Associazione Dottorandi Italiani: Sul problema del riordino della docenza e della ricerca in Italia
Il recente testo unificato dei disegni di legge sul riordino della docenza rappresenta un esempio eclatante di come l'Università italiana si sta trasformando attraverso una serie di interventi legislativi parziali e scollegati, piuttosto che tramite una riforma organica dell'intero sistema.
A cura del Gruppo di Lavoro ADI-Postdoc
Il recente testo unificato dei disegni di legge sul riordino della docenza (n. 3399, 3477, 3554, 3644, 3672) rappresenta un esempio eclatante di come l'Università italiana si sta trasformando attraverso una serie di interventi legislativi parziali e scollegati, piuttosto che tramite una riforma organica dell'intero sistema.
I vari interventi legislativi approvati o in discussione hanno avuto spesso dei validi intenti, ma il quadro complessivo che si sta delineando mostra innumerevoli storture.
Nelle fasi di questo processo di riforma dell'Università (come si può riscontrare nelle prime versioni della legge 210/98, poi snaturata nel suo iter parlamentare) avevamo notato una meritoria attenzione verso la ricerca della qualità delle nuove figure di ricercatore, ma il quadro che poi si è andato delineando è preoccupante.
La trasformazione della figura di ricercatore in quella di professore a tutti gli effetti, prevista dai su menzionati disegni di legge, accompagnata dalla scelta di mettere ad esaurimento il ruolo dei ricercatori universitari (Art. 1, comma 2), porterà probabilmente nel medio-lungo periodo ad una diminuzione di nuove posizioni permanenti nell'università. A questo non corrisponde, come invece sarebbe auspicabile, la creazione di adeguate figure di ricercatore a tempo determinato, con caratteristiche simili a quelle analoghe presenti in altri sistemi di ricerca avanzati, tutelate e riconosciute anche al di fuori del mondo della ricerca italiana. Il summenzionato testo unificato (Art. 2) afferma che gli Atenei daranno la priorità agli Assegni di Ricerca (AdR) e al reclutamento di professori ordinari e associati.
L'università italiana si sta così caratterizzando sempre più come formata esclusivamente da queste due figure "estreme": da una parte i professori di I, II e III fascia, assunti permanentemente, con garanzie e diritti maggiori di quelli delle analoghe figure degli altri paesi europei; dall'altra, un numero sempre maggiore di forme di precariato estremo, come gli assegni di ricerca: non contrattualizzate, prive di qualsiasi autonomia di ricerca, di durata in genere non superiore ai due anni, non rinnovabili oltre i quattro anni per chi ha conseguito il dottorato di ricerca. Tra questi due estremi, diversamente da quanto avviene nel resto d'Europa, non c'é nulla, mentre esisterebbe, se giustamente incentivata, la figura del ricercatore a tempo determinato quale valida alternativa agli AdR [D.M.11/2/98].
In particolare, negli acclamati sistemi accademici americano e britannico il precariato ha due componenti ben distinte: una componente è quella dei giovani ricercatori non ancora completamente indipendenti, ma capaci di dare un contributo significativo al lavoro di un gruppo di ricerca, che vengono assunti con contratto a termine basato su un progetto proposto da un professore dell'università ospitante; l'altra componente è quella dei ricercatori che, pur essendo giovani, hanno già dimostrato di avere propri progetti validi e vengono finanziati con contratti a termine basati su progetti di ricerca da loro stessi proposti (per i quali è richiesta la compatibilità con lo spettro di interessi di ricerca perseguiti nell'università ospitante).
La possibilità, per i più creativi tra i giovani dottori di ricerca, di ottenere finanziamenti non direttamente collegati ad un membro della facoltà, ma comunque ben integrati nelle attività complessive del dipartimento ospitante, non solo consente una maggiore pluralità e modernità delle linee di ricerca, ma ha anche un effetto positivo per i giovani ricercatori che lavorano ad un progetto proposto da un membro della facoltà, perché li rende meno vulnerabili ad eventuali pressioni indebite (l'alternativa di poter eventualmente provare ad ottenere finanziamenti su progetti propri mitiga gli elementi di pressione a disposizione dei leaders del gruppo di ricerca). Inoltre a questo si aggiunge la difficoltà, per un giovane ricercatore italiano, a proseguire il precariato in un altro paese, in quanto la mancanza di una documentata capacità di sviluppare progetti di ricerca indipendenti rende impossibile competere con i candidati di altri paesi, e ciò è ancora più decisivo e grave qualora la competizione sia per un posto di professore in Europa. Nessuno assume come professore un ricercatore che non ha già dimostrato una capacità di sviluppare propri progetti di ricerca. A nostro parere i posti di "ricercatore con contratto a termine" rappresentano un canale di finanziamento per giovani ricercatori con propri validi programmi di ricerca, che va incentivato con, almeno, lo strumento dei cofinanziamenti ministeriali.
Di seguito nella prima parte elenchiamo i più emblematici tra quei provvedimenti indirizzati verso criteri di assunzione inammissibili, sia dal punto di vista finanziario che dal punto di vista metodologico, e, nella seconda parte, proponiamo dei provvedimenti alternativi, a nostro avviso capaci non solo di alleviare l'attuale difficile situazione per i giovani dottori di ricerca italiani, ma anche utili a rendere più efficiente e produttiva l'Università e la ricerca italiane.
PARTE I
Ricercatore a tempo determinato
Il precedente governo auspicava che il sistema universitario si muovesse nella direzione di incentivare i contratti di ricercatore a tempo determinato (si veda in particolare la lettera del Ministro ai Rettori delle università italiane del 17 marzo 1997 in ), che condividiamo completamente.
Purtroppo si è limitato ad auspicarlo, senza predisporre nei fatti le misure finanziarie che rendessero praticabile questa prospettiva.
Al contrario, stanziando una considerevole quantità di fondi per il cofinanziamento degli assegni di ricerca, e non stanziando nulla per contratti di ricercatore a tempo determinato, ha favorito il processo opposto a quello auspicato da noi e dallo stesso ministro nel sopracitato documento: un'aumento indiscriminato delle posizioni di precariato estremo, avallato anche dal Testo unificato sulla terza fascia dei professori universitari che impone agli atenei di utilizzare preferenzialmente gli AdR.
Assegni di ricerca
Sebbene questo non fosse previsto dalle disposizioni giuridiche concernenti gli AdR, la forma di attuazione degli AdR scelta da vari atenei rende più pesanti gli elementi di vulnerabilità del precario. In particolare si è potuto constatare che:
a) la durata prevista da quasi tutti i regolamenti di ateneo è di massimo due anni (in taluni casi anche uno soltanto).
b) L'assegnista non deve possedere il titolo di dottorato, ed è lasciato all'arbitrio dei regolamenti d'ateneo e ai bandi delle strutture di decidere quanto e come valutare titoli e pubblicazioni. Questo introduce il serio rischio che gli assegni creino una fascia di precari selezionati non secondo qualità, ma secondo criteri clientelari che sono responsabili della gran parte delle disfunzioni attuali dell'Università italiana.
c) L'assegnista è il precario perfetto: il suo contributo pensionistico è minimo, il famoso 12% che non corrisponde alla sua mansione di ricercatore (che, nella maggior parte dei casi, di fatto è a tempo pieno) e deve comunque coordinarsi e sottostare a tempi e ritmi del progetto in cui è coinvolto; se non può condurre la sua ricerca per qualunque motivo (malattia, gravidanza) può essere allontanato; economicamente è sottopagato (non arrivando nemmeno allo stipendio esiguo del ricercatore non confermato). In pratica è in una situazione di vero e proprio sfruttamento, che non può che portare all'esigenza di un'altra ope legis volta a convogliare in modo indistinto gli assegnisti in un qualche nuovo ruolo inventato per l'occasione.
d) il meccanismo estremamente favorevole, disegnato dal ministero, che esenta gli AdR da tassazione e ne cofinanzia la copertura non può che portare ad un utilizzo indiscriminato di questo strumento. Da notare che, mentre la seconda caratteristica può dare luogo ad un numero comunque limitato di assegni, la prima può far scegliere l'assegno come strumento con cui assumere ricercatori anche totalmente a carico delle strutture.
e) alcuni atenei stanno anche introducendo restrizioni alla possibilità per coloro che fruiscono di un AdR di sviluppare un profilo professionale esterno all'università, anche quando non in conflitto con l'attività associata all'AdR. Questo ovviamente non può che rendere ancor più vulnerabile la posizione degli assegnisti, visto che in caso di mancato rinnovo del contratto potrebbero trovarsi nella situazione di non avere alternative né all'interno né all'esterno dell'università.
g) da ultimo segnaliamo anche che in alcuni atenei sono stati imposti dei limiti di età (35 anni ad esempio o addirittura 31) per poter usufruire di un AdR: ancora una volta questo ulteriore elemento di pressione non sembrava essere negli intenti dei legislatori e rappresenta una deprecabile inversione di tendenza rispetto ai recenti provvedimenti di abolizione dei limiti di età per la partecipazione a concorsi pubblici (Legge 15/5/97 n. 127, Art. 3, comma 6), senza contare che esso costituisce un chiaro impedimento posto ai dottori di ricerca, in media trentenni.
Per tutte queste ragioni è auspicabile una profonda trasformazione di questa figura, principalmente nella direzione di maggiori garanzie (previdenziali, di tutela ed economiche) e di maggiore visibilità, ovvero verso la creazione di una figura di lavoratore a tempo determinato con un contratto chiaro, di durata minima quadriennale e rinnovabile (come recita la norma che li istituisce) ed uguale per tutti gli atenei dove si riconosca l'alta professionalità del soggetto.
Solo in questo modo si può incentivare la ricerca della qualità nei nostri atenei.
Regolamento contenuto nel D.P.R. n. 390 del 19/10/98
Le recenti disposizioni sui concorsi universitari contenute nel D.P.R. n. 390 del 19/10/98 hanno rimosso la norma che tradizionalmente riguardava l'assegnazione di un punteggio base ai candidati in possesso del titolo di dottore di ricerca. Ciò è nettamente in contrasto con il fatto che il titolo di dottore di ricerca è il più alto titolo di studio esistente (come ribadito nello stesso D.P.R.) e, soprattutto, con quanto avviene in tutti i paesi europei, con i quali dobbiamo raffrontarci, e negli USA, dove senza il titolo di Ph.D (l'analogo del nostro dottorato di ricerca) è impossibile intraprendere la carriera negli enti di ricerca, oltre che accedere ai livelli più importanti dell'impiego pubblico e privato. Inoltre, l'eliminazione di questa valutazione introduce un nuovo elemento di arbitrio nei concorsi universitari, agevolando il malcostume di stabilire la valutazione dei titoli in base al curriculum del candidato più gradito alla commissione.
Nel regolamento in questione è contenuta anche l'imposizione di un limite massimo (cinque per anno) di valutazioni comparative per posti di ricercatore o professore di ruolo alle quali un candidato può partecipare. Questa disposizione di fatto demotiverà i candidati più validi dallo "sprecare" una delle cinque opportunità disponibili in quei concorsi per i quali si teme la presenza di una commissione che possa avere obiettivi clientelari, ma è proprio a quei concorsi che i candidati più validi dovrebbero partecipare in massa per rendere il più difficile possibile la realizzazione dell'illecito obiettivo della commissione.
Testo unificato dei disegni di legge sul riordino della docenza (n.3399, 3477, 3554, 3644, 3672)
I recenti ddl sul riordino della docenza, ed in particolare della III fascia universitaria, non solo non introducono alcun elemento che possa incoraggiare le Università a bandire dei posti di "ricercatore con contratto a termine", ma introducono uno scenario nel quale il personale già in servizio finirebbe col costare molto di più alle università, il che potrebbe lasciare ancora meno fondi disponibili per l'apertura di posti di "ricercatore con contratto a termine". Siamo solidali con iniziative atte ad una rivalutazione sia professionale che salariale della II e III fascia universitaria purché effettivamente rapportate alla qualità del lavoro prodotto ed alla attività di docenza fornita, ma ciò non può avvenire a discapito della nostra generazione di giovani dottori di ricerca. Una generazione che ha già pagato un prezzo fortissimo per l'ope legis di circa 20 anni fa e rischia di risultare totalmente "strozzata nel mezzo" se le Università fossero portate adesso a ridurre ulteriormente la frequenza di nuove assunzioni, a causa delle ingenti nuove spese associate all'incremento salariale per la II e III fascia di docenti. Gli incrementi salariali (che anche noi interpretiamo positivamente se giustificati dalla qualità del lavoro prodotto e dall'attività di docenza fornita) per II e III fascia saranno giustificabili solo se si introdurrà contemporaneamente un aumento sostanziale dei fondi disponibili alle Università. Tale aumento dovrebbe non solo compensare gli aumenti degli stipendi, ma anche contenere un ulteriore margine finanziario tale da dare nuovo impulso al processo di nuove assunzioni, che è stato così lungamente stagnante. Consistentemente con l'impegno proclamato per una società italiana più al passo con il crescente ritmo di conquiste scientifiche, tecnologiche e culturali, i legislatori dovranno ben valutare i rischi associati ad un mondo della ricerca nel quale da così lungo tempo non si verifica un sostanziale ricambio generazionale e non vengono introdotte nuove energie.
Concorsi riservati per tecnici laureati [L. n. 4 del 14/01/99]
Un'altra proposta che porterà ad una ulteriore saturazione dei ranghi universitari e si dimostrerà gravosa per le finanze delle università è la possibilità di bandire concorsi per posti di ricercatore riservati a personale "assunto in ruolo per lo svolgimento di funzioni tecniche o socio-sanitarie, a seguito di pubblici concorsi che prevedevano come requisito di accesso il diploma di laurea, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e che abbia svolto alla predetta data almeno tre anni di attività di ricerca.".
Siamo ovviamente solidali con i Tecnici Laureati e saremmo stati senz'altro favorevoli ad un qualche meccanismo che consentisse di valutare, nell'ambito di regolari concorsi per posti da ricercatore, la loro elevata esperienza, conseguita in anni di lavoro, ma qualsiasi provvedimento di tipo ope legis non può che vederci contrari: un meccanismo di selezione che impedisca una regolare competizione a tutti i cittadini in grado di dimostrare la propria idoneità alla ricerca appare fortemente lesivo dei principi di buon andamento della Pubblica Amministrazione e della libera concorrenza.
PARTE II:
PROPOSTE
1. Ci sembra necessario che qualsiasi riforma della docenza sia abbinata ad un rilancio della formula di assunzione del tipo "ricercatore con contratto a termine". Inoltre qualsiasi aumento di spesa associato ad aumenti salariali per personale già in servizio dovrebbe essere accompagnato da finanziamenti adeguati non solo a coprire tali aumenti di spesa, ma anche a consentire alle università di fare NUOVE assunzioni tra i giovani ricercatori. Ci sembra quindi prioritaria l'introduzione di una legislazione specifica che regoli la figura del ricercatore a tempo determinato, codificando sia la durata minima che la forma di contratto. Tale normativa deve seguire le linee citate dal ministro Berlinguer: contratto di lavoro subordinato, assunzione su progetto del candidato, modalità di selezione snelle ma che tutelino la qualità (con valutazione del dottorato, e più in generale dei titoli e dell'esperienza del candidato).
Il "ricercatore con contratto a termine" dovrebbe essere assunto sulla base della forza del suo curriculum di ricerca, della qualità del programma di ricerca che egli stesso propone e del livello di integrazione di tale progetto all'interno delle attività della Università ospitante. (Esempi internazionali di questo tipo di finanziamento sono quelli britannici della Royal Society, quelli statunitensi della National Science Foundation e quelli tedeschi della DFG (Deutsche Forschungsgemeinschaft): in Italia tali modelli sono stati in parte recepiti dagli attuali contratti del CNR (ex art. 23 e 36)).
Perché questa figura venga utilizzata di fatto dagli atenei, tale provvedimento deve essere accompagnato da una misura finanziaria nazionale che stabilisca un cofinanziamento per tale tipo di assunzioni. Al fine di rendere più trasparente la procedura di selezione, anche uniformandosi alle analoghe procedure internazionali, sarebbe anche auspicabile l'introduzione, tra i titoli valutabili presentati dai candidati, di lettere di presentazione scritte da ricercatori seniores che abbiano collaborato con i candidati o che ne conoscano approfonditamente l'attività di ricerca e che possano dare un giudizio di merito sulle capacità scientifiche dei candidati e sui programmi di ricerca presentati.
2. Al fine di garantire una maggiore pluralità delle linee di ricerca ed un ritmo più elevato del loro rinnovamento, una percentuale significativa degli AdR dovrebbe essere destinata a progetti proposti dagli stessi giovani ricercatori, sempre tenendo conto dello spettro di interessi perseguiti nell'università ospitante. Questa è la prassi consolidata in tutti gli altri sistemi universitari ed è semmai ancor più giustificata nel caso dell'università italiana, che deve scuotersi da anni di svilimento dovuto alla mancanza di un sistema di valutazione dell'operato dei suoi dipendenti e da una gestione clientelare e baronale.
3.I legislatori devono anche assicurarsi che l'autonomia degli atenei non finisca col portare ad uno stravolgimento del tipo di strumento che era stato fornito con gli AdR. Deve essere imposto che gli AdR siano contratti di durata minima quadriennale. Inoltre agli atenei deve essere richiesto di eliminare tutti gli ingiustificati limiti di età e le ingiustificate limitazioni delle attività esterne all'università (quando compatibili con le attività associate all'AdR).
4. È necessario introdurre urgentemente dei seri meccanismi che aggancino l'ammontare dei finanziamenti destinati ad un gruppo di ricerca alla qualità del lavoro prodotto e dell'attività di docenza fornita. Questa è una pratica comune nei paesi più noti per la loro produttività ed é, a nostro parere, l'unico stimolo efficace per incentivare la qualità.
5. Nell'ottica della responsabilizzazione di coloro che sono chiamati a gestire gli enti pubblici di ricerca, è necessario permettere la selezione diretta dei candidati da parte dei responsabili scientifici delle aree di ricerca, introducendo di pari passo criteri di valutazione esterna, cui vanno legati i finanziamenti, per giudicare periodicamente l'operato di tali responsabili e di coloro che essi hanno scelto. Contestualmente andrebbero abolite tutte le prove scritte e prove pratiche ora previste nei concorsi per i quali è di fatto necessario il titolo di dottore di ricerca (o paragonabile esperienza di ricerca). L'Italia è l'unica nazione nella quale l'assunzione di ricercatori all'università dipende da questo tipo di selezione. Negli altri paesi il titolo di dottore di ricerca o esperienza equivalente è sufficiente a garantire la possibilità di essere valutati per i risultati complessivi della propria ricerca e non in base ad una singola prova. Questo è ben chiaro anche agli ambienti accademici italiani, tuttavia la forma di concorso attuale è il miglior modo per gestire più o meno arbitrariamente le selezioni, evitando qualunque assunzione di responsabilità diretta da parte delle commissioni preposte. Ciò sarebbe inammissibile in gran parte degli altri paesi scientificamente e tecnologicamente avanzati ed è semplicemente il risultato di decenni di privilegi e deresponsabilizzazioni accordate a chi attualmente gestisce la ricerca in Italia.
6. Solo qualora siano introdotti criteri di responsabilizzazione diretta per coloro che selezionano i candidati, e qualora siano resi efficaci i contratti di ricercatore a tempo determinato accessibili a coloro che abbiano raggiunto una maurità scientifica dimostrabile (tramite il conseguimento del dottorato, o titoli equipollenti, o attraverso un percorso scientifico paragonabile per durata e esperienza acquisita al dottorato), sarà accettabile l'eliminazione di un punteggio base riservato ai candidati in possesso del titolo di dottore di ricerca. In mancanza di tali premesse, l'abolizione del punteggio assegnato nei concorsi accademici al dottorato sarà esclusivamente un nuovo e deleterio elemento di arbitrarietà, che renderà ancora più agevole una gestione clientelare e deresponsabilizzata dei posti messi a concorso.