La Cgil Scuola al Convegno Aran a Roma
Pubblichiamo il testo dell'intervento del responsabile nazionale dei Dirigenti Scolastici pronunciato al Convegno organizzato dall'Aran a Roma il 30 novembre 2001 dal titolo " La Dirigenza scolastica ed il nuovo assetto della scuola"
Seminario ARAN - ROMA - 30 novembre 2001
Pubblichiamo il testo dell'intervento del responsabile nazionale dei Dirigenti Scolastici pronunciato al Convegno organizzato dall'Aran a Roma il 30 novembre 2001 dal titolo " La Dirigenza scolastica ed il nuovo assetto della scuola"
Roma, 3 dicembre 2001
Ringraziamo l’Agenzia per averci invitato a riflettere insieme sulla scuola e sui Dirigenti Scolastici.
La scuola è un sistema complesso
Crediamo di potere affermare che un tratto culturale comune di gran parte dei negoziatori sia stato quello di partire dalla consapevolezza che la scuola è un sistema complesso, non riducibile ad una sola dimensione, ad esempio quella amministrativa, non comparabile con altre situazioni lavorative, per la presenza degli Organi Collegiali, non gerarchizzabile nelle sua organizzazione, per la presenza di un organo tecnico-professionale, quale il Collegio docenti
Questi tratti di differenziazione, che, insieme considerati, fanno della scuola un sistema ad elevata complessità gestionale, hanno imposto ed impongono di lavorare con creatività, per continuare a portare avanti le riforme che hanno nell’autonomia il loro terreno fecondo di svilupo.
Proprio perché la scuola, contrariamente ad una fabbrica o ad un Ufficio, che appartengono, anche nella gestione, più ai sistemi della linearità che non a quelli della complessità, si potrebbe dire cioè più alla linea fordista-taylorista che alla linea post-moderna, la scuola - dicevamo - si presenta come un terreno dove la pluralità dei soggetti, la differenza profonda degli interessi in gioco, la compresenza degli organismi e delle unità operative reclamano scelte delicate, se si vuole che l’equilibrio fra le prerogative e i poteri sia fecondo e produttivo.
La scuola vuole un assetto "piatto" e un Dirigente che dirige, non comanda
La riforma della scuola, la riforma della Pubblica Amministrazione, la Dirigenza scolastica, seppur sono nate a distanza di pochi anni l’una dall’altra, stanno tuttavia crescendo insieme.
La Dirigenza scolastica, senza la riforma dell’Amministrazione avviata col D.L.vo 29 e senza la riforma autonomistica avviata con la cosiddetta Legge Bassanini, non sarebbe nata.
La Dirigenza Scolastica esiste in quanto esiste l’autonomia di gestione del Dirigente e in quanto esiste l’autonomia delle scuole. Un’ autonomia che, peraltro, ha, dopo il 7 ottobre, rilievo costituzionale, giacché la scuola è, dopo l’approvazione tramite Referendum della Riforma del Titolo V della Seconda parte della Costituzione Repubblicana, un Ente Costituzionale. Con ciò confermando il rilievo del diritto all’istruzione come diritto costituzionale non alienabile, cioè non vendibile, cioè non riducibile a merce. E questo è principio profondamente liberale, che risale addirittura ad Adam Smith, che includeva fra i servizi non di mercato la salute, l’assistenza, l’istruzione.
Il principio primo, la consapevolezza prioritaria che deve orientare la teoria e la pratica della funzione dirigenziale nella scuola, è che la scuola è una organizzazione non gerarchica.
Infatti, se grazie alla Riforma dell’Amministrazione avviata nel 1993 che ha sancito la netta separazione fra compiti di indirizzo e controllo affidati al governo politico e poteri di gestione affidato al Dirigente, e se grazie al D.L.vo 59/98, che ha istituito la Dirigenza scolastica, finalmente il Dirigente di scuola cessa di essere il primus inter pares dei Decreti Delegati, cionondimeno, il suo profilo e l’impianto autonomistico delle scuole ci consegnano un ruolo non esclusivamente amministrativo e anzi prevalentemente e solidamente educativo.
Basta a questo proposito comparare l’art 17 con l’art. 25 del D.L.vo 165 per rendersi conto quanto diverso sia il potere del Dirigente amministrativo da quello del Dirigente scolastico. Quest’ultimo, infatti, si esercita nel rispetto delle competenze degli Organi Collegiali e nella dimensione organizzativa delle attività, mentre il primo dirige direttamente le attività degli Uffici.
La nostra Dirigenza si espleta così in una situazione dove Dirigente, Consiglio dell’Istituzione e Collegio sono soggetti non gerarchizzati, ma equiordinati.
Perché la scuola è "organizzazione orizzontale", non verticale né verticalizzabile. E auspicheremmo dal decisore politico scelte non verticalizzanti. Perché nella scuola non sarebbero funzionali, e perché la scuola, secondo le nuove ricerche, sta anzi diventando, per il suo modello non gerarchico, luogo lavorativo da guardare con attenzione imitativa.
E ben si comprende perché. Perché il dirigismo non funziona, nemmeno nelle organizzazioni private: funziona invece l’autonomia. L’autonomia dei soggetti e degli organismi. E nella scuola l’autonomia è la "cifra" dei professionisti che vi operano.
Felicemente la scuola si trova in una paradossale situazione di assetto organizzativo avanzato, post-fordista, dunque moderno, che va rafforzato, va affinato, ma non va smantellato.
Ciò certamente costituisce la fatica, diremmo anzi con più precisione la "costitutiva sofferenza professionale del Dirigente Scolastico", che è quella di dovere, più che in qualsiasi altro posto lavorativo, "contare" sugli altri.
Perché "gli altri" sono, non impiegati, ma professionisti che lavorano in autonomia, di cui il Dirigente può e deve coordinare l’attività attraverso direttive.
E’ il modello della leadership che dirige tramite il coordinamento di altre leadership diffuse, che hanno responsabilità e che rendicontano al Dirigente Scolastico e agli organismi.
Una leadership democratica, non dirigistica ma organizzatoria e "diffusa"
Proviamo a scalettare quanto vi è di gerarchico e di amministrativo e quanto invece vi è di direzione gestionale-educativa nel contenuto dell’attività lavorativa del Dirigente Scolastico.
Se troveremo una prevalenza del primo aspetto dovremo incominciare a preoccuparci. Ed effettivamente qualche elemento di preoccupazione ci assale, quando vediamo che l’interpretazione del ruolo della scuola autonoma viene spesso ad essere quella di terminale del Ministero.
Perché, badate, non può essere tutto affidato alla saggezza, alla fantasia e alla pena del Dirigente, che non è un " pantocrator" che a tutto provvede.
Attenzione !, non si vogliono qui negare gli elementi di gerarchia che pure ci sono, sono essenziali sul piano amministrativo, e dunque ci devono essere. Anzi, su questo piano quanti passi avanti ancora occorre fare affinché le scuole dispongano di strumenti efficaci di intervento, in termini di riconoscimento dei meriti, di carriera e di rimozione della cattiva pratica e del cattivo comportamento professionale.
Quel che si vuol dire è che ciò non è l’aspetto prevalente o risolutivo per l’esercizio di una buona leadership.
Semmai, bisogna per le scuole ripensare profondamente il burocratismo, perché non si richieda , con l’enorme mole di carte che sono state scaricate sulla Dirigenza Scolastica, "più tempo" – e nelle scuole i Dirigenti passano le dieci ore giornaliere- ma "tempo diversamente distribuito e organizzato".
Le scuole, infatti, non sono luoghi di produzione, dove i pezzi che non vengono bene si scartano, ma sono luoghi dove i pezzi che vengono allo stesso modo, cioè serializzati, devono indurre preoccupazione, perché ciò sarebbe un indice che si sta andando al fallimento.
In questo quadro la leadership educativa prevale sulla leadership amministrativa, ed essa si interpreta come leadership diffusa, in grado cioè di far emergere capacità e professionalità a cui delegare compiti e a cui dare responsabilità.
Una leadership che induce la cooperazione, perché la cooperazione nella scuola è la dimensione più funzionale. Anche se, attenzione !, la cooperazione non dissolve, ma ricolloca la responsabilità, perché le unità organizzative e progettuali devono essere coordinate da coordinatori con responsabilità sostanziali rispetto alla tenuta del compito affidato.
In questo quadro riteniamo che debba essere superata la ferita inferta con il Contratto docenti del secondo biennio economico del febbraio di quest’anno, che ha limitato solo a due, oltre al vicario, i Collaboratori continuativi nominabili dal Dirigente scolastico. Perché ciò interferisce "con" e limita "il" potere organizzatorio del Dirigente, e perché di fatto circoscrive l’autonomia funzionale delle unità scolastiche, laddove la complessità di esse si affronta con le libere scelte del Dirigente Scolastico, da esercitare nel quadro di una risorsa economica data e contrattata a livello di scuola.
La democrazia nella scuola vuole un Dirigente di scuola
Noi sappiamo che il legislatore, nel conferire la Dirigenza ai Capi d’Istituto, ha prescritto che il Dirigente Scolastico sia reclutato dalla docenza. Noi crediamo che questo tratto di peculiarità della scuola debba essere salvaguardato e gelosamente custodito. Saremmo assai preoccupati e sorpresi, negativamente sorpresi, se dovesse materializzarsi una ipotesi, che circola insistentemente e che prende le mosse da iniziative legislative sulla dirigenza di Stato. L’ipotesi vuole che i Dirigenti di prima fascia, ma con proiezioni nella seconda fascia, siano sostanzialmente ricondotti a prima del 1993, quando la legge regolava i rapporti di lavoro di tutti i pubblici dipendenti e quindi anche della dirigenza. Essa diventerebbe di nuovo decontrattualizzata e sarebbe soggetta, non tanto al Parlamento, quanto al Governo.
Ora, se c’è una dimensione peculiare della nostra Dirigenza scolastica è proprio quella di essere autonoma, perché finalizzata a promuovere i diritti costituzionalmente tutelati, e perché rappresentante e agente dell’autonomia delle scuole, perché è sull’autonomia delle scuole che si fonda l’autonomia del Dirigente scolastico.
Il Contratto, non ancora Contratto, ha voluto ribadire ciò, con il consenso unanime delle parti, addirittura all’articolo 1, a fondamento del Contratto stesso. Non ci sono più gerarchie, nel campo progettuale e didattico, non ci sono dipendenze da parte dei Dirigenti scolastici né dal Ministero nè dai Direttori Regionali né dagli Assessori.
Ecco perché l’ipotesi che si affaccia di rilegificazione e decontrattualizzazione della Dirigenza di prima fascia, con inevitabili ricadute sulla dirigenza di seconda, è un salto all’indietro, oltre che un impoverimento professionale. Ed è anche un impoverimento democratico e una riduzione dell’efficienza, dal momento che riteniamo più funzionale un Dirigente che risponde alle leggi che non direttamente al Governo.
Una splendida prova di autonomia, del resto, i Dirigenti Scolastici l’hanno data all’inizio dell’anno, quando hanno deciso, nelle Conferenze di Servizio, di rispettare la legge che imponeva l’ordine delle graduatorie nella chiamata dei supplenti, rispetto a confuse indicazioni che provenivano dagli apparati.
In quella occasione si sono dimostrati Dirigenti della Repubblica, cioè soggetti autonomi che hanno il solo limite nelle leggi.
Per salvaguardare queste caratteristiche di un Dirigente che ha la sua Agenzia di riferimento, non nei Governi, che passano, ma nella Repubblica e nelle sue Leggi, che sono espressione della volontà popolare, nelle scuole la Dirigenza deve provenire dalle scuole.
E a tal proposito manifestiamo fortissima inquietudine, che è di carattere culturale, rispetto all’ ipotesi che possa prevedere una Dirigenza di scuola che sia reclutata al di fuori della scuola.
Ma, badate bene, non per sfiducia verso altre Dirigenze, non per orgoglio e supponenza categoriale, non certo per anacronistica autarchia professionale, ma perché riteniamo che il background docente sia indispensabile per l’esercizio di una Dirigenza che gestisce non un’impresa economica ma un’impresa scolastica.
E questo discorso vale almeno per le scuole di Stato, che sono le libere scuole della Repubblica, istituite in tutti gli angoli del Paese, perché siano luoghi della integrazione sociale. Pensate come imprese economiche non lo sarebbero più.
Gli Organi Collegiali nella libera scuola di stato
La scuola di Stato è libera anche perché in essa i Dirigenti Scolastici e i docenti vengono reclutati imparzialmente con regolari concorsi, che vanno migliorati certamente, ma che non possono essere sostituiti con criteri locali o arbitrari, magari elaborati dalle singole scuole.
In questo modo è garantita la laicità e il pluralismo della scuola pubblica. Per questo, per quanto ci riguarda, la vera scuola libera è quella di stato.
La libera scuola statale è inoltre governata da organismi che hanno come obiettivi finali l’istruzione e la formazione alla cittadinanza.
Anche qui, noi auspichiamo che siano tenuti separati i compiti di indirizzo e controllo da un lato e i compiti di gestione dall’altro, e che tali funzioni non vengano concentrati nelle stesse figure; così come crediamo che debbano essere previsti organi genitoriali e studenteschi, che abbiano peso riconosciuto e garantito nella elaborazione del Pof e nella facoltà di indirizzo della scuola.
Non attenersi a questi principi vorrebbe dire avviarsi verso un modello di gestione della scuola lontano dall’idea partecipativa – e ciò, per certi versi, è un bene perché il partecipazionismo dei Decreti Delegati, se ha costituito elemento di rottura importante nella storia della nostra scuola, ha mostrato tuttavia parecchi limiti di inefficienza e di deresponsabilità. Ma ci pare, altresì, che riducendo programmaticamente la ricchezza della partecipazione dei soggetti, si rischia di costruire un modello rigido, di tipo fabbrichista e fordista, proprio in un momento in cui la storia tale modello sta relegando in soffitta.
Vorremmo ricordare che, parlando dalla cattedra di Vescovo di Milano in Duomo, di recente, il Cardinale Carlo Maria Martini, a proposito della scuola, ha detto che essa deve essere un luogo "appartato". Un luogo "appartato". Che non vuole dire separato, che non vuol dire al di fuori della valutazione e dell’autovalutazione, che non vuol dire al di fuori del territorio ma parte del territorio. Ma vuol dire certamente protetto, sottratto alla logica del mercato. Perché va bene l’economia di mercato, ma certamente no la scuola di mercato.
Poiché siamo profondamente d’accordo col Cardinale Martini, ci chiediamo: ma perché la scuola deve, perfino nella nomenclatura, imitare la fabbrica ? Perchè deve essere governata da un Consiglio di Amministrazione ? Perché la scuola, istituzione con la sua storia secolare e con la sua irriducibile finalità formativa, deve mutuare l’altro e il lontano da sé ? Forse che essa non ha un suo "ubi consistam" ? Forse che deve produrre pensiero unico, come i pezzi seriali dell’azienda ? Forse che essa non è il luogo della costruzione, attraverso il pensiero divergente, della personalità e della cittadinanza delle nuove generazioni ?
Non vorremmo che si equivocasse. Noi siamo per la competizione, perché competere vuol dire tendere, in maniera diversa, allo stesso obiettivo. E la competizione all’interno delle scuole esiste, per cui è più che ragionevole la proposta culturale che è anche della CGIL e che la CGIL mantiene, secondo cui il lavoro deve essere valutato ed economicamente riconosciuto, con differenziali retributivi, superando l’appiattimento di anzianità, all’interno delle scuole fra i docenti. Modello retributivo questo, che nella scuola, come Dirigenti scolastici, siamo gli unici ad avere, con il Contratto, abbracciato.
Ma competizione non è concorrenza: da questo punto di vista ci piace di più il modello francese, che non quello inglese, ci piace di più il modello cooperativo e compensativo, che interviene per soccorrere e aiutare e non per punire. E questo vale per le scuole come per i Dirigenti in difficoltà.
A questo modello di scuola abbiamo pensato nei momenti della lunga trattativa contrattuale.
Da ciò deriva la specificità nell’affidamento degli incarichi, con una flessibilità sconosciuta nelle altre dirigenze, da ciò la specialità del trattamento negli incarichi aggiuntivi, da ciò deriva anche la formulazione particolare, non ancora compiuta, sperimentale, tutta da monitorare, sulla valutazione del Dirigente Scolastico.
Ecco, su questa materia, e ci avviamo a concludere, la gran parte dei negoziatori, dall’una e dall’altra parte del tavolo, ha mostrato di aver ben presente la specialità dell’assetto nuovo della scuola autonoma del nostro Paese.
La valutazione per i Dirigenti scolastici è davvero un affare complicato. Ci sentiamo di dire che la sensibilità che abbiamo trovato nel nostro interlocutore dell’Aran, su tutte le problematiche, ma in particolare su questa, ci è stata di conforto.
La gran parte dei negoziatori e la controparte Aran, proprio perché sulla valutazione hanno evitato la faciloneria e la pedissequa imitazione della valutazione amministrativa, hanno mostrato di aver colto quanto sia di difficile determinazione il buon risultato della gestione scolastica. Che si misura più sulle qualità delle relazioni fra persone e fra organismi, fra persone di diverse generazioni, che non sulla quantità delle riunioni svolte, si misura più sulla tenuta della serenità del clima relazionale che non sulle quantità delle inutili cartacee programmazioni buone solo per l’archivio.
E proprio con questa scelta, di giudizio e piena di cautele, i negoziatori hanno mostrato di aver apprezzato il modello di scuola di cui finora noi abbiamo con convinzione parlato e fatto nostro: modello non fordista ma moderno, non gerarchico ma orizzontale, efficiente ma partecipativo, né dirigista né democraticista, a leadership unica e allo stesso tempo diffusa.
Un modello a cui corrisponda non un Dirigente forte solo di attribuzioni e di poteri (ad esempio di nominare i propri dipendenti, cosa che non esiste in nessuna dirigenza del mondo né nel pubblico né nel privato), ma un Dirigente, lasciatecelo dire, post-eroico, che sa della complicatezza, senza pari, del proprio operare, ma che sa di dover andare avanti, valorizzando le risorse che gli sono assegnate, forte anche della sua esperienza, delle leggi come risorsa, delle relazioni umane come opportunità. E forte della sua cultura.
Roma 30 novembre 2001