Comunicato delle Organizzazioni e delle Associazioni della docenza universitaria su riforma della docenza universitaria
I Sindacati e le Organizzazioni rappresentative della docenza universitaria riunitisi a Roma il 21 febbraio u.s. hanno valutato assai negativamente il metodo seguito dal ministro Moratti di rendere pubbliche le linee generali del suo progetto di riforma della docenza universitaria senza aver sentito la necessità di presentarle anche e in primo luogo alle rappresentanze dei docenti
I Sindacati e le Organizzazioni rappresentative della docenza universitaria riunitisi a Roma il 21 febbraio u.s. hanno valutato assai negativamente il metodo seguito dal ministro Moratti di rendere pubbliche le linee generali del suo progetto di riforma della docenza universitaria senza aver sentito la necessità di presentarle anche e in primo luogo alle rappresentanze dei docenti. I Sindacati e le Organizzazioni rappresentative della docenza sono peraltro ancora in attesa della costituzione dei tavoli tematici (uno dei quali proprio sullo stato giuridico) che erano stati proposti dall’avv. Di Pace, Capo di Gabinetto del Ministro, nell’unica occasione di incontro con i vertici ministeriali avvenuta il 15 novembre dello scorso anno. E ciò avviene in un contesto di fortissimo disagio dei docenti schiacciati dal forte aumento dell'impegno didattico in un sistema sempre più povero di risorse e sempre rimesso in discussione nelle sue prospettive future.
Per quanto riguarda i contenuti del progetto di riforma dello stato giuridico, per ora solo enunciati e senza alcuna previsione delle risorse necessarie, si prospetta un pernicioso disegno di progressiva deresponsabilizzazione dello Stato nei confronti del sistema dell’alta formazione culturale e scientifica, disegno parallelo rispetto al non meno preoccupante processo di centralizzazione e accorpamento della ricerca scientifica, privilegiando alcuni settori della ricerca applicata a scapito della ricerca di base che è il presupposto per lo sviluppo della conoscenza e per le successive applicazioni. E’, poi, inaccettabile la dichiarazione del Ministro sulla messa in liquidazione degli Enti di ricerca se il confronto sul riassetto degli stessi non si chiuderà entro giugno. Grave sarebbe la responsabilità di un Ministro della ricerca che procedesse a tanto.
Nel merito del riassetto della docenza, una prima valutazione non può che essere negativa, in quanto:
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si prevede di articolare la carriera dei docenti su due fasce, ponendo ad esaurimento il ruolo dei ricercatori e sostituendolo con contratti a termine di cinque anni rinnovabili una volta. Particolarmente grave è la circostanza che si sceglie questa articolazione senza nemmeno porsi il problema del riconoscimento delle funzioni di docenza esercitate dagli attuali ricercatori. Ciò equivale a un grande spreco di energie in quanto favorisce l'emarginazione e il disimpegno di una categoria che si è dimostrata indispensabile per la attuazione della riforma didattica. Le organizzazioni firmatarie propongono che la questione dello stato giuridico dei ricercatori sia risolta in coerenza con la revisione complessiva dello stato giuridico dei docenti universitari, garantendo a tutti i docenti in servizio il diritto di opzione tra il nuovo regime e quello precedente. In questa direzione il ruolo dei ricercatori non va posto ad esaurimento e ad essi deve essere riconosciuta la piena funzione docente trasformando il ruolo nella terza fascia dei professori universitari, attribuendo loro tutti i diritti di elettorato attivo stabiliti per i professori ordinari e associati.
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si allunga enormemente la fase precaria, poco allettante sia dal punto di vista retributivo che delle prospettive, ciò non permetterà di selezionare per tempo e di trattenere nell’Università i giovani studiosi traducendosi in un elevato e molto poco sensato spreco di risorse. Se si vuole rafforzare la competitività internazionale del nostro Paese ed evitare quella che nei media è definita come "fuga dei cervelli" le proposte di riforma del reclutamento previste dal progetto Moratti-De Maio risultano assolutamente inadeguate;
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si prevede l’abolizione della distinzione fra tempo pieno e tempo definito, con una piena liberalizzazione della possibilità di svolgere libera attività professionale, facendo un regalo agli attuali professori e ricercatori a tempo definito che si vedranno attribuire l’indennità e godranno di tutte le prerogative degli attuali docenti a tempo pieno;
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si prevede la sostituzione delle attuali modalità concorsuali con giudizi di idoneità, diversificati per diversi tipi di docenza banditi ad anni alterni dal Ministero, con successiva chiamata da parte delle Facoltà, rendendo così il meccanismo di reclutamento e di progressione in carriera farraginoso, burocratico e ingestibile come dimostrato ampiamente dalla esperienza del passato; con un simile meccanismo, il governo potrà impedire il reclutamento solo ritardando il bando dei concorsi nazionali, senza neanche assumersi la responsabilità politica di inserire il blocco nella legge finanziaria;
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si trasforma in contratto triennale, eventualmente rinnovabile, il periodo iniziale della carriera del professore. La nuova disciplina non è solo uno spostamento della competenza al giudizio di conferma in ruolo da una commissione nazionale alla sede decentrata. Infatti, il giudizio di conferma oggi deve essere espresso e motivato; nella nuova normativa l’Ateneo, se non vorrà confermare in ruolo il docente, potrà farlo con il semplice silenzio e la scadenza del termine comporterà automaticamente la risoluzione del rapporto. A nostro avviso, invece, è indispensabile definire verifiche e incentivi che favoriscano la continuità della attività del docente-ricercatore lungo tutto l’arco della carriera la cui progressione deve avvenire con giudizi di idoneità individuali a numero aperto, piuttosto che limitarsi a prolungare la fase di ricattabilità del docente, con il rischio, tra l’altro, che una volta raggiunto il rapporto a tempo indeterminato venga meno ogni stimolo alla produttività scientifica;
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Inoltre, secondo il progetto, i docenti dovranno dedicare 350 ore annue di cui 120 ad attività didattiche o ad esse collegate. Nelle 350 ore, dunque, sono comprese, oltre la didattica, sia l’attività di ricerca, sia l’attività di servizio o di governo. Ciascun Ateneo, tuttavia, potrà stipulare con i docenti contratti individuali con i quali concordare ulteriori impegni didattici o di ricerca o gestionali a fronte di trattamenti accessori di quello di base, computati ai fini del trattamento di quiescenza. La retribuzione del docente universitario diviene così una variabile dipendente dalle disponibilità finanziarie di ciascun Ateneo e in mancanza di ogni criterio o parametro, all’interno di ciascun Ateneo, la distribuzione delle risorse per i contratti sarà potenziale frutto di arbitrio e di conflitti tra i gruppi accademici per l’accaparramento delle risorse stesse, con penalizzazione di quelli più deboli e, ancor di più, degli studiosi isolati. In un simile sistema, i docenti saranno incentivati alla ricerca affannosa di risorse esterne, distogliendo le proprie energie dalla didattica ordinaria e dalla ricerca di base. Per queste ultime, infatti, sarà difficile trovare le risorse finanziarie aggiuntive che consentano la stipulazione dei contratti in discorso, a differenza di attività (didattiche e di ricerca) immediatamente funzionali alle esigenze dei singoli committenti.
E’, infine, inaccettabile la ventilata proposta di sostituire al CUN un nuovo organismo nel quale la metà dei componenti sia di designazione governativa. Il sistema universitario rimarrebbe, così, privo di un organismo di rappresentanza in grado di interloquire – con l’autorevolezza che gli può derivare solo da una piena rappresentatività – con il potere politico.
Se il progetto Moratti-De Maio non sarà profondamente rivisto si riprodurranno e aggraveranno gli errori e le disfunzioni del passato, quali l'invecchiamento del corpo docente stabile, la ricattabilità dei docenti che devono continuamente essere sottoposti a conferme necessarie per la loro stabilizzazione, la formazione di cordate basate sul puro potere accademico e il conseguente proliferare del nepotismo, in netta contraddizione con elementari esigenze di qualità e di scelta dei migliori. Le Organizzazioni firmatarie si opporranno decisamente a questi indirizzi che sono destinati ad allontanare sempre più l'Italia dagli altri Paesi dell'Unione Europea e si oppongono all’idea che si possa sostituire lo storico sistema consolidato da secoli di tradizione con qualche improvvisata struttura di tipo aziendalistico o con recepimento poco accorto di modelli stranieri maturati in contesti storici, culturali ed economici diversi da quello italiano.
Si invitano tutti i docenti a discutere il progetto governativo in riunioni di Ateneo convocate unitariamente, anche in vista di un confronto pubblico nazionale con i Rappresentanti delle Forze Politiche da tenersi a Roma alla fine del mese di marzo.
Roma, 21 febbraio 2003
Snur-Cgil, Cisl Università, Uil-Paur, CNU, ANDU, ADU