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Pensioni: stangata allo studio

Il governo vuole intervenire sulle pensioni. I giornali sono pieni di dichiarazioni in tal senso. Le confederazioni hanno già espresso il loro netto rifiuto.

25/08/2003
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Il governo vuole intervenire sulle pensioni.
I giornali sono pieni di dichiarazioni in tal senso.
Le confederazioni hanno già espresso il loro netto rifiuto.
Altrettanto netto è stato il rifiuto dei sindacati Cgil Scuola, Cisl Scuola ed Uil Scuola.
E’ evidente che se il Governo intendesse andare avanti scatterà la mobilitazione e si andrà a decise forme dei sciopero per bloccare ogni manomissione al sistema pensionistico, già oggetto di una riforma che sta dando risultati positivi.

Da oggi apriamo uno spazio di documentazione ed informazione su questo tema.

Cominciamo con un articolo del Coordinatore dei settori pubblici della Cgil Michele Gentile.
In modo chiaro si individuano i perchè di certe scelte e le conseguenze pesanti che ne derivano.
Continueremo poi con altro materiale.

Roma, 25 agosto 2003

Le pensioni del pubblico impiego: una manomissione per far cassa.
di Michele Gentile

La manovra di politica economica che il Governo ha preannunciato nel DPEF, vedrà nella Legge Finanziaria lo strumento fondamentale per una attuazione destinata a gravare fortemente sui diritti sociali e civili delle persone dietro la parola d’ordine dello scambio tra sviluppo e prestazioni sociali.
Avevamo preannunciato che dietro il complesso dei provvedimenti in tema economico-sociale che hanno caratterizzato la politica del Governo si nascondeva la privatizzazione del sistema di Welfare, e così sta succedendo.
Pur nella genericità del DPEF, le linee di indirizzo che il Governo intende seguire sono chiare. Sono ancora più chiare se si tiene presente che sia la delega fiscale, sia la Legge Moratti, sia la stessa delega previdenziale identificano nella Legge Finanziaria la sede per la definizione delle risorse economiche necessarie per l’attuazione di quelle leggi che rappresentano i pilastri di politica sociale del Governo destinati a smantellare il sistema dei diritti. La manovra per il 2004 si carica così di un doppio significato: il rientro dal deficit e la scadenza delle “cambiali” del Governo verso i vari “pagatori”.
Lo stesso dibattito in corso tra "Ministri", gli interventi del Fondo Monetario e di Confindustria chiariscono il senso di questa affermazione.
Si sostiene, infatti, che ad esempio la delega previdenziale è importante dal punto di vista strutturale, ma "insufficiente" al fine di fare cassa subito, di recuperare cioè le risorse da destinare al miglioramento dei conti pubblici- già bocciati da Bruxelles , ma anche al fine di avere le risorse disponibili per il nuovo sistema di aliquote fiscali e di revisione del sistema fiscale, nel quale brilla l’ abolizione dell'IRAP: è attraverso queste misure che si favoriscono da un lato gli alti redditi e le imprese e dall'altro si porta un pesante attacco al servizio sanitario pubblico, mettendo in discussione il suo sistema di finanziamento, peraltro già pesantemente e gravemente violato dal 2001 ad oggi.
E’ certo una manovra dalla complessa gestione per gli stessi interessi del corpo elettorale rappresentato dal centro-destra che ha già manifestato incertezze e contrarietà nell'ultima tornata elettorale. Ma alla fine, come abbiamo già detto i tagli strutturali a pensione e sanità serviranno nel concreto a sostituire le una tantum del 2003 e, per quanto possibile, a recuperare le risorse per le altre operazioni.
Per questi obiettivi sono già in atto pesanti manovre diversive.
Tra queste quelle sollevate nella campagna del Ministro del Lavoro e della Lega Nord, contenute peraltro nel DPEF su”interventi di riduzione dei regimi speciali di favore”, che sono stati presentati come l’abolizione dei cosiddetti “privilegi pensionistici del pubblico impiego”.
Il tentativo mediatico è sicuramente quello di individuare un soggetto da colpire, per poter così far passare iniziative di pesante manomissione del sistema pensionistico pubblico.
Di questo si tratta in nome di una battaglia di "rigore" contro il pubblico impiego privilegiato.
Dico ciò non solo per ragioni di merito che attengono il sistema previdenziale in vigore per i dipendenti pubblici, ma soprattutto per le ragioni politiche che sono dietro il contenuto del DPEF e presumibilmente della Legge Finanziaria.
Il Governo sta mettendo a punto un pacchetto di misure che peggiorano con effetto "retroattivo" gli istituti che attualmente regolano il sistema previdenziale e che come effetto hanno la riduzione dell’assegno pensionistico. Tutto ciò oltre a togliere ai lavoratori qualsiasi certezza sul loro assetto previdenziale, introdurrebbe un principio pericolosissimo per tutti: quello di un Governo che ora per allora cambia radicalmente il sistema previdenziale, modificando i trattamenti in essere e non quelli futuri.
Si stanno infatti facendo valutazioni di carattere generale sulle modalità con le quali nel 1992 con il Governo Amato venne regolato il tema delle quote pensionistiche (quota A e quota B) intervenendo innanzitutto sulle modalità di calcolo della cosiddetta quota A il cui valore veniva fotografato per il pubblico impiego al 31.12.1992 e poi sul periodo di calcolo della quota B, costruendo su questi elementi e solo su questi una soluzione “generale” tale da unificare in peggio il complesso del sistema previdenziale.
Esiste cioè una tentazione: dare a questo intervento gravemente peggiorativo una valenza generale, verso cioè tutti i lavoratori pubblici e privati.
Una pesante ed inaccettabile manomissione del sistema previdenziale, che si aggiungerebbe a quello "strutturale" previsto dalla delega e che toccherebbe le prestazioni concrete e l'importo delle pensioni dei lavoratori, contribuendo in tal modo alla “cassa”.
Se questa è la posta in gioco la nostra posizione deve essere ferma, prevedendo anche iniziative di lotta generali, così come preannunciato da Cgil, Cisl, Uil sulla stessa delega previdenziale, in caso di non accoglimento da parte del Governo dei radicali cambiamenti richiesti.
Il principio della retroattività dell'intervento legislativo in generale e sul tema previdenziale è non solo di dubbia costituzionalità, ma è inaccettabile e da respingere con iniziative di lotta generali. Attraverso questi interventi alle modifiche strutturali previste dalle delega previdenziale si aggiungerebbero i peggioramenti sulle prestazioni: le ragioni della cassa.
Ma credo sia utile anche un ragionamento di merito sulle reali differenze ancora esistenti tra i sistemi previdenziali, per evitare che le sirene dei “ pubblici privilegiati” facciano breccia in qualche disattento, che non ha la piena conoscenza dell'argomento.
I punti di differenziazione che rimangono sono due.
Il primo è sul valore della base "pensionabile" sulla quale viene calcolato l'assegno pensionistico; il secondo è sul periodo di riferimento utile per calcolare la base retributiva di riferimento.
Governo e organi di stampa hanno messo in evidenza soprattutto il secondo, evidenziando per i pubblici dipendenti una situazione di maggior favore . (La quota A è calcolata sull'ultima retribuzione; la quota B arriverà ad essere calcolata sugli ultimi 10 anni nel 2008).
Ma i due punti di differenziazione, lungi dall’essere privilegi, sono il frutto dell’accordo sulla riforma previdenziale del 1995 e sono strettamente collegati fra loro.
La massa retributiva e quella utile ai fini previdenziali sono notevolmente diverse. Infatti il calcolo della quota A sull’ultima retribuzione è collegata al fatto che la base retributiva comprende solo il salario “tabellare” e la quota di “scala mobile” e una quota fissa di salario accessorio, e non come nel sistema INPS tutte le voci della retribuzione.
La quota B si calcola, per quanto riguarda la “base pensionabile” con modalità analoghe al sistema INPS - cioè sull’intera retribuzione -, ma solo dal 1996.
Ciò giustifica la permanenza di un periodo più lungo (2008) per arrivare alle stesse cadenze di calcolo della massa retributiva.
Quindi un intervento ora per allora solo sui periodi utili ai fini del calcolo della massa retributiva e non anche sul valore della base pensionabile, ciò oltre al tema della retroattività, produrrebbe una fortissima riduzione dell'assegno pensionistico.
Un insegnante di scuola media con 40 anni di anzianità avrebbe una riduzione dell’assegno pensionistico- anche a causa della particolare struttura della retribuzione in atto nel comparto scuola- per un importo che arriverebbe fino a 500.000 di vecchie lire ogni mese.
Per un milione di dipendenti della Scuola, il salario aziendale è stato introdotto in modo consistente solo nel CCNL 1998-2001.
Per gli altri lavoratori del pubblico impiego, l'introduzione del sistema di calcolo sistema INPS (base di calcolo della pensione e periodo di riferimento) potrebbe produrre per particolari situazioni qualche elemento migliorativo, dimostrando in sostanza che il sistema attualmente vigente non è certo più favorevole.
Ma anche in questo caso non è politicamente utile modificare in via retroattiva gli equilibri definiti nella Legge di riforma del sistema previdenziale (Legge Dini); nessun piatto di lenticchie vale la difesa del principio politico della non retroattività di un intervento che, per giunta avverrebbe manomettendo una riforma frutto di accordo fra le parti.
D'altra parte è bene avere presente che il Governo colloca questo intervento fra quelli destinati a "fare cassa". Quindi non certo annoverabile tra quelli acquisitivi per il mondo del lavoro.
Esistono ancora altre differenze, ma a totale danno del pubblico impiego. Innanzitutto la mancanza dei Fondi di previdenza complementare. Nonostante le risorse già presenti nella Legge Finanziaria e l’accordo fatto per il Fondo Scuola, il Governo fa ancora mancare scelte di sua competenza, determinando in tal modo un grave danno al sistema previdenziale; i lavoratori pubblici continuano a contribuire con una quota della loro retribuzione pari al 2,5% mensile all’Indennità di buonuscita (TFR); infine il creativo Tremonti vuole cartolarizzare i crediti dei lavoratori presso l’Inpdap alimentati da una trattenuta fissa mensile con la sparizione di prestazioni di carattere sociale, alimentate dai lavoratori stessi. Si tratta di interventi per 5,800 miliardi di euro dai quali gli istituti di credito ricavano entrate “straordinarie” per 800 milioni di euro.
CGL-CISL-UIL nel loro documento sul DPEF relativamente al Pubblico Impiego hanno con nettezza affermato la loro totale contrarietà a qualsiasi intervento sul sistema previdenziale in essere.
Questa posizione che ha sicuramente una valenza generale dovrà essere alla base delle iniziative di lotta che dovranno contrastare gli interventi del Governo contro il sistema previdenziale pubblico.

Roma, 25 agosto 2003

Tag: pensioni

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