Corriere della Sera: Non finirà mai la guerra dei forti contro i deboli?
Una strana guerra dei forti contro i deboli, dei potenti contro i poveracci si sta svolgendo dentro l'università italiana senza che nessuno sappia o capisca la verità di quel che sta accadendo
di Francesco Merlo
Una strana guerra dei forti contro i deboli, dei potenti contro i poveracci si sta svolgendo dentro l'università italiana senza che nessuno sappia o capisca la verità di quel che sta accadendo. Tutto è cominciato con un appello solenne e indignato di una trentina di professori ordinari, tra i quali alcuni (pochi) cattedratici molto famosi, studiosi accreditati e scientificamente seri, e dunque, giustamente, grandi potenze dentro la cultura italiana, l'accademia, l'editoria e anche la politica. Questi professori universitari, che la pubblicistica sommariamente classifica come baroni, hanno dichiarato guerra non solo e non tanto alla riforma universitaria, quanto soprattutto a quella parte di essa che modifica lo status dei ricercatori trasformandoli in professori di terza fascia a esaurimento. Una bizzarra formula questa di "professori di terza fascia a esaurimento" che per la verità non modifica in nulla lo status dei ricercatori universitari non cambia il loro stipendio e li conferma nel ruolo dei "senza carriera" essendo la terza fascia appunto a esaurimento.
La sola cosa che cambia è dunque il titolo, il nome, ìetichetta che da ricercatore diventa professore di terza fascia. E bisogna dire che in Italia non v'é ricercatore che non faccia già il professore, che non abbia cioé un incarico e un'attività da insegnante, per conto, accanto e molto spesso al posto dei vari ordinari che non hanno, come si sa, molto tempo da dedicare all'insegnamento presi come sono nelle loro mille attività e nei loro affari importantissimi e magari lucrosi, come i loro studi di avvocato commercialista, le consulenze, le competenze private. Perché dunque, i ricercatori che insegnano al loro posto non possono e non debbono essere chiamati professori di terza fascia)?
I ricercatori in Italia sono circa ventimila, e tutti sono entrati per concorso pubblico, come vuole la Costituzione, e ovviamente tutti per volontà dei vari professori ordinari i quali ora non vogliono che questi ex giovani di bottega, invecchiati al loro servizio, vengano chiamati professori. Gli ordinari (non tutti, per fortuna) sostengono infatti che sarebbe un'ingiustizia contro il merito trasformare il titolo di ricercatore in professore sia pure di terza fascia e a esaurimento anche perché i ricercatori sono ormai come tanti fiori appassiti e hanno un'età media di circa cinquant'anni. Questa massa di quasi vecchi impedirebbe dunque per molti anni il rinnovamento dell'università, che ha invece bisogno di cervelli giovani da reclutare e promuovere con criteri competitivi. Nessuno fa notare però che i professori ordinari, nelle cui mani è concentrato tutto il potere accademico, vanno in pensione a settantacinque anni e hanno un'età media di sessantacinque anni.
I professori ordinari che, come si sa, assegnano le cattedre in base a criteri di spartizione, controllano per altro anche la ricerca, nel senso che gestiscono, attraverso gli appositi organismi, i fondi per la ricerca. E basti sapere, come esempio, che la stragrande maggioranza dei libri degli universitari (sia professori sia ricercatori) vengono stampati con il generoso contributo del ministero (i lettori possono cercare la scritta "questo libro è stato stampato con il contributo del Murst"). Ed è lecito il sospetto che agli editori talvolta non importi nulla dei libri universitari che pubblicano, né la qualità dello scritto né la sua promozione, ma solo quel ricco contributo statale che i professori ordinari si autoelargiscono. I ricercatori, che nulla possono e nulla fanno senza la volontà e l'intervento degli ordinari, resterebbero, approvata la riforma, nella stessa condizione, senza alcun potere di intervento, senza autonomia, senza possibilità di essere eletti negli organismi di governo dell'università. Cambierebbe, ripeto, solo il nome: non più ricercatori ma professori di terza fascia. Eppure quel gruppo di ordinari è insorto con indignazione sostenendo che non è giusto che in Italia si sia "todos caballeros" e che "non si può andare avanti promuovendo tutti".