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Per un movimento delle reti delle scuole autonome

Pubblichiamo di seguito la relazione introduttiva di Enrico Panini e Armando Catalano al convegno tenuto l’8 di ottobre 2002 a Roma sulla costruzione di un movimento di reti di scuole, a sostegno della scuola dell’autonomia,

07/10/2002
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Pubblichiamo di seguito la relazione introduttiva di Enrico Panini e Armando Catalano al convegno tenuto l’8 di ottobre 2002 a Roma sulla costruzione di un movimento di reti di scuole, a sostegno della scuola dell’autonomia, in modo particolare dopo che l’autonomia scolastica ha trovato tutela e rango costituzionale.

CONVEGNO SULLE RETI DI SCUOLA

CGIL CISL UIL SCUOLA

(Roma, 8 ottobre 2002)

RELAZIONE INTRODUTTIVA DI E. PANINI E A. CATALANO

Premessa.

Il nostro incontro di oggi vuole favorire un confronto aperto fra varie forze, del Sindacato, dell’Amministrazione, della Cultura, dei Poteri Locali, dell’Associazionismo, di tutte le forze cioè che sono accomunate dalla particolare attenzione che dedicano alla scuola, non solo per motivi professionali ma anche per motivi istituzionali o di studio. Con l’intenzione esplicita di raccogliere idee e proposte che aiutino la scuola a percorrere il difficile cammino che essa ha appena intrapreso su terreno dell’Autonomia scolastica, che è stata, ormai, come ben sappiamo, elevata a rango costituzionale.

E’ nostra convinzione che la strada dell’Autonomia delle istituzioni Scolastiche sia lastricata di enormi ostacoli e che l’Autonomia stessa corra il serio rischio di essere soffocata sul nascere, non tanto e non solo per scelte intenzionalmente perseguite da questo o da quel soggetto, anche se ciò non è da escludere, come diremo fra poco, ma per una somma di diffidenze, sottovalutazioni, omissioni, errori, incapacità.

Il nostro incontro di oggi, dunque, vuole tentare di fare chiarezza teorica, incontrare le esperienze, confrontare le posizioni su di una questione specifica che, a nostro parere, può concorrere, più di ogni altra, ad agevolare il cammino dell’Autonomia.

L’oggetto specifico è la questione delle reti di scuole.

Ciò che si muove nella realtà territoriale, ciò che le norme prevedono, a partire dallo stesso Regolamento dell’Autonomia, ciò che la Costituzione garantisce, aprendo una robusta protezione a questo riguardo, rendono oggi matura la necessità di costruire reti di scuole che possono rappresentare un potente strumento che concorre all’elevamento della qualità dell’offerta formativa in particolare e del servizio scolastico in generale.

Detto, dunque, dell’oggetto, l’obiettivo del Convegno è quello di lanciare una proposta concreta sull’avvio di un movimento di costruzione di reti di scuole che, a partire dall’appuntamento di oggi, faccia nascere questo nuovo soggetto di aggregazione dei nuovi bisogni delle scuole autonome nei prossimi mesi, con caratteristiche e finalità molto diverse dalle esperienze fino ad ora messe in campo e che noi consideriamo largamente superate nelle loro modalità.

La discussione sull’autonomia.

Vediamo nella discussione in corso, sull’assetto della scuola e nelle posizioni assunte da tanti soggetti sociali e politici o forze associative, una straordinaria sottovalutazione del problema.

Dal 2001 l’autonomia scolastica è stata costituzionalizzata: l’Autonomia delle Scuole, entrata nella Costituzione, diventa così un confine, un limite positivo all’ esercizio dello stesso potere legislativo.

Il singolo istituto scolastico, in ossequio al principio universalmente accettato della sussidiarietà, è diventato il primo soggetto che la Costituzione riconosce in materia del servizio istituzionale dell’istruzione. Gli altri soggetti, gli Enti Locali e lo Stato, pur essendo decisivi nella riuscita dell’impresa scolastica per il loro compito di indirizzo e di programma, nel nuovo assetto della Repubblica seguono, oseremmo dire, sono in seconda fila rispetto alla prima fila occupata dalla scuola.

Crediamo che questa consapevolezza non sia ancora maturata nella nostra riflessione e forse ha bisogno di molto tempo affinché divenga sedimentazione e convinzione culturale diffusa.

In particolare, mentre vediamo un certo, forse troppo, continuismo sul versante della didattica, con impostazioni che continuano a caratterizzarsi per aggiuntività di programmi, scorgiamo spesso una scarsa considerazione di sé da parte delle scuole autonome nei confronti del Ministero. Basti un esempio: quando non ci sono i soldi per pagare le prestazioni del personale perché il Ministero omette o ne ritarda l’accreditamento, molte volte ci si limita a telefonare.

Se vediamo la "salutare confusione" che in questi giorni gli Enti Locali stanno facendo sulla Finanziaria contro le decisioni del Governo, viene spontaneo dire che, almeno in questo, quello è il modello da seguire, abbandonando l’inutile e frustrante telefonata.

L’Autonomia nella Costituzione diventa fatto dirimente sul versante del peso del singolo istituto; diventa, cioè, risorsa fondamentale per coniugare l’unitarietà del sistema scolastico nazionale con il rapporto con il territorio. E ciò è possibile, si può realizzare, senza riproporre una subalternità della scuola verso il territorio che, certo, sarebbe diversa da quella precedente consumata nei confronti del vecchio centralismo, ma sarebbe pur sempre una subalternità di nuovo tipo che tutti dobbiamo sforzarci di scongiurare.

Invece, a questo proposito, registriamo l’avanzare di un atteggiamento piuttosto consistente, inevitabilmente destinato, crediamo questa volta con intenzionalità, a sostanzialmente cancellare l’autonomia scolastica o comunque a depotenziarla: scorgiamo in atti ed omissioni dell’Amministrazione, come in alcuni soggetti politici, l’evidente segno di una cultura e di una politica centralista che non solo non si rassegna ad un ridimensionamento di ruolo, ma anzi persegue, pure nelle mutate condizioni teoricamente e normativamente più favorevoli all’autonomia, a ricentralizzare i poteri e ad intromettersi nelle decisioni.

L’esempio più vicino in ordine di tempo, riferito a questa cultura operante delle ricentralizzazione, è ricavabile dall’esame della Finanziaria 2003: trasuda di cultura centralista, ove si pensi a cosa succede sull’handicap (deroghe sottratte al Dirigente Scolastico e assegnate al Dirigente Regionale su pacchetti stabiliti dal Ministero) o sulla fine di qualsivoglia flessibilità, con la saturazione delle 18 ore in didattica frontale.

Colpisce il silenzio dei colleghi dell’ANP al tavolo del confronto col Ministro su queste prerogative sottratte alle scuole autonome.

Notiamo anche una sorta di continuismo, con la situazione precedente, in altre forze: l’autonomia è spesso praticata come aggiuntività nel curricolo e non come spazio e condizione per intervenire sul livello ordinario del fare didattica. Allo stesso modo, l’autonomia viene prevalentemente vissuta come un fatto esclusivamente organizzativo- e la dimensione organizzativa in ogni caso è importante e non va trascurata - con il rischio, però, di creare modelli verticali di partecipazione che burocratizzano più che liberare le energie e le risorse umane e professionali.

Siamo convinti, certamente, di trovarci in presenza di un processo che ogni volta deve essere verificato e riposizionato rispetto ad errori o limiti, ma, seppur non è un pranzo di gala e seppur comporta fatica e lotta, tuttavia occorre denunciare interventi che "bruciano" le stesse condizioni di partenza dell’ autonomia.

Richiamiamo, per esplicitare meglio, l’attenzione su alcune questioni di merito, dall’esame delle quali non ricaviamo certo rassegnazione nella nostra azione.

E’ possibile spostare nelle scuole compiti di carattere puramente amministrativo (dalle ricostruzioni di carriera alle numerose costruzioni di graduatoria da verificare ogni anno) eliminando nel contempo nel giro di tre anni 26000 posti di personale Ata ?

E’ possibile trasferire alle scuole libertà di allocazione delle risorse con un nuovo Regolamento contabile, e contemporaneamente tagliare i fondi, e magari accreditarli con due anni finanziari di distanza, per un servizio che non riuscirà così, tanto per attingere alla nuova terminologia costituzionale, a soddisfare neppure i Livelli essenziali di prestazione ?

E’ possibile dare alle scuole la facoltà di esercitare l’autonomia didattica ed organizzativa e tagliare nel contempo le cattedre, aumentare il numero degli alunni per classi, sottrarre l’organico funzionale, eliminare la prerogativa che avevano i Dirigenti Scolastici di istituire posti di sostegno per sopraggiunte e certificate necessità ?

Per dirla in una: è possibile voler far correre su di una nuova pista una Autonomia in fase preadolescenziale, portandola a muoversi in ambiente privato di ossigeno ? Di questo ha fatto parte anche la cancellazione dei Centri di Servizio alle scuole e la conseguente eliminazione dell’ipotesi di prevedere un congruo numero di figure dedicate al sostegno delle scuole autonome.

Abbiamo scorto una cultura del genere anche in alcuni interventi di qualche Regione che, nella questione della determinazione del calendario scolastico, ha teso perfino a sottrarre alle scuole la facoltà di adeguamento dello stesso per l’anticipo o il posticipo delle date delle lezioni.

E’ in circolazione, poi, una proposta di legge (la cosiddetta devolution del Ministro Bossi) di revisione costituzionale, la cui discussione è iniziata recentemente in Commissione Affari Costituzionali del Senato e che si propone di attribuire alle Regioni un potere legislativo a carattere esclusivo in materia di istruzione

La nostra contrarietà a tale ipotesi è nota: la moltiplicazione a livello regionale dei centri decisionali e il presupposto dell’esistenza di una cultura regionale da fissare in definiti programmi nega, a nostro parere, in nuce, il concetto di autonomia scolastica e mina l’unitarietà culturale del Paese. Al contrario, l’Autonomia scolastica, secondo le competenze oggi attribuite ai vari soggetti istituzionali e in primo luogo alle singole scuole, costituisce la garanzia di tenuta culturale unitaria e nello stesso tempo la garanzia di pluralismo che saprebbe dare spazio alle culture diverse e locali.

I sindacati confederali, dunque, considerano l’autonomia scolastica, da sviluppare a partire dai presupposti impostati dalle leggi vigenti, contro ogni tentativo riduzionistico e centralizzatore, come un fattore strategico per la qualità della scuola pubblica

La situazione attuale. Per un’Autonomia progettuale

Oggi, in particolare, si scontrano due idee di autonomia.

Potremmo chiamare la prima, un’"Autonomia burocratico-amministrativa". Di carattere, per così dire, piramidale. Ne è artefice, come deve essere apparso ben chiaro dagli interrogativi retorici che ci siamo rivolti poco sopra, il Ministero dell’Istruzione, che "scarica" e decentra continuamente aspetti amministrativi che la struttura del Ministero non riesce più a gestire, accompagnando il tutto con la resecazione di risorse umane e finanziarie.

A questo proposito N. Bottani, in un suo recente studio analitico sulle autonomie scolastiche dei vari Paesi (dagli Stati Uniti, alla Nuova Zelanda, all’Inghilterra all’Olanda), giunge alla conclusione che una delle motivazioni che sottostanno alla scelta di decentrare da parte dei Governi è quella di "scaricare" le scuole, "scaricare" come abbandonare la scuola a se stessa da parte dei Governi, perché nella scuola essi non credono più, magari perché pensano che la scuola rispetto al passato non ha più l’originaria centralità.

Ebbene, noi non condividiamo, ma solo a questo proposito, la conclusione dello studioso, proprio a partire dalla sua stessa analisi, e soprattutto per alcuni Paesi citati sopra.

Ma cominciamo onestamente e sinceramente a pensare che la somma di atti del nostro Governo se, certo, non possono essere catalogati sotto la specie concettuale del disinteresse, se non altro per la intensità fitta e incalzante, di Decreto in Decreto e di Finanziaria in Finanziaria, di provvedimenti negativi sulla scuola, tuttavia per il suo carattere sottrattivo di risorse e scaricatore di incombenze, quella somma di atti negativi ci fa convenire col professor Bottani: si abbandona la scuola, magari accompagnando l’abbandono con una certa dose di perfidia, quando si affibbiano malamente tante incombenze e si mantengono però in tutte le questioni importanti le prerogative decisorie.

Con sorpresa, talora, abbiamo notato che tale processo di scarico amministrativo e di appesantimento di incombenze è stato sempre salutato con giubilo da un’Associazione/Sindacato di Presidi che è innamorata persa dietro la visione di un Dirigente pantocrator che quanto più amministra rogne burocratiche tanto più fa bene alla scuola.

Le relazioni fra le scuole autonome.

In questa analisi sommaria della situazione, necessaria però per non fare un dibattito astratto e decontestualizzato, si colloca la seconda idea di scuola, quella che più ci convince, e che può essere definita di un’ "Autonomia progettuale o leggera", centrata sulla costruzione delle reti di scuola.

Più che lo schema "alto/basso", che richiama la piramide e la verticalità, preferiamo il modello che richiama l’orizzontalità, la parità fra i soggetti, la responsablità.

Alla linea del comando e della circolare, preferiamo la linea della scelta autonoma e della condivisione degli operatori, e in primo luogo del Dirigente Scolastico. La rete, che nasce per scelte autonome, interpella per sua natura il senso e il concetto di responsabilità.

Questo concetto, al contrario, viene inevitabilmente messo in questione da organismi che nascono per imitazione di altre istituzioni, che hanno una loro nobile storia, ma traggono sostanza di vita dal loro rapporto con la politica e con la verifica elettorale, più che dalla responsabilità della professione.

Più che una realtà già presente e consolidata l’idea di una autonomia di scuola centrata sulle reti è un percorso avviato e da estendere e consolidare. Essa guarda ad una scuola che ha risorse umane, strumentali e finanziarie, per fare il suo mestiere : educare ed istruire. Finalità queste che sarebbe bene non dimenticare.

Emerge, dunque, con forza la necessità di mettere in rapporto fra di loro le scuole autonome.

Questo rapporto per noi è connotato dal termine, appunto, di"rete", che è sinonimo di solidarietà, di certezza sui diversi nodi (i ruoli), ma al contempo di robustezza e leggerezza. Non tanti mini-provveditorati che accentrano potere e si affermano come ennesima burocratica struttura rappresentativa.

Per noi la rete delle scuole autonome è un fattore di potenziamento e sviluppo di questa, che ci piace chiamare, "autonomia progettuale o leggera".

In particolare, il nuovo assetto della Repubblica e la costituzionalizzazione dell’Autonomia scolastica, il decentramento di poteri risorse e funzioni previsto dal D.L.vo 112/98, determinano la necessità di padroneggiare una solida cultura e pratica dell’integrazione interistituzionale, elevando la qualità dei rapporti con il territorio e le sue istituzioni.

A questo proposito, riteniamo maturo il tempo di far uscire dalla routine di rapporti labili e unidirezionali la relazione fra EE.LL. e scuola, fra ASL e scuole e così via: occorre una consapevolezza nuova fra tutti i soggetti, affinché si consolidi il rapporto interistituzionale, dove le Scuole e gli altri Enti, soprattutto quelli costituzionalizzati e proprio perché costituzionalizzati, sia pure nelle differenze che passano fra "autonomie politico/territoriali" e "autonomie funzionali/professionali", ci si parli con pari dignità, come si conviene fra soggetti di pari rango costituzionale.

E’ una necessità ed una esigenza di tutti ed è un bene per la funzionalità degli stessi Enti Locali in materia di istruzione.

Non ci convincono altre forme associative perché ci paiono, invece, funzionali ad un modello pesante, gerarchico e sovraordinato fra scuole.

Associazione fra scuole

In questi mesi si sta sviluppando l’esperienza della Federazione delle scuole autonome, promossa e gestita a livello nazionale dall’Associazione Nazionale Presidi.

Riteniamo che essa faccia parte della visione di "autonomia pesante", quelle idea cioé di costruire dall’alto strutture predefinite, modellate su forme consolidate in altri settori delle autonomie.

L’Anci, l’Upi, la Conferenza delle Regioni, la Crui (Conferenza dei rettori delle Università italiane), le Camere di Commercio, la Conferenza delle ASL, sono tutte autonomie, territoriali o funzionali che siano, alcune delle quali hanno alle spalle una storia lunga e significativa, che hanno trovato nella forma giuridica dell’Ente di diritto pubblico un modo di coordinarsi con i loro rappresentanti legali in ordine al loro rapporto con lo stato.

La situazione delle scuole è diversa e non ci aiutano modelli e comportamenti imitativi quando essi non siano giustificati dai fatti.

Innanzitutto manca il presupposto giuridico, e ciò riversa imbarazzo sulla situazione in essere.

Infatti, le autonomie scolastiche non possono costituirsi in un ente di diritto pubblico e soprattutto non possono delegare la propria autonomia ad altre strutture. La personalità giuridica è sempre attribuita per legge. Pertanto, ci si trova di fronte a soggetti costituiti ma privi di personalità giuridica e, quindi, di fronte ad una sovrastruttura senza quel fondamento giuridico che pure persegue e che, non essendo ottenuto né ottenibile, rischia di operare forzature che possono avere serie conseguenze sul piano giuridico nonché economico.

Inoltre, il principio di rappresentanza delle singole scuole da parte dell’Associazione, cosa che ha giustificato per molti Dirigenti Scolastici l’adesione, non può sussistere, come ammette la stessa Federazione in un carteggio con il Ministero nel quale arriva a chiedere deleghe di poteri che o appartengono alle Direzioni Regionali (come il potere transattivo di conciliazione) o appartengono in via esclusiva e non delegabile alle singole istituzioni.

Inoltre, costituire strutture che seguono l’articolazione della Repubblica (comunali, metropolitane, provinciali, regionali) e che nascono prima ancora che tutte le scuole di quel territorio abbiano aderito irrigidisce la spontaneità delle scuole, non modella le reti sui bisogni specifici, contiene in sé il tarlo della delega.

Noi vediamo un approccio burocratico che non ci piace e non ci convince.

Questa analisi, però, ci sfida sul versante della proposta, considerato che entità "piccole", come sono la maggior parte di scuole, hanno un bisogno vero di dialogare e di sentirsi parte di una relazione più ampia.

Ciò le rafforza non solo nei confronti di un Ministero invasivo, ma anche nei confronti di ingerenze o interpretazioni non coerenti delle norme da parte di altri pericolosi centralismi.

Crediamo che le scuole sapranno ben sviluppare la loro autonomia, oltre che con la qualità dei propri Piani dell’Offerta Formativa, anche con la solidità e la costruzione di relazioni strutturali con gli altri Enti interessati al fatto scolastico e, soprattutto, coordinandosi su obiettivi e su necessità fra loro stesse.

Perché le Reti di scuola ?

Noi consideriamo necessario imboccare con decisione il percorso della costruzione delle reti di scuole, con tutte le conseguenze che ne dovranno rapidamente derivare, se è un percorso condiviso, perché le scuole coordinate fra loro in un territorio omogeneo hanno la necessità di reggere il rapporto con tutti i soggetti che afferiscono ai servizi scolastici e formativi.

Ci riferiamo a Enti Locali, ASL, Associazioni genitoriali e studentesche, Associazioni culturali, Centri di formazione, Centri produttivi, ecc..

Le reti consentono di coinvolgere altri soggetti nel processo di erogazione del servizio e, pertanto, il servizio formativo non può che innalzarsi di qualità.

Le reti consentono di ottimizzare l’uso delle risorse umane perché possono assorbire gran parte delle innumerevoli relazioni che ogni singola scuola deve intrattenere, pur lasciando ad ogni scuola la titolarità delle stesse.

Con le reti si possono superare i rischi dell’autoreferenzialità: perché se è vero che la scuola deve rimanere un luogo protetto (come ha autorevolmente ammonito il Cardinale Martini),essa comunque deve aprirsi, perché protetto non vuol dire non aperto, cioè non proiettato e interconnesso con gli altri soggetti associati del territorio..

Le reti sono utili anche per gli Enti Locali, che hanno bisogno di soggetti rappresentativi di una pluralità, che vivono le stesse esigenze: in primo luogo, per non disperdersi nel rapporto con ogni singola scuola che finisce per essere un rapporto formale e non interattivo; in secondo luogo, per ottimizzare le risorse.

A dire il vero agli Enti Locali, ma anche alle scuole autonome, servirebbe anche che venisse applicato subito e bene il Decreto legislativo 112 del 1998, considerato che il Ministero con una semplice lettera ne sta chiedendo il rinvio, possibilmente sine die.

Il terreno di lavoro per le Reti

Noi vediamo come terreno fondamentale di lavoro per le reti di scuole quello specifico del servizio scolastico.

Esso può riguardare:

  • ad esempio l’utilizzo ottimale del personale nei vari campi dell’innovazione (le nuove tecnologie, le lingue comunitarie, l’inserimento degli alunni stranieri, l’integrazione degli alunni portatori di handicap, la formazione): la rete, peraltro, anche utilizzando precise norme contrattuali esistenti, può mettere a disposizione delle singole scuole il personale competente presente nella rete stessa.

  • Può riguardare e ancora, lo sviluppo di strumenti e competenze per il monitoraggio e l’autovalutazione del servizio. Anche perché siamo convinti che, se vogliamo evitare, anche in questo campo, una burocratica paracadutata eterodiretta e, alla fine, inservibile valutazione imposta e non partecipata, le scuole devono con le proprie forze dedicarsi alla verifica aperta, umile e trasparente del proprio operato. Senza con ciò voler negare i diritti di controllo del Centro che, tuttavia, se fatto senza il concorso delle scuole non funzionerà mai e sarà sempre guardato con sospetto e non avrà valore incrementale e proiettivo/promozionale, come si conviene che sia a qualsiasi processo di valutazione

  • Può riguardare ad esempio, ancora, l’interlocuzione con i soggetti esterni alla scuola per progetti trasversali e iniziative culturali del territorio.

La scuola, infatti, è essa stessa un nodo di più reti, quali quelle interistituzionali su

progetti specifici. Il servizio agli alunni portatori di handicap, ad esempio, che

coinvolge molti soggetti istituzionali ancora oggi soffre molto della mancanza del

coordinamento fra le scuole e fra le scuole e tutte le istituzioni interessate.

Sul piano didattico e culturale gli strumenti della rete possono essere al servizio di molti importanti obiettivi.

  • La diffusione delle buone pratiche; l’inventiva della docenza e delle singole scuole è inesauribile, ma non viene mai tesaurizzata e spesa a beneficio di chi ci sta accanto: ogni scuola, ogni istituzione, ogni associazione fanno, da questo punto di vista, vita da monade (non da nomade). Le reti possono essere lo strumento del superamento di tale limite.

  • La gestione dell’orientamento professionale; tanto più oggi, che è momento in cui un buon servizio all’orientamento si rivela decisivo per la qualità della vita delle persone, destinate altrimenti a perdere nell’obsolescenza rapida delle conoscenze le proprie certezze di investimento di vita futura

  • L’inserimento degli alunni in difficoltà; tanto più oggi, quando le scuole pubbliche si stanno rivelando, ancor di più che nel passato, la linea del fronte nell’accoglienza e nell’affrontamento del disagio. Anche perché non risulta a noi che le scuole private si dimostrino non solo in grado, ma neppur vogliose, di farsi carico, nonostante gli standard di legge e i finanziamenti cospicui che cominciano a ricevere, del disagio sociale.

  • Lo sviluppo dei di servizi integrati (educazione alla salute, stradale, attività culturali, la sicurezza legata all’applicazione della 626).

Nel campo più propriamente gestionale la rete di scuola può realizzare economie di scala: integrando i servizi diversamente disponibili nelle varie sedi, attivando servizi comuni per la sicurezza, acquistando beni e servizi con appalti unificati.

Sappiamo che molte esperienze sono nate e stanno nascendo con questa ispirazione.

Avviare il percorso con un movimento di reti

E’ necessario per l’autonomia che le reti nascano al più presto. E’ un modo di far crescere quel preadolescente di cui parlavamo sopra, è un modo di sostenerlo, di dargli quell’ossigeno che altri gli toglie

E’ necessario, però, che esse nascano come un movimento che, nascendo dal basso,

  • coinvolga tutti gli operatori (Collegi, studenti, genitori). Siamo convinti che una rete o una Associazione o un Consorzio dove il rappresentante legale, cioè il Dirigente Scolastico, si presenta in quanto tale, in virtù della Legge che ne ha battezzato la legalità di rappresentante, senza avere dietro di sé partecipazione e condivisione degli operatori, degli studenti, dei Genitori avrà vita grama e asfittica, perché non trae linfa quotidiana dai bisogni dell’utenza.

  • si fondi, appunto, sui bisogni della scuola. E‘ processo astratto scrivere un regolamento di una rete, senza che un Collegio, un’Assemblea di studenti, di Genitori non abbia espresso su quali bisogni primari fondarli.

  • abbia la dimensione ottimale per quel territorio (la valle, la circoscrizione, il comune, la provincia) per evitare strutture rigide e lontane prive di efficacia reale (ad esempio, anche se non si può escludere, un livello regionale). Così come non si può escludere un livello nazionale, che non nasce dalla sommatoria dei rappresentanti istituzionali delle varie reti, ma che è il risultato di un progetto in cui si trovano poche o molte scuole disseminate sul territorio nazionale.

  • rifugga dall’assumere compiti che non sono propri dell’autonomia della scuola (ad esempio, la rappresentanza legale in sede di contenzioso che spetta al Dirigente Scolastico in quanto rappresentante dell’Amministrazione; oppure la rappresentanza sindacale nelle trattative). Peraltro non crediamo, anzi questo lo possiamo affermare, che il Sindacato intenda riconoscere soggetti altri da quelli previsti a livello di scuola, regionale, nazionale.

Una ricerca empirica curata e rappresentata in uno scritto comparso sul volume di Butera ed altri "Organizzare la scuola nella società della conoscenza" rileva che le reti di scuola hanno successo solo se sono presenti i seguenti fattori:

  • la presenza di bisogni ben individuati;

  • un’area territoriale omogenea (preferibilmente di livello subprovinciale);

  • la creazione di un rapporto permanente di scambio fra i soggetti partecipanti;

  • la produzione di dati e informazioni utili alla scuola aderente;

  • risorse finanziarie e umane dedicate (da retribuire ad esempio col budget di scuola);

  • una progettualità ben definita, con un proprio modello di azione che produce risultati e servizi;

  • l’attivazione iniziale di una fase sperimentale

Dunque, se le reti non vengono pensate e costruite come un bisogno della comunità di quella scuola e di quel territorio, se rispondono solo ad una esigenza di rappresentanza legale (cosa sentita in modo acuta e giustificata dal Dirigente scolastico), se non coinvolgono i soggetti di quella scuola (non è sufficiente la delibera di un C. di circolo o di Istituto) non hanno ragione di essere, nascono e deperiscono rapidamente. E’ sufficiente per questo il trasferimento del Ds che l’ha promossa.

Al Dirigente Scolastico, che vive in solitudine, come spesso è solitudine tutto attorno alla sua scuola, occorre offrire strumenti di supporto, di efficacia amministrativa, di tutela, di coordinamento che il Sindacato e l’Amministrazione, ciascuno per la sua parte, debbono attivare.

Quel che non si può fare è di confondere strumenti di tutela e di collaborazione amministrativa dei Dirigenti scolastici con le Associazioni o le Reti di scuole.

I Dirigenti, nella loro pratica e nel loro difficile compito quotidiano, possono anche trovare strumenti di partecipazione e confronto che la stessa Amministrazione dovrebbe costruire: ci risulta che in Liguria le Conferenze di servizio dei Dirigenti Scolastici, strutturate per province e centralizzate con delegati provinciali a livello regionale, risolvono problemi amministrativi di non facile momento. E’ un modo di rispondere ad un certo tipo di problemi, che sono in gestione del Dirigente scolastico come interno rappresentante dell’amministrazione, ma non è sufficiente per rispondere a problemi più vasti che attengono alla qualità dell’offerta formativa e all’efficacia del servizio di istruzione.

Per concludere, vorremmo che con oggi si iniziasse con serietà e rigore, con pazienza e con tenacia, un viaggio che sarà lungo e faticoso, come lungo e faticoso è il percorso dell’Autonomia, ma che vale la pena di intraprendere. Perché la scuola è innanzitutto impresa che connette autonomie, che vive di consenso e di fatica persuasiva, ma che proprio per questo ha bisogno di tempi distesi ma non certamente biblici. L’autonomia e le reti o marciano insieme o patiscono insieme. Sarebbe, anche in rapporto alle esperienze di altri Paesi, un movimento di assoluta originalità, perché verrebbe esaltata non la dimensione concorrenziale dell’Autonomia, ma il suo aspetto cooperativo e solidale.

Al termine di questo Convegno inizierà per noi la fase di sensibilizzazione per la promozione di reti autonome di scuole statali. Il Coordinamento Unitario dei Dirigenti Scolastici, promosso dai Sindacati Scuola Confederali, individuerà un nucleo promotore con il compito di animare e gestire questa fase e di fare il punto entro pochi mesi sullo stato del movimento.

Ci auguriamo che nella giornata di oggi, soprattutto se, come siamo certi, saremo aiutati nello scavo e nel confronto dai nostri valorosi ospiti che ringraziamo fin da subito, riusciremo, insieme, a trovare le coordinate in cui inserire un percorso che può portare alle nostre scuole e ai nostri operatori che vivono nella trincea della scuola, qualcosa che possa dare a breve buoni frutti.

Roma, ottobre 2002