Docenti universitari: adeguamento ISTAT in arrivo
A breve il decreto per l’adeguamento delle retribuzioni del personale ricercatore e docente delle università: sarà del 2,4% da gennaio 2019 per arrivare a circa il 3,4% il prossimo anno. Il Governo non reintegra l’FFO del costo degli aumenti contrattuali e le università, di conseguenza, subiranno un forte taglio delle risorse per le attività.
Il personale contrattualizzato della pubblica amministrazione, con il CCNL 2016/2018, ha avuto aumenti retributivi complessivi a regime di circa il 3,48%. Con la riconquista del contratto nazionale (fatta di scioperi, manifestazioni e iniziative pubbliche), anche il personale docente torna ad avere “l’adeguamento ISTAT” (aumenti stipendiali agganciati a quelli contrattuali, secondo i calcoli dell’ISTAT). Saranno dello 0,11% dal 1 gennaio 2018 più il 2,28% dal 1 gennaio 2019 (erogati in autunno con relativi arretrati), a cui si aggiungerà dal 1 gennaio 2020 circa un altro 1% (come effetto residuale degli aumenti relativi a questo rinnovo contrattuale). Le spese del personale di tutti gli Atenei avranno quindi a regime, dal 2020, un incremento di circa 195 milioni di euro (di cui circa 150 nel 2019), ad oggi non coperti da un corrispettivo incremento del FFO. Così, a dispetto degli sbandierati finanziamenti aggiuntivi, l’Università italiana è sempre più messa alle corde: servono subito nuove risorse per permettere al sistema almeno di sopravvivere.
Gli stipendi dei docenti universitari, come tutti quelli del personale non contrattualizzato della pubblica amministrazione (magistrati, personale dirigente della carriera prefettizia, ecc.), non hanno meccanismi negoziali per la loro regolazione, a partire dal necessario adeguamento al costo della vita. Per questo, come previsto dall’art. 24 comma 1 della legge 448/1998, il loro aggiornamento si appoggia alla contrattazione del resto del Pubblico Impiego: i loro stipendi si adeguano cioè automaticamente agli aumenti contrattuali medi che avvengono nell’anno precedente, per come sono calcolati dall’ISTAT sull’insieme delle voci retributive.
Questo meccanismo di difesa e rivalutazione delle retribuzioni, conosciuto quindi come “adeguamento ISTAT” è stato fermo per quasi dieci anni a causa del lungo blocco degli stipendi (2011/2015). Il suo impatto sulle retribuzioni, in genere, non è marginale, né per i lavoratori e le lavoratrici interessati, né per i bilanci dei relativi Atenei. Per fare solo un esempio, nel 2010 (ultimo erogato) fu del 3,09%, l’anno precedente del 3.77%, nel 2008 del 1.77% e nel 2007 del 4.28%: in relazione al quadriennio contrattuale 2007-2010 è stato cioè garantito un aumento complessivo delle retribuzioni di circa il 13% (a fronte di un’inflazione complessiva di circa il 5,75%, secondo l’indice CPI).
Il CCNL 2016/2018, riconquistato nei primi mesi del 2018, ha ottenuto degli aumenti del 3,48% (con un’inflazione nel triennio pari al 2,4%, secondo l’indice CPI). Questi aumenti sono distribuiti per tutto il triennio di vigenza del contratto: una piccola parte dal primo gennaio 2017, mentre per larga parte solo dal primo aprile 2018. Per il personale non contrattualizzato il meccanismo di calcolo (derivato) e i suoi tempi comportano una dinamica particolare.
A regime, come per il resto del pubblico impiego, anche per i docenti universitari l’aumento complessivo sarà intorno al 3,4%: non esattamente il 3,48%, perché viene considerato l’aumento delle voci retributive stabili sull’insieme di tutti i dipendenti della PA. Però, questo non avverrà dal primo gennaio 2019, perché come calcolato dall’ISTAT, l’aumento per il 2017 è dello 0,11% dell’insieme delle retribuzioni medie della pubblica amministrazione, l’aumento per il 2018 solo del 2,28%.
L’aumento dal primo gennaio 2019 per il personale docente nelle università sarà quindi complessivamente intorno al 2,4%. In conseguenza del fatto che la retribuzione del personale contrattualizzato nel 2019 sarà più alta che nel 2018 (in quanto l’incremento mensile del 3,48% è stato ottenuto non a gennaio ma dal 1 aprile 2018), nel 2020 l’ISTAT registrerà l’ulteriore incremento delle retribuzioni annuali del pubblico impiego, residuale rispetto al rinnovo contrattuale del 2016/2018 e pertanto dal primo gennaio 2020 ci sarà un ulteriore aumento, intorno all’1% dello stipendio (come al solito, sarà calcolato esattamente dall’ISTAT ad aprile 2020 e quindi erogato ad autunno, con i relativi arretrati). A questo importo si aggiungeranno quelli di eventuali ulteriori rinnovi (che riguardano il triennio 2019/2021), su cui è già partita la mobilitazione sindacale, ma che dovendo in ogni caso attendere la prossima Legge di Bilancio ed il parallelo confronto con il governo (oltre che le successive vertenze e trattative), difficilmente saranno registrati dall’ISTAT (e quindi erogato ai docenti universitari) prima del 2021.
È da precisare che l’aumento riguarda tutto il personale docente non contrattualizzato (PO, PA e RTI) e quello ad esso agganciato, come i ricercatori a tempo determinato di tipo A e di tipo B (che hanno un rapporto di lavoro privato, con contratti individuali definiti dai regolamenti di Ateneo, nel quadro della Legge 240/2010 che aggancia le loro retribuzioni a quelle dei RTI). Questi aumenti dovrebbero concretizzarsi:
- per i Ricercatori (RtdB e RTI in classe 0, 34900 euro lordi annui di stipendio) in circa 60 euro mensili lordi dal primo gennaio 2019 (oltre a 35 euro lordi complessivi di arretrati 2017), con relative maggiorazioni per le classi successive;
- per i Professori Associati (prima entrata in ruolo, 45mila euro lordi annui di stipendio), in circa 80 euro mensili lordi (oltre a quasi 30 euro lordi complessivi di arretrati 2017), con relative maggiorazioni per le classi successive;
- per i Professori Ordinari (prima entrata in ruolo, 60mila euro lordi annui di stipendio), in circa 105 euro mensili lordi (oltre a quasi 40 euro lordi complessivi di arretrati 2017), con relative maggiorazioni per le classi successive.
A queste cifre, dal primo gennaio 2020 è presumibile che si aggiungano rispettivamente circa 20 euro lordi mensili per gli stipendi più bassi, quasi 30 per gli associati e 40 per gli ordinari (con relative maggiorazioni per le classi successive).
Entro questa estate dovrebbe esser emanato il DPCM che dispone l’adeguamento ISTAT dal primo gennaio 2019 (e, per quella piccolissima parte, dal 2018). Il 2,4% circa dovrebbe quindi esser erogato dall’autunno (con relativi arretrati).
Il CCNL 2016/2018 ha quindi riavviato per tutto il pubblico impiego la difesa del potere d’acquisto, oltre che una nuova dinamica di contrattazione delle condizioni generali di lavoro. In questo quadro, noi riteniamo che gli aumenti ottenuti debbano considerarsi solo “un primo acconto”, da rafforzare con aumenti più sostanziali da ottenere nei prossimi rinnovi. Nuovi aumenti, cioè, in grado non solo di difendere il potere d’acquisto rispetto all’inflazione presente ma anche di rilanciare le retribuzioni. Da una parte avvicinandole a quelle europee, e dall’altra garantendo una maggior redistribuzione della ricchezza, anche in funzione di sostenere la ripresa del ciclo economico.
Nel frattempo, gli Atenei dovranno però far fronte ad un incremento delle proprie spese per il personale. Come abbiamo segnalato già lo scorso anno, questi aumenti retributivi (immediati per il personale contrattualizzato, derivati per il personale docente) dovranno esser coperti dagli Atenei senza che il Bilancio dello Stato abbia previsto un relativo incremento delle risorse centrali finalizzate alla copertura degli stipendi (cioè, senza un parallelo incremento del FFO). Dal 2019 il picco dei pensionamenti che abbiamo conosciuto in questi anni (legati alle immissioni in ruolo degli anni ottanta, dopo la riforma del DPR 382/1980) si ridurrà significativamente: di conseguenza, scomparirà larga parte di quel margine di risorse prodotto ogni anno dall’uscita di personale con significativa anzianità e relativi alti stipendi. Inoltre, prevediamo che il prossimo rinnovo contrattuale possa essere più significativo di quello attuale (un aumento che, con lo stesso meccanismo, a seguire ricadrà anche sul personale docente).
In questo quadro, a parità di condizioni, le risorse impegnate per gli stipendi rischiano di aumentare progressivamente in rapporto al FFO. Abbiamo calcolato, considerando il personale tecnico amministrativo e il personale docente, almeno 195 milioni di euro nazionalmente (a pieno impatto sui bilanci del 2020, invece circa 150 milioni di euro sui bilanci 2019, stante il 3,48% per il personale tecnico amministrativo ed il 2,4% per il personale docente).
In questi mesi, abbiamo visto però il governo giocare alle tre carte con i fondi all’università. Promettere ripetutamente da parte del sottosegretario Fioramonti un sostanziale incremento di 1 miliardo di euro (di cui non c’è traccia nel DEF e nell’intenzioni collegiali del governo); congelare 100 milioni di euro (tra FFO e diritto allo studio) per le eventuali coperture alla UE; riassegnare altri 110 milioni all’università con la manovra di luglio (anche se in realtà l’incremento reale è meno della metà e solo per il 2019). Nel frattempo, si perpetuano ed anzi si rilanciano quei distorti meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse (dai Punti organico al FFO, dal Prin ai ludi dipartimentali) che allargano le divergenze tra Atenei e territori. Il conto finale, di conseguenza, anche rispetto all’azione di questo Governo è tutt’altro che positivo e non si intravedono minimamente le risorse necessarie per recuperare i profondi tagli di un decennio. Si continua a ragionare in termini di semplice galleggiamento e sostituzione del turn over (con circa 10mila docenti in meno rispetto al 2009 e ancor di più di personale tecnico e amministrativo, l’espansione di un precariato insostenibile nella didattica e nella ricerca). Si riproducono iniquità e disparità tra le diverse realtà universitarie. Ed in più, non si prevede neanche di coprire strutturalmente gli aumenti delle spese del personale.
In questo quadro, sarà importante nel prossimo autunno riprendere l’impegno per la difesa del Sistema Universitario Nazionale. Non solo vigilare sul rispetto dei meccanismi di adeguamento stipendiale per i lavoratori e le lavoratrici non contrattualizzati, oltre che cercare di imbrigliare (e ridurre) la progressiva differenziazione nelle condizioni di lavoro e carriera (Regolamenti su scatti, carichi e impegni, ecc). Non solo garantire diritti, politiche inclusive e stabilizzazione per il personale precario, anche a fronte delle nuove iniziative legislative sulla riforma del pre-ruolo e del reclutamento. Non solo organizzare la mobilitazione per ottenere rinnovi contrattuali dignitosi per il personale tecnico amministrativo (che, come abbiamo visto, ricadono direttamente ed indirettamente su tutto il personale dell’università). Non solo sviluppare con gli studenti un fronte comune per un reale diritto allo studio (dalle borse ai servizi), un’università pubblica e di massa. Sarà necessario soprattutto condurre tutte queste iniziative in forte connessione fra di loro, per rivendicare il rilancio e lo sviluppo dell’università italiana nel suo complesso, a fronte delle nuove richieste di regionalizzazione o di ulteriore autonomia differenziata degli Atenei, che nell’illusione di trovare nuove risorse e flessibilità per alcuni, rischiano di spezzare definitivamente la tenuta del sistema di ricerca e alta formazione necessario del nostro Paese.