Tre note sull’Università di Bologna per il nuovo Rettore
Nelle giornate del 22 e del 23 giugno l’Università di Bologna andrà ad eleggere il nuovo rettore.
Di seguito il testo elaborato dal Forum della Docenza della FLC CGIL Unibo sul alcune problematiche presenti in generale nel mondo universitario italiano e specificamente in Unibo.
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TRE NOTE SULL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA PER IL NUOVO RETTORE
A cura del Forum della Docenza Universitaria FLC CGIL dell’Università di Bologna
1. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, devono raggiungere i gradi più alti dell’istruzione
Il numero di laureati (almeno triennali) in Italia è uno dei più bassi dell’Unione Europea, se rapportato alla popolazione appartenente alla stessa classe di età (considerata la classe di età fino a 34 anni, abbiamo il 28% di laureati in Italia contro il 44% della media UE). È ormai un dato riconosciuto che uno sviluppo sostenibile e ad elevata compatibilità ambientale e sociale richieda una società nella quale sia alto, diffuso e permanente il livello delle conoscenze e delle competenze generali e specifiche. Non ci si può quindi porre solo l’obiettivo che il numero di laureati aumenti in modo molto significativo, ma anche interrogarsi sulla qualità e “profondità” della formazione.
A questo fine, come si vedrà nella nota seguente, il PNRR dedica risorse significative, ma a nostro parere è necessario che Unibo si impegni ancora di più di quanto stia facendo adesso. È fuori dubbio che la politica più significativa del rettorato Ubertini sia stata l’ampliamento della quota di studenti esenti dalla tassazione, ma di fronte alla crisi economica conseguente alla pandemia e all’importante incremento della povertà assoluta e della disuguaglianza del reddito e della ricchezza, occorre ampliare ancora di più l’area di esenzione dalla tassazione. Occorre puntare almeno al raddoppio dei posti disponibili negli studentati (bene l’investimento di 31 milioni nello stabile di via Ugo Foscolo, ma pensiamo che il nuovo rettore dovrebbe mettere a bilancio una quota analoga per ogni anno del suo mandato). È necessario al contempo aumentare l’importo delle borse di dottorato, integrando i fondi ministeriali con fondi propri dell’Unibo. E sempre per combattere la selezione di classe pensiamo che sia necessario aumentare l’attenzione per gli studenti lavoratori, ad esempio incrementando i corsi di laurea serali o agevolando forme nobili e rigorose di didattica a distanza o mista, cosa che non necessariamente ridurrebbe queste operazioni a una versione telematica della didattica dell’Ateneo.
L’ampliamento delle misure per abbattere le barriere economiche e sociali che si frappongono all’accesso alla formazione terziaria si deve anche intrecciare con una politica accademica che favorisca e incentivi pratiche didattiche inclusive e di sostegno, non solo per contrastare in modo efficace i fenomeni di abbandono degli studi che investono una quota altissima di studenti (circa il 40% degli iscritti) ma anche per migliorare i processi di apprendimento. Su questo versante il rettorato di Ubertini ha avviato interessanti esperienze che non devono essere abbandonate ma, al contrario, essere estese e approfondite.
Ma occorre sempre tener presente che il diritto allo studio passa per sostegni economici agli studenti, e che l’ulteriore qualificazione della didattica in senso inclusivo e anticlassista implica necessariamente l’incremento del numero dei professori e ricercatori di ruolo e la drastica riduzione degli insegnamenti coperti per contratto. E in generale separare le problematiche del diritto allo studio e del successo formativo da quelle che concernono le condizioni di lavoro in Unibo è un grave errore di prospettiva culturale e politica.
2. Il PNRR: aspetti critici
Sul PNRR si è formata in Italia un’attesa quasi messianica, sapientemente alimentata dagli organi di informazione filo-governativi (quasi tutti pertanto). Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato inviato dal governo italiano alla Commissione Europea all’inizio del mese di maggio 2021. Il Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. Quest’ultimo asse a sua volta individua tre priorità principali: parità di genere, protezione e valorizzazione dei giovani, superamento dei divari territoriali.
Assi e priorità sono articolati nel PNRR in 6 missioni
Missione 1: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo
Missione 2: Rivoluzione verde e transizione ecologica
Missione 3: Infrastrutture per una mobilità sostenibile
Missione 4: Istruzione e Ricerca
Missione 5: Coesione e inclusione
Missione 6: Salute
Ogni missione è a sua volta strutturata in componenti, ambiti di intervento, misure (investimenti e riforme) La Missione 4: Istruzione e Ricerca è a sua volta strutturata in due sottomissioni, Il quadro degli interventi previsti dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza in applicazione del Regolamento (UE) 2021/241 si sta via via definendo riguardo sia alle scelte strategiche che all’allocazione delle risorse. La missione 4 che riguarda “Istruzione e Ricerca” prevede risorse per 30,88 miliardi di euro. Rimandiamo alla schede messe a punto dalla FLC nazionale per la disamina puntuale di tutti gli interventi.
L’ammontare dei fondi di competenza MUR è notevole, poiché avrà la gestione di ben 10,63 miliardi di euro, così articolati:
- quasi 1 miliardo per alloggi degli studenti;
- 500 milioni per le borse di studio;
- 230 milioni su orientamento;
- 500 milioni su dottorati, innovazioni didattiche e scuole universitarie superiori;
- 4 miliardi sulla ricerca, suddivisi tra 1,8 a PRIN e PNR, 600 milioni a fondi aggiuntivi per vincitori progetti europei come ERC e Marie Curie, 1,6 miliardi a partenariati di ricerca;
- 2,9 miliardi a centri di ricerca, 1,6 a quelli nazionali su Key Enabling e 1,3 sui leader territoriali;
- 2,2 miliardi sul supporto alla ricerca e innovazione, 1,6 per infrastrutture di ricerca e innovazione che colleghino il settore industriale con quello accademico, 600 milioni su dottorati per le imprese.
Inoltre il miliardo e seicento milioni dedicato ai campioni nazionali di R&S sarà in realtà cogestito insieme al MISE (il Ministero dello Sviluppo Economico), mentre altri 2,35 miliardi dedicati al trasferimento tecnologico sono gestiti direttamente e solamente dal MISE (1,5 miliardi per IPCEI, 200 milioni per Horizon, 350 milioni per centri trasferimento tecnologico, 300 milioni su start up).
In sintesi, riprendendo la riflessione sviluppata dal Segretario generale Francesco Sinopoli: “nel Piano è sicuramente sacrificato un nodo fondamentale: quello degli investimenti nelle scienze fondamentali, nella ricerca di base. Ed è grave, perché si tratta proprio di quella scienza che serve ai grandi bisogni dell’umanità. L’esempio più ovvio è quello dei vaccini: dopo che con tagli progressivi sono stati indeboliti i laboratori pubblici di ricerca, sono rimasti solo quelli privati. Anche in questo caso, dunque, bisogna accompagnare i progetti del Pnrr con investimenti dello Stato italiano. Come sta facendo la Francia, che ha capito di essere ormai ben lontana da una leadership mondiale nella ricerca, dove dominano Usa e Cina. In Italia risultati e capacità non mancano, ma bisogna porsi il problema di come rafforzare la nostra capacità di ricerca scientifica.”
Riteniamo necessario quindi che a fronte dei finanziamenti che Unibo riuscirà ad ottenere nell’ambito del PNRR, siano stanziati sui fondi propri ingenti finanziamenti anche per la ricerca di base, perché è proprio la ricerca curiosity driven che costituisce la radice che alimenta tutto l’albero della conoscenza, fino ai suoi frutti ultimi che sono disponibili per le attività produttive. Del tutto insufficiente è l’attenzione dedicata nel PNRR al diritto allo studio, di cui si è già detto. Del tutto assente è poi il tema dell’aumento del FFO e della gestione delle risorse premiali.
A metà degli anni Sessanta, l’Italia perse le sue possibilità di sviluppo economico e sociale trainato dalle attività economiche fondate sulla scienza (liquidazione del CNEN di Felice Ippolito, ridimensionamento dell’industria dei calcolatori conseguente alla morte di Adriano Olivetti e alle connesse miopi scelte di Confindustria). Da quel periodo in avanti il sistema manifatturiero fu centrato nella attività a media e bassa tecnologia. Il PNRR potrebbe costituire un’occasione di rilancio in questa direzione, ma appare altresì centrato sul finanziamento indiretto alle imprese attraverso l’implementazione delle attività di ricerca applicata.
Ma la parte più pericolosa è quella non ancora scritta, ma solamente tratteggiata nel PNRR. Le misure di tipo economico finanziario andranno infatti accompagnate da una serie di interventi di ordine legislativo che riguarderanno le classi di laurea, le lauree abilitanti, i dottorati, il rapporto tra ITS e lauree professionalizzanti, un’ambigua e indefinita revisione del sistema della ricerca sulla gestione privatistica dei fondi. Va da sè che la voce di Unibo, attraverso il suo Rettore, dovrà levarsi su questi temi, e ci sembra opportuno che i candidati chiariscano quali sono i loro punti di vista.
3. Uscire dalla precarietà
Il precariato nell’Università è figlio diretto della legge Gelmini (la 240/2010) che abolì i ricercatori a tempo indeterminato, facendo nascere al loro posto una infiorescenza di figure precarie: gli assegnisti di ricerca, gli RTDA e gli RTDB. Sono tutte figure a termine. Per contrastare la diffusione della precarietà un singolo Rettore può fare poco, ma tutti assieme, nella CRUI, i rettori possono molto. Occorre rilevare alcune contraddizioni stridenti del sistema. Il ruolo più “vicino” alla stabilizzazione è quello di RTDB, ma ormai tutti i Dipartimenti bandiscono posti di questo tipo solo se hanno contezza di possibili candidati già “muniti” di ASN. E il giovane appena addottorato che vorrebbe dedicarsi alla ricerca di cosa dovrebbe vivere? Assegni di ricerca, contratti di insegnamento, etc. Il limite capitale di questi posti è quello di non essere riconducibili alla tipologia del lavoro dipendente: nessun versamento di contributi pensionistici, malattia, ferie, etc. In questa direzione non sembra voler sanare la situazione neppure la cosiddetta “legge Melicchio”, in discussione alla Camera dei Deputati, sotto molti profili addirittura peggiorativa della legge Gelmini.
Vi sono altri due punti critici da sottolineare. Il primo riguarda l’esiguità numerica del personale docente di ruolo. Circa 46mila professori e ricercatori in Italia a fronte dei 250.000 in Germania, 200.000 nel Regno Unito, 95.000 in Spagna (vedi Pini e Rinaldi, Economia e Politica 2021). Assai difficile aumentare il numero di laureati senza incrementare quello dei professori. E si ricordi che il PNRR, il nostro asino d’oro, non contempla incrementi dell’FF0.
A dieci anni dalla 240, l’università italiana è ancor più sottofinanziata di quanto non fosse allora, il numero di docenti di ruolo è diminuito del 25% e la percentuale di laureati è tra le più basse in Europa. Un bilancio fallimentare (a cui tutti i marchingegni neopitagorici escogitati dall’ANVUR non sono stati in grado di porre rimedio).
È tempo di una svolta radicale, a nostro parere. È tempo anche e soprattutto di voltare pagina, di mettere una pietra tombale sulla logica allo zafferano (nel senso milanese-bocconiano del termine) della legge Gelmini. Più specificamente, tutti abbiamo constatato quanto sia deleteria la strada di finanziare l’Università con fondi che hanno destinazione pre-decisa e semi-bloccata. Crediamo invece che la logica debba essere quella di mettere i ricercatori in grado di fare il loro mestiere senza (o con il minimo) di vincoli possibili. Solo la libertà genera quella creatività nella ricerca che permette la crescita culturale e civile di un Paese. E intendiamo soprattutto la libertà dai mille controlli, dalle metriche di qualità, dagli esoterismi algoritmici e così via.
Siamo consapevoli che gran parte delle questioni che richiamiamo sono di ordine nazionale, ma il punto di vista del rettore/rettrice della più antica università del mondo occidentale è rilevante e vorremmo conoscerlo.
Concludiamo queste pagine con un appello al voto. L’autonomia dell’Università è garantita dalla Costituzione del 1948. Come scrisse Piero Calamandrei, se non praticata, e il voto è una di queste pratiche, anche la Costituzione diventa solo un pezzo di carta.