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Corriere della Sera: Il ministro Zecchino: ecco perchè difendo la riforma dell'università

il dibattito sul cantiere Università molto infittito negli ultimi tempi non sembra caratterizzato sempre da una effettiva conoscenza delle linee di riforma.

09/01/2000
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di ORTENSIO ZECCHINO
Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica

Caro direttore,

il dibattito sul cantiere Università molto infittito negli ultimi tempi non sembra caratterizzato sempre da una effettiva conoscenza delle linee di riforma. La complessità dei provvedimenti sembra fatta apposta per stimolare inverventi saltellanti che finiscono per rispondere prevalentemente ad esigenze volutamente critiche o ad utopie personali dei commentatori, rendendo cosà poco proficuo ogni tentativo di interlocuzione specifica. Come contributo al dibattito proverò perciò ad offrire alcuni elementi informativi.

Gli obiettivi che l'insieme dei provvedimenti persegue sono molteplici.

1) Attuazione piena dell'autonomia universitaria prevista dalla Costituzione. Con il D.M. 509/99 le Università hanno realizzato l'autonomia didattica che pone fine ad un ordinamento degli studi uniformemente ingessato dalle Alpi alla Sicilia.
Con altro decreto in corso di pubblicazione è stata abbattuta la selva delle 4.207 discipline codificate, per far posto ad un più scarno elenco di 371 settori scientifico-disciplinari all'interno dei quali le Università creeranno autonomamente i singoli insegnamenti. Per far corrispondere all'autonomia un più alto grado di responsabilità è stato realizzato un sistema di valutazione degli atenei, con specifici organi, procedure, sanzioni ed incentivi. È stata inoltre avviata una concreta politica di riequilibrio delle risorse statali destinate a ciascun ateneo per rendere la competizione più leale.

2) Attuazione dell'impegno sottoscritto lo scorso giugno a Bologna con altri 27 Paesi europei di realizzare una nuova architettura degli studi universitari incentrata su una laurea triennale ed eventualmente su una successiva biennale. Tale scelta è carica di potenzialità e rischi. Il successo dipenderà molto dalla capacità di coniugare in concreto nella laurea triennale due esigenze tra loro obiettivamente confliggenti: assicurare conoscenze professionalizzanti e formazione di base per eventualmente proseguire gli studi. Con legge già approvata è stata infine fissata la procedura di definizione degli sbocchi lavorativi dei nuovi titoli (per non ripetere la nefasta omissione che ha segnato i diplomi universitari).

3) Recupero della centralità dello studente. Le due più gravi patologie del nostro sistema universitario, abbandoni e ritardi, sono causate in gran parte da una didattica inadeguata. La sacrosanta libertà di insegnamento non potrà più comportare l'arbitraria scelta del docente del quando e del quanto insegnare slegata da una programmazione didattica generale (il sistema dei crediti garantisce sotto tale profilo lo studente). Il citato decreto sull'autonomia impone a ciascun ateneo la creazione di servizi di orientamento e tutorato per gli studenti. Nel disegno di legge sullo stato giuridico è previsto inoltre un aumento dell'impegno didattico dei docenti per allineare il nostro Paese a parametri internazionali e la fine della rigida titolarità degli insegnamenti per consentire un abbassamento del rapporto docente/studenti.

4) Apertura delle Università alle esigenze produttive della società.
Su questa necessità è incentrato il decreto sull'autonomia ed il D.L.vo 297/99 che consente alle Università di consorziarsi con imprese per sviluppare ricerca industriale e ai docenti di trascorrere lunghi periodi presso imprese.

5) Acquisizione di più alti livelli di qualità nella ricerca e nella didattica, con l'introduzione di procedure tese ad assicurare maggior rigore e ad esaltare il merito. È un obiettivo perseguito già nella riforma del Cnr innovativa nelle procedure di assunzione ed oggi nel disegno di legge sullo stato giuridico che per la prima volta introduce valutazioni quadriennali sulla produttività scientifica e sull'attività didattica dei docenti con la previsione di rigorosi e puntuali sistemi sanzionatori e premiali. Agli stessi studenti - sorretti quando "capaci e meritevoli anche se privi di mezzi" da crescenti sostegni - si è chiesto un di più. Intanto s'è posto fine alla nefasta liberalizzazione degli accessi alle Università.
Sono lusingato che il professor De Mita dalle colonne del "Sole 24 Ore" giudichi questa scelta "di grande rilievo e perciò di grande coraggio". Mi dispiace però che concluda sconsolato che "la proposta ha dato luogo solo a un dibattito di Ferragosto", essendogli sfuggito che in realtà il decreto sull'autonomia ha puntualmente mantenuto gli impegni. Nella stessa linea si pone anche la più stringente previsione di filtri per l'accesso alla laurea biennale.

Tutto questo viene però ignorato e viene invece agitata la presunta promozione "ope legis" dei ricercatori come prova di una linea populista indifferente alla qualità. Intanto la proposta non è del governo ma di parlamentari di maggioranza e di opposizione; e poi essa non fa che concedere ai ricercatori nulla più di una nuova denominazione corrispondente alle funzioni di fatto e di diritto da essi già svolte.

Agli scandalizzati commentatori, tutti professori universitari, ricordo che i ricercatori essendo stati nel tempo caricati di impropri compiti didattici (spesso per solo comodo dei professori) hanno già vista sanzionata con legge la loro funzione docente e hanno già ottenuto l'elettorato attivo generale in quasi tutti gli statuti delle Università.

Più che continuare a piangere sul latte versato, per responsabilità primaria del mondo accademico, occorre ora porsi il problema della utilità di una terza fascia così fatta. Al quesito noi abbiamo inteso rispondere con la sua messa in esaurimento e la introduzione di sistemi di reclutamento più flessibili ed incentivanti.