Dinamica del turnover ed effetti sul reclutamento nel sistema universitario italiano: il decennio critico 2005-2015
Contributo di Paolo Rossi
I dati accessibili in rete sul sito del MIUR, riferiti alla data del 31.12.2003, e relativi alla distribuzione dei docenti universitari per anno di nascita, permettono (tenendo conto anche della variegata normativa sull’età massima di pensionamento), di disegnare il profilo del turnover atteso nei prossimi anni. Tale profilo può poi essere confrontato con un modello a regime (evidenziato nel grafico) che descrive una situazione in cui, restando fisso il numero totale di docenti (circa 56.000), il turnover permetterebbe di garantire un costante e adeguato reclutamento.
Dal confronto emerge la crisi del turnover fino al 2011. Nei prossimi sette anni un reclutamento nella media degli ultimi vent’anni (circa 1.500 posti annui di ricercatore) richiederebbe non meno di 10.000 concorsi, mentre il turnover libererà non più di 6.000 posizioni. Nel primo triennio (2005-2007) la situazione è ancor più drammatica: si libera meno del 40% delle posizioni necessarie.
Un esubero di pensionamenti si avrà nel decennio 2012-2021, con un picco negli anni 2016-2018, ma si noti che ancora nel 2015 soltanto il 25% degli attuali docenti sarà pensionato e solo nel 2021 si arriverà al 50%. In realtà ha senso parlare di esubero solo se l’obiettivo è un numero totale di docenti vicino a quello attuale, perché i pensionamenti saranno al massimo 2.500 all’anno, pari al turnover medio di un totale di circa 100.000 docenti: per l’Italia un valore a mala pena "europeo".
In ogni caso, a causa del cosiddetto esubero, per mantenere anche solo costante il numero totale dei docenti occorrerebbero circa 2.000 concorsi di ricercatore in media all’anno nei prossimi 15 anni.
Con 3.000 concorsi all’anno si arriverebbe a circa 70.000 docenti nel 2020, un valore certo minore di quello "europeo", ma che nel primo quinquennio richiederebbe comunque uno sforzo economico, per il solo reclutamento, di circa 120 milioni di euro annui. Ma l’analisi economica è in realtà più complessa, perché bisogna ricordare che, quando il turnover scende al di sotto del 2% annuo del costo totale le risorse generate dal turnover non sono nemmeno sufficienti a coprire gli automatismi di carriera (scatti biennali), per non parlare ovviamente delle necessarie promozioni.
Una stima assolutamente realistica del fabbisogno nel prossimo quinquennio è quindi quantificabile in un incremento complessivo di circa 600 milioni di euro del F.F.O. per il solo mantenimento dello "statu quo" (s’intende ragionando a inflazione zero). Il conto è presto fatto:
- il costo complessivo attuale della docenza è di circa 4 miliardi di euro
- il turnover (3.600 unità) produrrà risorse per non più di 400 milioni di euro
- gli aumenti stipendiali automatici (2% annuo) assorbiranno alla fine all’incirca 400 milioni di euro, e quindi annulleranno l’effetto finanziario dell’intero turnover quinquennale
- il costo del reclutamento di 2.000 ricercatori all’anno giunge in 5 anni a 400 milioni di euro
- il costo di 1.200 promozioni ad associato e 800 promozioni a ordinario ogni anno (minimo fisiologico) sale in 5 anni a circa 200 milioni di euro (calcolando in media circa 20.000 euro a promozione, come da tabelle ministeriali)
Se si pensa invece a 3.000 concorsi di ricercatore si arriva a una stima di maggior spesa annua che al termine del quinquennio sarà prossima al miliardo di euro, ovvero a un aumento delle spese per ricerca vicino allo 0,1% del P.I.L. solo per questa voce. E’ poi ovvio che un tale aumento non può non portare con sé una crescita dei costi per infrastrutture dello stesso ordine di grandezza.
L’analisi del grafico evidenzia un ulteriore elemento che merita riflessione: nonostante l’"anarchia" conseguente all’autonomia universitaria il comportamento collettivo degli ultimi 10-15 anni (che si traduce nei dati sul pensionamento dopo il 2025) è assolutamente "virtuoso" almeno sul piano quantitativo: i dati sul reclutamento e sulle promozioni, se considerati dal punto di vista della distribuzione anagrafica della docenza (che è l’unico parametro depurato dalle fluttuazioni dovute alla gestione ministeriale dei concorsi) sono del tutto conformi a un modello "a regime" al quale il sistema universitario, con l’autogoverno, ha cercato anche inconsciamente di uniformarsi.
Le uniche vere anomalie sono quelle che derivano da più o meno inconsulti provvedimenti legislativi, anche di segno tra loro opposto, come le "ope legis" e i blocchi delle assunzioni.