Prove Invalsi: il grande inganno
IL GRANDE INGANNO Prove Invalsi e S/vaIutazione Intervento di Giancarlo Cavinato
Sulle prove Invalsi continua un dibattito che si arricchisce di nuovi contributi, di seguito pubblichiamo l’intervento di Giancarlo Cavinato, Dirigente Scolastico e componente della Segreteria dell’Mce.
Roma, 30 maggio 2005
IL GRANDE INGANNO
Prove Invalsi e S/valutazione
Intervento di Giancarlo Cavinato
I tempi
Dall’annuncio delle prove Invalsi a fine settembre, con l’approvazione del decreto che attribuisce all’INVALSI compiti di valutazione di sistema dell’istruzione, le riunioni in sede provinciale organizzate dalle Direzioni Regionali si sono svolte nel mese di marzo.
Circa sei mesi di attesa e di indeterminatezza nel corso dei quali le scuole hanno messo in atto strategie diverse nei confronti delle aspettative e dei timori impliciti che le prove suscitavano.
Sarebbero state delle prove basate sui programmi ministeriali o sulle Indicazioni nazionali? O metà e metà? Sugli O.S.A. e le unità di apprendimento o sugli stili e i potenziali personali?
E l’utilizzo dei dati rilevati, sarebbe stato finalizzato a leggere la situazione della scuola italiana per un miglioramento, come viene asserito da parte ministeriale, o per una conferma di quanto fotografato dalle prove P.I.S.A. circa una presunta inadeguatezza della preparazione degli studenti rispetto alla prestazione degli altri paesi europei? O, come ritengono altri, sarebbero state funzionali a creare una gerarchia fra istituzioni scolastiche più o meno “meritevoli” e quindi finanziate diversamente, ripartendo proporzionalmente le già magre risorse (lasciate alle scuole pubbliche dopo aver finanziato lautamente le paritarie) a seconda dei risultati? O, ancora, a monitorare le scuole che più servizievolmente hanno adottato le disposizioni della riforma Moratti?
In ognuno di questi casi – e ammettiamo che siano solo sospetti malevoli, ma giustificati dalla mancanza di chiarezza sulle finalità delle prove – si tratterebbe di scopi estrinseci rispetto ad un’autentica valutazione di qualità, , così da far ritenere che una valutazione di questo tipo sia del tutto decontestualizzata e necessariamente sovrapposta rispetto a organizzazione, metodologia, progettazione delle scuole che non si siano appiattite sulla riforma.
Né nei tempi trascorsi da ottobre ad aprile le scuole hanno avuto modo, travolte come sono state da monitoraggi, modifiche delle schede di valutazione, iscrizioni e incertezza per gli organici e l’organizzazione del prossimo anno scolastico - tutte operazioni improvvisate in base a circolari dell’ultima ora – per organizzare realmente équipes di somministratori e coordinatori così come previsto, né tanto meno di ridefinire obiettivi, programmazioni, attività previste dai POF approvati a inizio d’anno.
Le stesse contrattazioni d’istituto sulle attribuzioni di attività aggiuntive non hanno considerato a tempo debito le necessità di un tale impianto, quindi si presume che le prestazioni dovrebbero essere gratuite e “volontarie” (oppure, su ordine di servizio del capo d’istituto, retribuibili a sua discrezione).
Le categorie dell’esclusione e la personalizzazione
Non è chiaro come si coniughi l’invito alla organizzazione di piani personalizzati con la somministrazione di prove standard. In effetti le richieste delle prove sono rivolte a ipotetici gruppi tutti in gradi di rispondere nei ristretti tempi previsti.
Però… c’è qualche eccezione a favore della personalizzazione. Negli incontri preparatori alle operazioni che le scuole sono tenute ad effettuare vengono date disposizioni specifiche in merito a:
1) gli handicappati sul piano motorio ma non intellettuale
2) gli handicappati anche sul piano mentale
3) i parzialmente vedenti
4) i non vedenti
5) i non udenti
6) i dislessici
7) gli stranieri
Per ciascuna “categoria” sono previste prove apposite predisposte dal team docente (o dal consiglio di classe) con abbassamenti a livello di una-due classi antecedenti dei gradi di difficoltà delle prove secondo stima dei docenti (non esistono prove ad hoc per tali categorie), con utilizzo di appositi presidii (tabelle, ingrandimenti, lettori, calcolatrici e computer con tastiere grandi, …) di cui “notoriamente” sono dotate in abbondanza le scuole!
Per gli stranieri è prevista la presenza di mediatori linguistici (per chi ne può disporre!) però stranamente per le prove di matematica e scienze, non per quelle di italiano.
Ai dislessici sono riservate particolari attenzioni; è un po’ che il MIUR dimostra grande sollecitudine per questa problematica tornata improvvisamente di attualità: vanno assistiti sia semplificando le prove sia con supporti tecnici e tecnologici (facilitatori).
Tutte queste prove vanno comunque, a parte, rispedite all’Invalsi, tranne quelle della categoria 2, che vanno trattenute a scuola.
Che non si abbassi troppo la media… Ancora una volta, da una parte gli eccellenti, dall’altra i “quasi-adatti” (o non adatti).
Un preside chiede: “E i nomadi, i giostrai, i rom, gli attrazionisti?”.
Momento di scompiglio, poi la risposta: “Li metti assenti, no?”. Evviva le diversità !
Le prove
Spostate a fine aprile in diverse regioni per ritardi nella comparsa sul sito Invalsi dei manuali del somministratore e del coordinatore e dei pacchi contenenti i fascicoli, ecco finalmente le prove.
Classe seconda, 30’ di tempo per rispondere a 14 domande ciascuna con 3 opzioni.
Un testo di Rodari. Accattivante. Complesso da leggere, per alcuni bambini gran parte del tempo va via nella lettura.
Le domande sono eccessive, ridondanti, farraginose. Mescolano livelli diversi di analisi linguistica, dai segni di interpunzione alla correttezza ortografica, dalla morfologia alla analisi logica, alla comprensione.
Vi sono errori concettuali ed epistemologici (uno scritto di un personaggio presentato come espressione orale). Espressioni corrette sono poste in alternativa ad espressioni erronee con il rischio di “fissare” forme non adeguate. In alcuni casi la domanda pone alternative fra eventi verificatisi entrambi e quindi non escludentesi, mentre è prevista una sola risposta. Inoltre in alcune domande un periodo o frase composta è chiamato semplicemente “frase”.
E poi: 14 domande ciascuna con tre possibili risposte ! Nel gruppo lingua MCE avevamo escluso di intervenire con un eccesso di richieste a livello di comprensione, in quanto a bambini di 7-8 anni si può richiedere di tenere mentalmente compresenti e di andare a verificare nel testo un numero limitato di dati. Fra questi avevamo selezionato, in quanto strutture connettive del discorso, i personaggi, i luoghi, i tempi, elementi su cui discutere e confrontare interpretazioni diverse perché diverse sono le competenze linguistiche nel gruppo classe.
Peggiore ancora è la consegna fornita agli insegnanti somministratori: non rispondere alle richieste di aiuto se non con un cortese: “mi dispiace ma non posso aiutarti. Cerca di fare del tuo meglio…”. Cosa che avrà senz’altro tranquillizzato quei bambini di seconda classe che, smarriti di fronte alla richiesta: “Quanti nomi ci sono nella frase Nemmeno un gioiello piccolo come un chicco di grano ?” - dove le alternative sono 3-5-7 – chiedevano: “Ma maestra, perché ce lo chiedono? Qui non c’è nessun nome” (inteso evidentemente come nome proprio).
Ecco, il danno che queste prove creeranno sarà di consolidare negli insegnanti la convinzione che entro metà seconda si deve aver insegnato quanto la scuola di 50 anni fa, lavorando solo sullo scritto, impartiva come insegnamento classificatorio e normativo. Un modello di lingua lineare e atomistico, dove le parti non costituiscono un insieme sistemico e non vengono scoperte nelle loro relazioni funzionali ma devono solo essere riconosciute, denominate, applicate meccanicamente.
“Si può”, allora, insegnare di tutto e di più: la nomenclatura, la morfologia, l’alfabeto, la punteggiatura, le convenzioni ortografiche… Tanti piccoli tasselli che definiscono un modello di correttezza a cui attenersi.
Nessun approccio al testo attraverso la manipolazione, nessuna preoccupazione per la costruzione di significati, la categorizzazione, la comprensione.
Le prove per i livelli successivi previsti (classe quarta, classe prima di scuola secondaria di primo grado) contengono, per la lingua italiana, due testi ciascuna, con 16 domande a risposta multipla a cui rispondere nell’arco di tempo di 45’.
Anche in questi casi una visione sommativa ed etichettatoria della lingua che viene indotta negli esaminandi e negli insegnanti: le parole come etichette, non come concettualizzazione di repertori di fenomeni, oggetti della realtà ed azioni umane.
L’operazione è ancora più preoccupante sul piano del rapporto con la lingua in quanto vengono ingannevolmente utilizzati per operazioni di questo tipo dei “buoni” testi (Rodari, Pinin Carpi, Emma Castelnuovo…). Unica eccezione ‘Il corvo e la volpe’ nella versione di Esopo e, a seguire, di un ‘raffinato scrittore emiliano del primo 900’ (informazione senza la quale i ragazzi di prima media non potrebbero procedere). Le 16 domande con 4 possibili risposte ciascuna riguardano questo secondo testo, ma una nota avverte che è comunque necessario aver letto anche il testo di Esopo per poter rispondere. Anche perché il testo novecentesco contiene termini quali ‘tenaglia’ quale metafora di ‘becco’, ‘pondo’ per indicare il formaggio in procinto di esser lasciato cadere, e altre ‘raffinatezze’ della lingua. Certo che il testo è di un’attualità….
L’analisi potrebbe proseguire a lungo con le prove di matematica, nozionistiche, in cui, anche qui, manca una visione d’insieme, strutturale e costruttivistica, della disciplina; e di scienze, nozionistiche e centrate su meccanismi automatici domanda-risposta e non su un impianto ecologico, organico e processuale caratteristico dell’attuale concezione del pensiero scientifico.
Diverse domande richiedono, più che competenze sulla logica interna della disciplina, un dominio ed un controllo minore o maggiore di operazioni della realtà (emblematica la domanda sui tempi di cottura della pasta).
Ne esce un’immagine del rapporto insegnamento-apprendimento fondato su meccanismi associazionistici stimolo-risposta: una scuola di test rispetto a quella scuola dell’attribuzione di senso al mondo, pazientemente co-costruita in classi come comunità di ricerca e di pensiero.
L’invalidazione Invalsi
Le modalità di somministrazione dettate nel manuale predisposto dall’Invalsi prevedono un rapporto neutro, freddo e informale con gli alunni “testati”, considerati nel solco della “miglior” tradizione della psicologia comportamentista, “oggetti” di osservazione e di performances.
Per garantire imparzialità e oggettività i somministratori non possono essere docenti della classe che viene valutata.
Le prove, ribadisce il MIUR con una dichiarazione del 27 aprile (primo giorno di somministrazione) sono obbligatorie, “atto dovuto per legge”.
Nello stesso tempo la loro applicazione è stata sottoposta (o avrebbe dovuto esserlo) ad apposita delibera del collegio docenti.
Nella realtà dell’applicazione è successo di tutto: somministrazione a cura dei docenti di classe (che in alcuni casi hanno dichiarato che avrebbero aiutato gli alunni a compilare i questionari), dirigenti che hanno svolto la funzione di coordinatori, genitori che hanno diffidato insegnanti e dirigenti dall’introduzione di prove non previste nella programmazione d’istituto ed hanno tenuto i figli a casa, visite d’istruzione organizzate nei giorni coincidenti con le prove, collegi che hanno deliberato di non effettuare le prove, ordini di servizio dei dirigenti,…..
Quali garanzie costituisce, rispetto all’attendibilità dei risultati, una tale varietà di applicazioni e disapplicazioni?
E quale possibilità ci sarà per il prossimo anno di prove più adeguate ai livelli psicologici, cognitivi, relazionali degli alunni?
Come Movimento di cooperazione educativa non possiamo che essere contrari non ad una seria e partecipata valutazione di sistema, ma a prove così lontane dalla realtà delle classi e somministrate in forme così rigide e direttive, senza un coinvolgimento di insegnanti e alunni.
La nostra storia richiama fortemente una valutazione ‘umanistica’ e non scientista ( quale invece, ahinoi, per primi diversi pedagogisti di sinistra hanno introdotto assumendo tecniche e metodologie di valutazione da altri paesi e altre culture pedagogiche), forme di autovalutazione e di osservazione partecipante, di intersoggettività e non di oggettività.
Vorremmo promuovere un dibattito fra operatori, ricercatori, insegnanti, genitori, perché troppo poco si è saputo su queste prove e troppo esse hanno pesato su un sereno svolgimento dell’anno scolastico.