' questo il costo per i Comuni della "ondina anomala" che si crea con un anticipo di 4 mesi.
Alla fine, si avrebbe comunque un aumento del patrimonio di scuole, che - a Modena e in altre zone con ripresa demografica in atto - presenterebbe aspetti anche positivi. Resta dubbia la possibilità di sommare il finanziamento e la costruzione di nuovi plessi per fare fronte all'"ondina" con la necessità di nuovi plessi derivanti dalla ripresa delle nascite.