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Secondo ciclo: macchè sperimentazione d’Egitto…!

Il Miur tenta l’anticipazione della “riforma”

08/07/2005
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C’era da aspettarselo: come era avvenuto per il primo ciclo il MIUR tenterà di far passare la sua “riforma” della secondaria superiore anzitempo, invitando le scuole ad una sperimentazione dei nuovi ordinamenti (se così si possono chiamare, vista la loro aleatorietà secondo l’ultima versione). Dopo le notizie ufficiose su alcuni organi di stampa un documento ministeriale in merito è arrivato al CNPI, al quale, paradossalmente, il Ministero chiede ora di deliberare la sperimentazione di qualcosa che solo pochi giorni fa ha inequivocabilmente stroncato. In quante scuole ciò dovrà avvenire non è detto, ma, se non ci tradisce la memoria, 200 sperimentazioni non si negano a nessuno.

Sperimentazione o anticipazione?

Dunque quanto prima assisteremo di nuovo alle rincorse a fare queste cose con la convinzione opportunista che “si tratta di un treno da non perdere…”, .”che poi si perderanno anche gli alunni….”, “che, soprattutto, si perdono finanziamenti….”. E tutte le altre amenità che in occasioni come questa abbiamo sentito e sentiremo ancora.
E scatteranno anche tutti i colpi di mano a cui abbiamo assistito in situazioni analoghe: sperimentazioni attuate d’autorità, senza delibere dei collegi, alla chetichella, di nascosto (quest’anno ci sono di mezzo pure le vacanze), fino all’utilizzo dell’adesione di scuole paritarie o legalmente riconosciute (dove gli insegnanti non hanno strumenti decisionali democratici e partecipativi) per “pompare” il numero delle adesioni e nascondere lo scarso entusiasmo delle scuole pubbliche.
E, contrariamente agli auspici di qualche rivista scolastica, in una situazione come quella attuale, in cui, nonostante le vacanze, continuano ad arrivare agli uffici sindacali mozioni di scuole secondarie superiori contrarie al decreto applicativo, l’adesione o no alla sperimentazione (se questa sarà regolarmente sottoposta alla volontà dei collegi docenti) non potrà che assumere i toni di un referendum pro o contro la legge 53.
Infatti tutti hanno chiaro che non di sperimentazione si tratta, ma di anticipazione: quella stessa anticipazione usata, con scarsa fortuna, per il primo ciclo. Se di sperimentazione volesse veramente interessarsi il Ministero, avrebbe abbondante lavoro da fare per verificare, come chiedono molti dei documenti che le scuole mandano alle sedi sindacali, le sperimentazioni avviate negli anni passati, che la riforma cancella d’amblè, senza neppure un grazie a chi si è prodigato a cercare vie nuove dell’educazione. Parliamo degli ITSOS, ma anche dei nuovi ordinamenti dei tecnici che non hanno neppure compiuto i 10 anni. E che dire del professionale? E’ l’unico settore riformato in blocco, anch’esso da appena 8 anni, e paga questa scelta come minimo con una retrocessione, se non con la sua scomparsa. Per non parlare dei licei linguistici, psico-pedagogici, delle scienze sociali, scientifico-tecnologici ormai diffusi a tappeto sul territorio nazionale. E per non parlare delle maxisperimentazioni che magari sono in piedi e si autoriformano da 20 anni.
Quando mai è stato tirato un bilancio di tutto questo lavorio?

Consultazione virtuale, opposizione reale

La sperimentazione, dunque, non assumerà i toni di un referendum: è già essa stessa un referendum!
Lo è perché è funzionale non alla ricerca ma all’anticipazione di una legge che ha volutamente ignorato la ricerca sul campo.
Lo è perché è funzionale solo alla logica sensazionalista, da riprodurre sui mass media, per poter sostenere che le scuole corrono in massa ad applicare la nuova legge, mentre in realtà gli insegnanti in questi anni sono corsi in massa alle mobilitazioni contro la legge 53.
Lo è perché è stata voluta così ignorando il lavoro degli insegnanti e delle scuole.
Ha un bel da dire il Ministero, come dice nel documento inviato al CNPI, che la scelta della sperimentazione è frutto di una “ampia consultazione”.
Peccato che nessuno si sia accorto di essere mai stato consultato!
E chi sarebbe stato consultato, secondo il ministero?
Uno si aspetterebbe innanzi tutto docenti, studenti e genitori. E invece no: il Ministero inizia l’elenco, non a caso, con università e non meglio precisate “istituzioni culturali”.
Poi prosegue con un altrettanto imprecisato “mondo del lavoro e delle professioni” da cui si deduce automaticamente che si tratta sostanzialmente di Confindustria, dal momento che l’altra parte più consistente di questo mondo, i lavoratori e i loro sindacati, tutti nessuno escluso, bussano da anni e invano alla porta del MIUR chiedendo di essere informati e ascoltati.
E continua: “le associazioni professionali e disciplinari degli insegnanti”. Quali? Solo quelle riconosciute dal Ministero! Non certo quelle che in questi anni hanno partecipato in tutte le città d’Italia ai tavoli per “fermare la Moratti”. Non quelle degli insegnanti di laboratorio, di educazione fisica, di diritto, di chimica, di lingue, di discipline artistiche che da gennaio ci hanno inondati di documenti contro il decreto sulla secondaria superiore.
E infine ecco le “istituzioni scolastiche”, per ultime, come si conviene a chi probabilmente produce solo obiezioni fastidiose,
E come sarebbero state consultate, di grazia?
Risposta: “mediante l’attivazione di un forum dedicato”! (sul sito web del Ministero, è sottinteso: nessuno pensi a un forum di consultazione vero e proprio, in cui la gente in carne ed ossa si trova e discute!)
Una risposta che si commenta da sé, ma che, per mettere i puntini sulle “i” (le tre di ordinanza, naturalmente!), sente anche il bisogno di precisare che in quel forum sono state rappresentate soprattutto le voglie delle scuole di sperimentare, non tanto “le esigenze e i bisogni particolarmente avvertiti dagli operatori scolastici”. E c’è da crederci: se fossero state tenute in considerazione quelle esigenze e quei bisogni, ben altro epilogo avrebbe dovuto avere la cosa!

Una sperimentazione impossibile

La sperimentazione in questione tuttavia dovrebbe svolgersi all’interno delle regole fissate dall’art. 11 del DPR 275/99, vale a dire la sperimentazione già prevista dalla legge sull’autonomia scolastica. Anzi dovrebbe soddisfare le esigenze di sperimentazione ex DPR.275/99, che dal testo inviato al CNPI sembrerebbero frenetiche e irrefrenabili (e non saremo certo noi a dolercene). Ma, in altre parole e con una buona dose di faccia tosta, il Ministero dice a queste scuole: “ Volete sperimentare? Allora fate la MIA sperimentazione, il MIO progetto”. Non c’è che dire: bella autonomia!
Ed infatti non mancano tutta una serie di condizioni. Il testo inviato al CNPI le elenca: condizioni di fattibilità, attuale distribuzione territoriale dell’offerta formativa (eventuali deroghe devono essere concordate tra Direzioni Regionali e Amministrazioni regionali e locali), disponibilità delle risorse professionali per l’attuazione dei nuovi piani di studio. Insomma, fin qui siamo dentro al quadro del DPR 275/99. Dette così e sommate alla scarsità di risorse anche umane per le scuole a cui abbiamo assistito in questi anni di “organici magri” sembrano condizioni capestro piuttosto che un incentivo a sperimentare.
Ma viene anche detto che la sperimentazione può limitarsi a singoli “profili” dell’ “impianto ordinamentale”, non necessariamente a tutto questo. A parte il linguaggio non propriamente appropriato (e perciò equivoco) si tratterà dunque solo di sperimentazioni parziali? Ma allora a che cosa ci si riferisce? Ai piani orari o alle discipline? Ma se si deve restare nell’ambito delle risorse umane esistenti (come prescritto dal DPR 275/99), anche mettendo in conto orari settimanali meno lunghi, come si fa a bilanciare le diverse discipline?
Oppure ci si riferisce solo a indicazioni e OSA (per parlare come si mangia: i programmi)? Ma allora in questo caso la sperimentazione sarà solo didattica non strutturale (ammesso e non concesso che il raggiungimento degli obiettivi possa prescindere dalla struttura).
Sullo stesso “campus”, novità su cui forse si esercita la curiosità dei più, si ribadisce che occorre raccordarsi con “le regioni impegnate nell’attuazione dei percorsi di istruzione e formazione professionale….”. Ma quale istruzione e formazione professionale, se questa deve essere istituita dal decreto, che fino a prova contraria non è ancora operante? E comunque quale istruzione e formazione professionale, se il decreto stesso non dice quando verrà istituito il sistema dell’istruzione della formazione professionale?
E infatti il testo prosegue “….percorsi di istruzione e formazione professionale nell’ambito degli accordi territoriali tra Uffici scolastici regionali e le Regioni previsti dall’Accordo quadro in sede di Conferenza unificata 19 giugno 2000”. Ecco dunque di cosa si parla! Dei corsi tappabuco, diventati con un colpo di bacchetta magica percorsi di istruzione e formazione professionale! Anzi: il sistema dell’istruzione e della formazione professionale!
Ma se si sperimentano i nuovi ordinamenti (ammesso e non concesso che alle condizioni poste si possa fare), dei docenti non utilizzati (parzialmente per ora, dal momento che la “sperimentazione” si può applicare solo alle prime classi) che si fa? Si utilizzano nel “campus” eventuale oppure bisogna per forza rivolgersi alle regioni? Oppure si utilizzano ma bisogna chiedere alle regioni il permesso?
Ma in realtà il problema di fondo resta un altro: che spazio reale c’è per fare una sperimentazione che cambia non solo la struttura e i programmi, ma anche la finalità della scuola secondaria superiore? In altre parole fino a che punto la scuola può prendere venticinque ragazzi che si sono iscritti ad un corso per diventare geometri o periti o ragionieri e inserirli in un corso sperimentale che non da più il titolo di geometra o di perito o di ragioniere? Basta a risolvere il problema quell’indicazione, contenuta nel testo inviato al CNPI, dove si richiede il “previo consenso espresso da parte delle famiglie”? Non occorrerebbe forse dire alle famiglie anche dove vanno a finire i loro figli? Ma c’è da temere che a questa risposta non sappia ancora rispondere neppure il Ministro in persona!

Un’attuazione impossibile

Altro che anticipazione o sperimentazione, che dir si voglia! Il problema è proprio il contrario: ammesso e non concesso che il decreto venga approvato entro la scadenza della delega, ben difficilmente una riforma siffatta, ancora così carica di interrogativi e di contraddizioni, potrà realizzarsi a tappeto su tutto il territorio nazionale e in tutte le scuole secondarie superiori il 1° settembre 2006 come prevede la legge. Anche perché ciò che si farà il 1° settembre 2006 va deciso entro dicembre di quest’anno, perché dovrà essere presentato ad alunni e genitori non solo come POF, ma persino come finalità della scuola che a gennaio 2006 dovranno scegliere. E non c’è nessuno che sia in grado di sciogliere oggi i dubbi interpretativi che la legge pone e che le ultime stesure hanno pure aggravato.
Per esempio: chi sa dire con certezza oggi dove vanno finire gli istituti professionali? Al sistema dell’istruzione e della formazione professionale e quindi alle regioni come vorrebbe l’aggettivo? O diventeranno licei tecnologici con “campus” annesso come potrebbe significare il mantenimento degli organici per 5 anni? E in questo caso a che serve ricorrere alle regioni se il personale per fare il “campus” c’è ed è statale? Ma le discipline del campus resteranno ordinamentali come dice il decreto? Ma se sono ordinamentali perché allora non sono nell’ordinamento? Ed in ogni caso come farà il Ministero in tre mesi (da ottobre a dicembre 2005) a soddisfare con mille o duemila decreti la richiesta di campus che inevitabilmente verrà dagli istituti professionali e tecnici che si convertono in licei? E come faranno le scuole a fare la loro offerta formativa per le iscrizioni di gennaio se non sapranno queste cose?
E gli stessi problemi, che in maniera più evidente e drammatica si pongono per i professionali, si pongono anche per gli attuali istituti tecnici e gli istituti d’arte. Stiamo parlando dei due terzi dell’utenza, non di una minoranza trascurabile!
Stando così le cose non di una sperimentazione anticipatrice c’è bisogno. C’è da chiedersi piuttosto se ci sarà lo spazio per una attuazione, persino in via sperimentale, dal 2006, visti i tempi stretti che restano per sciogliere nodi e contraddizioni.
Ma allora a che cosa serve che nella legge ci sia questo termine dell’anno scolastico 2006-2007 come avvio di una riforma che non potrà essere avviata?
E’ evidente: a poter dire davanti alle telecamere (come è già stato fatto pochi mesi fa dicendo bugie) e in piena campagna elettorale per i rinnovo delle Camere, che la riforma è compiuta, anche se questa riforma di fatto non partirà o partirà solo, e solamente per prova, in pochi corsi (200 su quasi 30.000).

Roma, 8 luglio 2005