Refezione scolastica, “pasto domestico” e tempo scuola. Occorre una svolta
L’intervento dei giudici di Torino che aprono al consumo dei pasti domestici a scuola pone il problema della qualità dell’offerta formativa e del diritto allo studio. La posizione della FLC CGIL.
La sentenza 1049 del 2016 della Corte di Appello di Torino consente ai genitori degli alunni che frequentano il “tempo lungo” variamente denominato (tempo pieno, prolungato, aggiuntivo) di poter preparare il pasto a casa da consumare poi nei locali scolastici.
La stessa sentenza obbliga le scuole alla sorveglianza degli alunni a carico del personale delle scuole.
La sentenza ha aperto la strada ad analoghe iniziative in molte parti del Paese da parte dei genitori: la situazione richiede perciò ai pubblici poteri di intervenire con misure appropriate per l’immediato e in prospettiva.
I problemi che si aprono, infatti, sono tanti e diversi, di natura educativa, alimentare, sociale.
In realtà la sentenza di Torino rivela una contraddizione di fondo che si è aperta nel nostro Paese a partire dai tagli sconsiderati che furono apportati con il Piano Tremonti del 2008 alla scuola e che incisero profondamente e negativamente sui modelli di tempo lungo che furono di molto ridimensionati. Ai tagli si è aggiunta poi una politica di abbattimento dei servizi sociali che ha costretto i Comuni a ridimensionare i propri contributi e a gravare sui cittadini.
La contraddizione che rivela la sentenza di Torino è allora questa: da un lato la domanda di tempo pieno percepito come tempo scuola qualitativo a cui non si intende rinunciare da parte dei cittadini; dall’altro il costo eccessivo del servizio mensa che sta diventando insostenibile per il reddito medio familiare.
Il primo problema è quello del diritto allo studio. La pedagogia democratica ha sempre individuato nella permanenza lunga a scuola una delle strade per colmare il divario sociale per le fasce svantaggiate dei cittadini. La mensa ne è il fulcro organizzativo. Semmai il problema è come potenziare e dare qualità al tempo lungo scolastico.
Il secondo problema è di carattere educativo. Non è un caso che il tempo mensa sia incorporato nel tempo didattico. Socializzazione, educazione alimentare, corretto comportamento, rispetto reciproco sono strumenti e valori che si acquisiscono anche in refezione scolastica. Non possiamo consentire alla tesi che vuole il consumo del pasto come libera scelta della famiglia a cui la scuola presta la sua sorveglianza. L’individualismo familistico che impone le sue scelte (scelgo io cosa far mangiare a mio figlio) anche nel luogo pubblico della socializzazione e dell’educazione quale è la scuola potrà forse rispondere allo spirito dei tempi ma costituisce una indubbia regressione culturale e sociale.
Il terzo problema è di carattere alimentare/nutrizionale. La refezione scolastica è uno degli strumenti fondamentali per educare ad una corretta alimentazione. La convivenza, necessariamente negli stessi ambienti attrezzati (mense), per consumare il pasto sia “domestico” che scolastico porrà rischi seri di vanificazione di una corretta educazione alimentare.
Il quarto problema è di carattere gestionale. I Dirigenti Scolastici, i Docenti, i Collaboratori scolastici sono chiamati a gestire una situazione di emergenza: alunni con il pasto domestico che possono scambiarlo con gli alunni che consumano il pasto scolastico (salta il controllo sulle intolleranze alimentari), la possibile deteriorabilità dei pasti domestici, la problematicità di una sorveglianza di gruppi diversi di alunni di una stessa classe necessariamente da dividere in mensa in luoghi diversi ecc.).
Occorrono delle proposte nell’immediato e nella prospettiva.
Nell’immediato
Occorre una concertazione rapida e stringente da parte dei vari attori istituzionali (MIUR, ASL, ANCI, Regioni, Ministero della Salute, Forze sociali) per assumere decisioni risolutive al fine di fronteggiare l’emergenza soprattutto in merito al quarto problema. Sappiamo che tale concertazione è in corso ma è necessario far presto per non lasciare soli gli operatori scolastici a far fronte ad una situazione a dir poco problematica. Le prime misure prese dagli USR Piemonte e Lombardia sono solo di carattere emergenziale e in ogni caso, laddove si pongono problemi di sorveglianza, occorre procedere al potenziamento dell’organico del personale.
Per la prospettiva
Occorre un intervento normativo che punti ai seguenti obiettivi: 1. Superare il concetto di ristorazione come servizio a domanda individuale per farne oggetto di prestazione funzionale all’esercizio di un diritto all’istruzione; 2 Individuare conseguentemente la refezione scolastica come Livello essenziale di prestazione; 3 Da qui stanziare le risorse necessarie all’esercizio di questo diritto; 4. Sottrarre all’arbitrio delle situazioni e di un malinteso diritto familiare alla libertà alimentare la tematica della refezione scolastica per farne parte davvero e concretamente integrante del percorso educativo, come tale affidato all’istituzione con la più ampia concertazione possibile con le famiglie.
Occorre anche l’intervento contrattuale che punti a trovare le soluzioni organizzative più idonee con una forte valorizzazione del personale tutto, anche Collaboratore Scolastico che dovrà essere sempre più integrato nei processi educativi messi in atto nell’istituzione.