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Corriere della Sera: Quando la creatività genera valore (e lavoro).Follie in borsa idee buone e no

Barnes&Noble, le grandi librerie americane, hanno capito con due anni di ritardo le potenzialità del commercio elettronico e non sono più riuscite a recuperare il tempo perduto rispetto ad Amazon.com, la società che per prima ha avuto l'idea di vendere libri su Internet

25/10/2000
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Barnes&Noble, le grandi librerie americane, hanno capito con due anni di ritardo le potenzialità del commercio elettronico e non sono più riuscite a recuperare il tempo perduto rispetto ad Amazon.com, la società che per prima ha avuto l'idea di vendere libri su Internet. Nokia, il produttore finlandese di telefoni cellulari, vale in Borsa più della somma dei suoi maggiori concorrenti, Ericsson e Motorola, nonostante venda meno cellulari di entrambi: il mercato premia la capacità di innovare, e in questo campo Nokia è leader. Nel 1999 la migliore azienda a Wall Street è stata Qualcomm: in un anno il prezzo delle sue azioni è salito da 25 a 520 dollari. Qualcomm è stata fondata da Irwin Jacobs, un professore di ingegneria del Mit (Massachusetts Institute of Technology) che ha inventato una tecnologia di trasmissione del segnale che sarà uno degli standard per la prossima generazione di cellulari.

Questi esempi, e tanti altri, dimostrano che il mercato premia le idee nuove: le fortune delle aziende che imitano l'innovatore sono spesso incerte, il che dovrebbe indurre a qualche cautela sulle valutazioni, anche alla Borsa di Milano, di società che non hanno inventato nulla e importano tecniche altrui.

Il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, nell'intervista a La Repubblica (4 gennaio), notava: "Dell'Italia non mi preoccupa la congiuntura, ma i problemi di lungo periodo: scuola, ricerca scientifica, capacità di inventare nuovi prodotti. Oggi la concorrenza si fa sull'innovazione, virtù che l'Italia deve coltivare di più". Le nuove idee che Wall Street trasforma in imprese miliardarie spesso nascono nelle università: è l'eccellenza nella ricerca che produce idee nuove e, prima o poi, nuove imprese.

Negli anni '60, ai tempi del Nobel Giulio Natta, gli esperimenti del Politecnico di Milano si trasformavano in brevetti della Montecatini, un'impresa che dominava il mercato delle fibre sintetiche, a quei tempi un'industria all'avanguardia. Dissoltosi alla fine degli anni '60, il circuito virtuoso università-imprese non si è più ricostruito. Le colpe mi paiono equamente divise. Non aiutano l'innovazione gli imprenditori che congelano risorse finanziarie solo per mantenere il controllo di gruppi industriali eterogenei. Nelle università, d'altra parte, per decenni i finanziamenti alla ricerca sono stati distribuiti "a pioggia" e la qualità del risultato non ha mai costituito il criterio di selezione per i finanziamenti successivi.

Il governo D'Alema ha il merito di aver affrontato il problema dell'innovazione, e tuttavia le norme introdotte sono il frutto di un compromesso deleterio tra la visione chiara di alcuni e l'approccio burocratico e sindacale di altri. L'articolo 7 delle Disposizioni in materia di stato giuridico dei professori universitari, uno dei disegni di legge collegati alla manovra finanziaria, affronta, per la prima volta in Italia, il tema dei rapporti tra la ricerca scientifica svolta nelle università e le sue applicazioni commerciali. Il comma 1 è molto innovativo: "Le università stipulano con i professori un contratto individuale di diritto privato di durata biennale, che disciplina eventuali intese circa le modalità di esercizio dell'attività libero professionale".

Segue ahimé al comma 2: "I contratti di cui al comma 1 sono stipulati sulla base di accordi quadro tra una delegazione di parte pubblica e le organizzazioni sindacali dei professori".

Ma il vero gioiello è l'art. 12 delle Disposizioni in materia di istruzione, ricerca e innovazione: "È costituita una società per azioni, denominata "Società Ricerca Italia". La società promuove l'integrazione intersettoriale, la diffusione, l'internazionalizzazione e la valorizzazione della ricerca scientifica e dei suoi risultati. A tale società possono partecipare università, enti di ricerca che fanno capo a ministeri, soggetti pubblici e privati, con esclusione (sic) di soggetti esercenti attività di impresa".

Così forse si creano posti, certo non idee.

FRANCESCO GIAVAZZI