Continua la campagna di denigrazione contro l'Università italiana
I docenti universitari italiani sono tra i più pagati del mondo. E allora perché fuggono?
E’ notizia di ieri che secondo uno studio di prossima pubblicazione da parte della prestigiosa casa editrice Routledge (P.J. Altbach, L. Reiseberg, M. Yudkevich, G. Androuschak e I.F. Pacheco, Paying the Professoriate. A Global Comparison of Compensation and Contracts, annunciato in uscita per il 13 aprile) i docenti universitari italiani sarebbero al secondo posto per retribuzione tra 28 tra i principali paesi del mondo. In un articolo che riprende questo studio, il quotidiano “la Repubblica” descrive l’Italia come un paese di docenti super-pagati e piagnucolosi.
L’articolo, che riporta quanto già pubblicato sul Herald Tribune, è discutibile e opinabile per un uso “rozzo” di dati che meriterebbero ben altre letture e analisi per essere correttamente interpretati. Ed in effetti il quadro riportato nella serie delle ricerche che hanno preceduto la pubblicazione del volume è molto più articolato di quanto traspare da certe letture superficiali. Quello che lascia però perplessi e amareggiati è che il giornalista scriva che in Italia “lo stipendio si prende tutti i mesi, anche in estate, con le Università chiuse – e a Natale invece del tacchino arriva la tredicesima”. La qualità di un simile articolo è ben rappresentata dall’eleganza dell’espressione.
In primo luogo, non ci pare che in paesi quali, ad esempio gli Stati Uniti, ci siano mesi in cui non si venga pagati o che ti regalino tacchini per Natale invece di retribuirti. Se così fosse, non possiamo allora che invitare tutti i nostri colleghi delle università estere a venire nel nostro paese dove potranno guadagnare fior di quattrini e fare, nel contempo, strage di capponi notoriamente più saporiti del tacchino. Ci sorprende, in effetti, che siano i nostri migliori ricercatori a scappare all’estero, evidentemente poco amanti del pollame nostrano oltre che tanto poco innamorati del proprio paese da preferire di guadagnare meno altrove, piuttosto che rimanere in Italia.
A parte l’ironia suscitata dall’irritazione per passaggi di dubbio gusto, questo articolo ci pare essere l’ennesimo tassello della denigrazione sistematica che il sistema universitario italiano subisce da qualche anno a questa parte. All’articolista poco interessa che le retribuzioni dei docenti italiani siano bloccate fino a tutto il 2014. Che il salario di ingresso di un ricercatore non sia di 1800 euro (eventualmente lordi) ma di circa 1600 (sempre lordi). Che l’anzianità massima raggiungibile, che l’articolista utilizza per calcolare una opinabilissima "media" degli stipendi, sia del tutto teorica, presupponendo una età di entrata in ruolo irreale in un sistema come il nostro dove, tranne il caso di qualche sottosegretario, non si viene reclutati prima dei 36 anni. Che i nostri ricercatori più giovani, con decenni di precariato alle spalle, debbano sperare di non andare in pensione troppo presto. Che il costo della vita sia in crescita permanente, cosa che non accade con le retribuzione. Che la tassazione sul lavoro sia tra le più alte d’Europa e i benefits praticamente assenti. Che la disperata situazione dei nostri atenei imponga sempre più spesso al singolo docente di coprire i costi per la partecipazione a convegni o per l’acquisto di materiali diversi per tamponare i buchi di bilancio delle proprie strutture, sottraendo quote della propria retribuzione.
Lo scandalo italiano non è il fatto che le retribuzioni medie dei docenti universitari sono “alte”, cosa che non ci pare peraltro vera. Lo scandalo è che le retribuzioni italiane in genere sono scandalosamente basse, come attestano anche le più recenti ricerche. Segno di un paese che evidentemente pensa di promuovere il proprio sviluppo con la denigrazione del lavoro, in particolare del lavoro pubblico. E nel quale la riduzione delle conquiste del lavoro deve passare attraverso la trasformazione dei diritti in privilegi e l'irrisione sistematica dei lavoratori: bamboccioni, quindi sfigati e fannulloni, poi mangiatori di spaghetti pronti a non far nulla come vuole il Ministro Fornero.
Noi crediamo che se si fugge dal nostro paese, quando se ne ha la possibilità, è soprattutto per non dover subire queste ingiurie a dispetto del proprio impegno, e non vivere il ricatto del precariato. Ma questo a qualche giornalista e ai nostri Ministri non interessa.