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Primo ciclo : Le prove Invalsi devono necessariamente essere così?

Annuali, censimentarie, obbligatorie

27/09/2005
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Dell’attuale conduzione del Ministero di viale Trastevere tutto si può dire, ma non che non sia una conduzione pervicace.
Incurante infatti delle critiche e delle polemiche sollevate dall’attività dell’Invalsi dello scorso anno scolastico, il ministro indica alle scuole l’identico e contestato percorso di rilevazione degli apprendimenti degli alunni anche per l’anno scolastico che si sta avviando. Lo ha fatto con le direttive 48 e 49 del maggio scorso, rese note alle scuole da una circolare dell’Istituto di valutazione giunta quando le lezioni erano terminate e l’attenzione del personale era ormai proiettata altrove.
Abbiamo già ampiamente illustrato e commentato sul nostro sito sia la circolare che le direttive, ma la tematica merita ulteriori riflessioni.
Con le sue direttive, il ministro ha dunque deciso che nei giorni tra il 28 novembre e il 2 dicembre prossimi, nelle classi filtro già individuate di tutte le scuole statali e paritarie del Paese saranno nuovamente somministrate le prove Invalsi e che la partecipazione è obbligatoria per gli istituti che appartengono al primo ciclo dell’istruzione.

È noto che Flc Cgil non è contraria ad un sistema nazionale di valutazione, anzi è convinta che esso sia opportuno e utile per le scuole dell’autonomia sotto il duplice profilo della rendicontazione e dell’autoregolazione; ritiene inoltre che la funzione della rilevazione nazionale sia rilevante rispetto alla tenuta del sistema di istruzione e alle decisioni che l’amministrazione centrale assume.
Il fatto è che siamo, con le esperienze condotte da Invalsi e l’attuale impianto, ancora lontano anni luce da un sistema che, se non perfetto, risulti almeno accettabile. Le critiche sul versante culturale e metodologico (si vedano ad esempio le osservazioni di Vertecchi, di Lucisano, di Cavinato sono state numerose e argomentate in modo robusto.
Vale la pena, tuttavia, di approfondire alcuni passaggi, con un’osservazione preliminare.
Le scuole dovrebbero accingersi a nuove prove che non si possono propriamente definire “nuove”. Infatti è passato così poco tempo dalla rilevazione dello scorso anno, che è materialmente impossibile che l’Istituto abbia potuto provvedere alla predisposizione di nuovi test; è ragionevole invece supporre che sarà riproposto un mix dei contestatissimi quesiti usati nello scorso anno e nei precedenti progetti pilota. In tal modo si spregeranno contemporaneamente sia le scuole/i docenti che in maniera pressoché unanime in quei quesiti hanno rilevato e segnalato difetti macroscopici, sia la ricerca che dentro l’Invalsi dovrebbe essere statutariamente svolta, ma che deve cedere il passo all’attività di somministrazione dei test.
Ma al Ministro tutto questo non importa: vuole a tutti i costi una rilevazione annuale.

L’annualità è espressione della volontà del Miur (o di chi ha diretto/dirige l’Invalsi e consiglia il ministro). La legge delega e il conseguente decreto di riordino dell’Invalsi prevedono infatti verifiche “periodiche e sistematiche”. L’annualità è sicuramente una modalità periodica, ma anche la bi/triennalità lo è.
Un’attività triennale sarebbe la più opportuna: non ossessiva verso l’attività scolastica e tale da consentire la ricerca e l’affinamento del modello durante l’intervallo fra le somministrazioni.
Un’amministrazione accorta non insisterebbe nell’interpretazione dell’annualità e otterrebbe, negli attuali frangenti, l’effetto di lasciar sedimentare le polemiche. Consentirebbe inoltre una pausa di riflessione e di ricerca per predisporre al meglio contenuti e procedure per l’attività futura. Si porrebbero, con ciò, alcune condizioni per il recupero di quel clima di fiducia che le scuole hanno perso e senza il quale – ci dicono tutti gli esperti - qualsiasi attività valutativa rischia il fallimento.

E del resto la direttiva ministeriale ha individuato come prioritarie per l’attività dell’Invalsi nel prossimo triennio le seguenti aree di intervento:

  • definizione delle procedure per giungere alla determinazione degli standard di prestazione,

  • definizione delle procedure di progettazione, somministrazione e correzione delle prove nazionali “che garantiscano la trasparenza, l’imparzialità e la correttezza di tutte le fasi suddette, in modo da conseguire risultati affidabili sul piano scientifico

  • supporto alle scuole e formazione del personale anche allo scopo di diffondere la conoscenza delle procedure.

Con una direttiva il Miur dichiara dunque la necessità di affinare gli strumenti con un percorso di medio periodo; con l’altra conferma un’applicazione immediata degli strumenti che implicitamente si riconoscono come non soddisfacenti. Essendo le due asserzioni contemporanee, difficilmente si riesce a comprendere e conciliarne le ragioni.

Ancor più difficile è comprendere come la valutazione delle conoscenze e delle abilità di problem solving prevista dalla direttiva triennale si possa tramutare nella valutazione degli apprendimenti prevista da quella annuale. Chiunque mastichi appena un poco la materia valutazione sa che conoscenze, abilità e apprendimenti non sono la stessa cosa e che richiedono distinti strumenti di rilevazione. Conoscenze e abilità sono condizioni che concorrono all’acquisizione degli apprendimenti. La valutazione e/o il rilevamento degli apprendimenti non rientrano tra i campi di indagine dell’Invalsi.
Alle scuole, inoltre, risulta ancor più incomprensibile l’urgenza di sottoporre gli alunni a nuove prove, quando ancora non sono stati restituiti gli esiti della rilevazione dello scorso anno.

Il Miur incarica l’Invalsi di compiere rilevazioni censimentarie, che interessano l’universo delle scuole. È un sistema dispendioso, in termini di energie e di risorse economiche.
Una rilevazione sistematica, come richiede la legge 53, non è necessariamente censimentaria. Risultati attendibili per conoscere il livello delle conoscenze degli alunni si possono ottenere anche con indagini campionarie condotte con protocolli scientificamente accertati: sono meno invasive, meno costose, più celeri nella lettura e interpretazione. Il sistema centrale può conoscere il reale stato del sistema di istruzione e ciascuna scuola, conoscendo i test le procedure e gli esiti, ha la possibilità di confrontarsi con essi.

Ancora il ministro insiste con l’obbligo di partecipazione per le scuole del primo ciclo. Nella primavera scorsa, nel pieno delle polemiche, in un suo comunicato il Miur sostenne che l’attività di valutazione costituisce un atto dovuto per legge. Se davvero fosse così, non si capirebbe perché da tale obbligo siano esentate le scuole del secondo ciclo.
In realtà non c’è traccia di obbligo né nella legge 53/03, né nel decreto 59/04 e neppure nel decreto 286/04 che ha riordinato l’Invalsi. L’obbligo appare solo nelle direttive ministeriali: è dunque una volontà dell’Amministrazione e non un atto dovuto per legge. Se si considera che un Ministro può esercitare i poteri che la legge gli attribuisce, ma che non ha il potere di imporre obblighi non previsti dalla legge, risulta evidente che l’obbligo non può sussistere. Tantopiù se si considera che l’imposizione è diretta a soggetti cui è stata riconosciuta una potestà decisionale in materia.

La valutazione degli apprendimenti degli alunni è una prerogativa dei docenti delle singole istituzioni scolastiche; la verifica sulle conoscenze e abilità degli studenti è affidata all’Invalsi con la “concorrenza” delle istituzioni scolastiche (L 53/03, art 3; Dlgs 286/04, art. 1). Concorrere significa partecipare condividendo e non certo subire passivamente.
Vale la pena ripetere ancora che non rientra tra i compiti assegnati all’Invalsi dal decreto legislativo né il valutare, né il rilevare gli apprendimenti degli alunni.

La rilevazione nazionale (nello specifico, quella dell’Invalsi) non deve allora né invadere campi che non le sono propri, né agire in nome e per conto di altri soggetti.
Dentro l’attuale quadro normativo che riconosce alle istituzioni scolastiche l’autonomia organizzativa e didattica da esercitarsi dentro un quadro definito a livello centrale, le decisioni del ministro devono dunque essere condivise dagli organi collegiali di scuola.

Roma, 27 settembre 2005

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