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Intervento di Peter Pascke al convegno del 15 maggio 2003

Un problema irrisolto: lettori ed esperti linguistici di madre lingua

15/05/2003
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Convegno Nazionale della Conferenza dei Presidi

delle Facoltà di Lingue e Letterature Straniere

"Una politica per l'insegnamento delle lingue moderne in Italia"

Roma, 15 maggio 2003

Peter Paschke
Università di Venezia

Un problema irrisolto: lettori ed esperti linguistici di madre lingua

Il mio intervento si intitola "Un problema irrisolto: lettori ed esperti linguistici di madre lingua". Perché irrisolto? Basta ricordare due fatti di questi giorni: 1. È appena entrato in vigore il Contratto nazionale per il biennio economico 2000-2001, siglato a dicembre 2002, che include i lettori-CEL, ma ancora una volta non definisce il profilo professionale, non prevede uno stipendio dignitoso, non risolve il problema dei diritti acquisiti, e quindi della progressione economica. La norma sui lettori-CEL ha infuriato la categoria, ed è già stata denunciata come discriminatoria alla Commissione Europea da uno dei firmatari, cioè dallo Snur-Cgil. 2. La Commissione Europea, dal canto suo, la settimana scorsa ha comunicato di avere emesso un "parere motivato" nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto della Sentenza CGCE 26.6.2001 nella causa C-212/99 sui diritti acquisiti dei lettori. L'Italia, se entro 2 mesi non si mette in regola, va incontro al rischio di consistenti multe pecuniarie.

La vicenda dei lettori di madrelingua a partire dalla metà degli anni '80 può essere riassunta in poche parole: la categoria vuole affermare il proprio valore professionale su diversi piani: riconoscimento delle funzioni effettivamente svolte nell'insegnamento delle lingue; retribuzione adeguata e progressione economica; stabilità d'impiego; diritti di cittadinanza nel mondo universitario. I lettori hanno riportato alcune, parziali conquiste, ma hanno dovuto affrontare costanti tentativi di svalutare realmente o surrettiziamente le loro funzioni e di scoraggiare la permanenza nel ruolo abbassando la retribuzione in termini reali. Sono convinto, insieme a tanti altri, che l'ostinazione a non voler risolvere il problema lettori, comprometta il buon funzionamento dell'insegnamento delle lingue a livello universitario. Sulle grandi potenzialità del settore delle lingue e sul pieno impiego della risorsa "lettori", pesa l'irrisolto status giuridico e professionale della categoria. Ecco perché si deve parlare del problema lettori in questa sede. Premetto che le mie sono opinioni personali; se poi saranno condivise dai miei colleghi lettori, magari anche al di fuori del mio sindacato, lo Snur-Cgil, tanto meglio!

Il profilo professionale dei lettori/CEL

Il nocciolo del problema è il controverso ruolo della categoria, cioè la specifica funzione didattica svolta dai lettori (userò il termine "lettore" in senso generico, comprendendo anche il "CEL"). Parto dall'assunto che il lettore "insegna", quindi è un "insegnante" e non un tecnico di supporto, ma che egli ha una funzione specifica, distinta da quella dei professori universitari. Questa premessa è stata condivisa nel 1999 dagli oltre mille professori e ricercatori (tra cui rettori, presidi e direttori di corso di laurea e di centri linguistici) che hanno lanciato l'appello "Riconoscere i lettori come personale insegnante". Cito una frase da questo appello di quattro anni fa che mantiene tutta la sua validità: "Va riconosciuto che essi [= i lettori, P.P.], essendo coinvolti nei tre momenti essenziali di ogni processo didattico (programmazione, lezione, verifica) svolgono una funzione insegnante che, sebbene distinta da quella dei professori universitari, non può certo essere scambiata per supporto tecnico." La richiesta di definire una nuova e specifica funzione didattica per i lettori, distinta sia dalla docenza universitaria, sia dalla funzione tecnico-amministrativa fu avanzata anche dalla Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Lingue il 16 giugno 2001. La richiesta, rivolta al Governo e alla CRUI, a giudicare dalla situazione in cui tuttora ci troviamo, non pare aver trovato molto ascolto.

Non è questa la sede per trattare in maniera dettagliata la specifica professionalità dei lettori, e il ruolo del madrelinguismo in particolare (rimando all'esauriente saggio di Paolo Balboni sui "DMS, Docenti di Madrelingua Straniera"), ma occorre mettere in luce ciò che distingue i lettori come insegnanti dai professori, cioè dalla docenza universitaria. Qual è la specificità del lettore come insegnante? L'insegnamento dei lettori è rivolto all'uso della lingua come mezzo di comunicazione, all'obiettivo della padronanza effettiva della lingua straniera orale e scritta, che comprende ricezione, interazione e produzione e, talvolta, mediazione linguistica (traduzione, interpretariato), quindi mira ad un "savoir-faire". Il professore universitario, per contro, specie quello di "lingua straniera e traduzione", si occupa del sapere sulla lingua straniera, della riflessione meta-linguistica, cioè della linguistica. È evidente che la riflessione sistematica sulla lingua può favorire la padronanza effettiva, come, d'altro canto, l'insegnamento apparentemente pratico del lettore non può prescindere da elementi teorici, da spiegazioni e riflessioni. Quindi tra le due sfere esiste una sovrapposizione e contaminazione. Idealmente dovrebbe esserci una buona collaborazione.

Resta però una differenza fondamentale: anche se nell'insegnamento dei lettori ad un pubblico universitario, con particolari esigenze e capacità intellettuali e, in parte, con conoscenze teoriche della linguistica, non possono mancare elementi di riflessione metalinguistica (nel senso più ampio del termine), tuttavia l'obiettivo ultimo della didattica del lettore è la padronanza della lingua, cioè la produzione e ricezione di testi in lingua straniera, e non la trasmissione di conoscenze teoriche. Questo non significa che il lettore possa seguire un approccio meramente empirico, e per il resto, vivere della rendita del suo madrelinguismo! Al contrario deve essere informato e deve saper attingere alle discipline scientifiche di riferimento dell'insegnamento linguistico. Detto in estrema sintesi, il lettore non fa ricerca per mestiere, ma nel suo mestiere deve fare riferimento alla ricerca; il lettore non insegna la scienza della lingua, ma insegna una lingua su basi scientifiche. E quindi, quando fa il proprio lavoro con passione (e uno stipendio decoroso), finisce per cercare vie nuove per raggiungere meglio questo obiettivo, in contesti, per bisogni e con allievi che cambiano. Quindi si aggiorna, studia, progetta, "ricerca". Ma il suo "mestiere" resta l'insegnamento del "savoir-faire". Che alcuni lettori sarebbero ben capaci anche di fare il mestiere del professore di linguistica, di glottodidattica, di letteratura o altro, non può invece influire sulla definizione del profilo professionale di una categoria nel suo insieme. D'altro canto anche eventuali casi di carente preparazione non potrebbero svalutare la il profilo in sé, ma sarebbero semmai buoni motivi per incentivare la crescita professionale. Sulla distinzione lettore/professore vorrei chiudere con due tesi: 1. Una buona definizione del profilo del lettore non si raggiunge evitando scrupolosamente il termine "insegnamento", sostituendolo magari con "apprendimento" (dello studente!), bisogna invece definire la specificità dell'insegnamento del lettore. 2. La distinzione qui proposta regge soltanto se il professore di lingua insegna davvero la riflessione metalinguistica, e non – anche egli – la padronanza pratica della lingua.

Il lettore si trova ad operare in contesti accademici diversi, che, semplificando, possiamo caratterizzare così: da una parte abbiamo corsi di studio in cui la lingua straniera, spesso insieme alla letteratura e cultura, è materia caratterizzante, dall'altra corsi di studio in cui la lingua è strumento: per lo studio, per gli scambi accademici, per la professione. È evidente che nel primo caso, quello della lingua come oggetto dello studio, quindi nel caso della formazione di specialisti della lingua, l'insegnamento linguistico deve comprendere necessariamente quella riflessione metalinguistica che è compito del professore universitario. Nel secondo caso, invece, cioè in quei contesti didattici in cui la lingua riveste un ruolo veicolare o strumentale, l'insegnamento della lingua si concentra su quelle attività formative che meglio può offrire il lettore. In entrambi i casi, come vediamo, è presente un insegnamento teorico-pratico, che ha bisogno di tecniche di insegnamento particolari, di piccoli gruppi e di parecchie ore di contatto con l'insegnante, e il quale spetta ai lettori. Vorrei aggiungere che sarebbe triste rinunciare alla possibilità di costruire all'interno delle università momenti di eccellenza anche nell'insegnamento della lingua strumentale. È sbagliato esternalizzare questa attività, magari con l'ulteriore restringimento su inglese e comunicazione di base, tipo esame PET. In una visione olistica, non spezzettata dell'offerta formativa, si aprono invece ricche potenzialità per un insegnamento su misura di bisogni specifici. Non dimentichiamo che la didattica universitaria non si esaurisce nella laurea triennale! Anche i professori di altre materie possono ben avere il bisogno di perfezionare la loro capacità di comunicare in una lingua straniera (lettura di testi scientifici, capacità di intervenire a convegni ecc.).

Vorrei soffermarmi brevemente su come la figura del lettore si rapporta alla riforma degli ordinamenti didattici. A questo proposito il già citato appello degli oltre mille docenti affermava: "La riforma didattica in atto, improntata a standard europei, sottolinea l'importanza dello studio linguistico, e crea le premesse per assegnare una funzione formativa precisa alle attività gestite dai lettori." Infatti, la riforma, con l'introduzione del concetto di "attività formativa" consente di cogliere tutte le attività didattiche, anche quelle diverse dal tradizionale "corso di insegnamento". Sono esplicitamente elencati dal D.M. 509/99 (art 1, comma 1, lettera n) ad esempio le "esercitazioni pratiche o di laboratorio", le "attività didattiche a piccoli gruppi", il "tutorato". Quindi appare naturale classificare l'attività dei lettori come "attività formativa" nel senso della riforma. La riforma vuole, poi, che tutte le attività formative siano quantificate, in relazione al lavoro di apprendimento dello studente, in termini di crediti formativi universitari (CFU). Quindi anche le attività formative dei lettori si possono (e si devono) tradurre in crediti, che sono acquisiti dallo studente con il superamento dell'esame o di altra forma di verifica del profitto (art. 5, comma 5). Una volta individuata la specifica funzione insegnante dei lettori, è evidente che spetta loro anche il compito di verifica, limitatamente alle proprie attività didattiche. Secondo me, senza invadere il campo di competenza dei docenti di "lingua e traduzione" o di "lingua e letteratura", è possibile riconoscere le specifiche attività dei lettori nei termini della riforma didattica. La negazione di questa possibilità nasce, a mio avviso, da una lettura restrittiva della riforma, e porta ad un profondo senso di frustrazione: i lettori, insegnando un saper-fare, gestiscono la maggior parte della didattica delle lingue, ma ufficialmente risultano "invisibili".

Questione collegata è quella dell'autonomia: può un lettore decidere autonomamente gli obiettivi, il programma, i materiali didattici, le forme e i criteri di verifica nell'ambito della sua funzione di insegnante teorico-pratico di comunicazione in lingua straniera? Certamente si possono immaginare diversi gradi di autonomia a seconda del contesto formativo (insegnamento linguistico strumentale o specialistico) e della maturità professionale dei lettori, ma, fondamentalmente, mi pare che il problema sia posto male. Non serve una sorveglianza formale, ma un coordinamento effettivo di tutte le attività formative, comprese quelle gestite dai lettori. E nel coordinamento delle attività formative linguistiche dovranno giocare un ruolo di primo piano i professori e/o ricercatori specialisti di lingua e/o glottodidattica. I Centri Linguistici possono essere luoghi dove si concentrano gli sforzi per mettere l'insegnamento linguistico teorico-pratico su basi scientifiche, possono essere luoghi di innovazione e di elaborazione, si pensi ai materiali multimediali, alle forme oggettive di verifica, ai seminari e corsi di aggiornamento. Ragionevolmente, la specifica professionalità del lettore non si sviluppa nell'isolamento, ma al contrario nella collaborazione, nella partecipazione a forme collegiali di gestione della didattica, nel continuo confronto con i colleghi e nella formazione professionale continua, offerta da specialisti esterni ed interni, tra cui gli stessi lettori più esperti. La vera sfida, insomma, è la collaborazione tra varie professionalità. Occorre un progetto culturale e formativo che nasca dalla collaborazione e integrazione di tutte le competenze e professionalità.

Vorrei far notare che la stabilizzazione della figura del lettore, raggiunta con la sentenza della CGCE del 1993, ha portato ad una crescita professionale formidabile della categoria. Moltissimi lettori non hanno soltanto accumulato esperienza, ma hanno frequentato o frequentano, a proprie spese, corsi di specializzazione, partecipano a progetti e sperimentazioni, pubblicano materiali e saggi, tengono seminari e intervengono ai convegni. Lo fanno di propria iniziativa, e lo fanno ancora di più dove la struttura di appartenenza promuove la crescita professionale.

Quindi, per riassumere, possiamo dire che il problema lettori non si risolve se non si riconosce la specifica funzione di insegnamento teorico-pratico che mira alla capacità di recepire, produrre e eventualmente tradurre testi in lingua straniera. Il lettore non è di mero supporto all'insegnamento altrui, e tanto meno fornisce supporto tecnico, ma ha una sua specificità didattica, insegna qualcosa che le altre figure non insegnano: l'uso di una lingua straniera nella comunicazione.

Affidamenti, supplenze, professori a contratto

Vorrei fare un brevissimo excursus sulla questione degli affidamenti e delle supplenze, nonché dei contratti di insegnamento. I lettori e CEL, come sapete, non sono tra le figure che per legge accedono alla supplenze o agli affidamenti. Il problema è che questi sono riservati non solo ai professori e ricercatori, ma anche ai tecnici laureati benché questi non abbiano superato concorsi per la docenza universitaria. Una tale pratica è considerata discriminatoria dalla CGCE (20.11.1997. C-90/96). Altresì i lettori non accedono ai contratti di insegnamento ("professori a contratto"), perché da questi sono esclusi come dipendenti delle università. Sarebbe opportuno e urgente, eliminare queste restrizioni. Non perché i lettori in quanto tali abbiano "le carte in regola" per essere titolari di un corso di insegnamento linguistico teorico, ma alcuni lettori hanno sì i presupposti necessari, e sarebbe controproducente, oltre che umiliante e discriminatorio nei loro confronti, escluderli in via di principio. C'è da mettere in luce un'altra cosa: se si riconosce la specifica professionalità dei lettori, nei casi di un approccio esclusivamente strumentale alla lingua, non occorrerebbe ricorrere a supplenze o professori a contratto: il compito potrebbe essere svolto direttamente dal lettore.

Retribuzione e progressione economica

Arrivo al problema della retribuzione. Nel sopraccitato appello degli oltre mille docenti, si lamentava l'assenza di "una retribuzione adeguata al ruolo svolto". E questa situazione non è cambiata, anzi. Nel lungo termine bisogna ormai parlare di depauperamento. A metà degli anni '80 la cifra lorda stanziata dal Ministero per ogni lettore era di ca. 18 milioni di Lire all'anno, che secondo i coefficienti Istat oggi equivalgono al doppio: 36 milioni o 18.500 Euro. Ma per arrivare allo stesso stipendio netto di allora, dato che i lettori oggi sono lavoratori subordinati e devono versare i contributi previdenziali (che per gli anni passati hanno avuto in via legale), il lordo dovrebbe essere ancora superiore: sui 23.000 Euro. Di fatto però, a livello nazionale, la retribuzione con il CCNL appena entrato in vigore, ammonta ad 13.000 Euro, appena 800 Euro netti al mese. Solo con alcuni, pochi contratti collettivi locali e attraverso le vie legali si è riusciti a migliorare in parte questa situazione. L'ultimo CCNL non solo non recupera terreno, ma perfino lascia un buco per tutto il quadriennio 1998-2001: nessun aumento per i lettori-CEL, a differenza di tutti gli altri dipendenti dello Stato, compresi i docenti universitari.

Inaccettabile e irrisolta è anche la situazione sul versante dei diritti acquisiti, cioè della retribuzione per anzianità di servizio, ad eccezione forse di un unico ateneo: quello di Firenze, dove un lettore guadagna all'incirca come un ricercatore a tempo definito e quindi, dopo 20 anni di servizio, arriva a percepire 1.500 Euro netti al mese. Certamente, la maggior parte delle retribuzioni per esperienza acquisita, frutto di accordi locali o anche di imposizioni unilaterali degli atenei, non possono essere considerate una piena attuazione della Sentenza della CGCE del 26.6.2001. Lo Snur-Cgil ha denunciato anche questa parte della recente norma imposta a livello nazionale, in quanto è improprio demandare questioni di questo genere alla contrattazione locale e in quanto i fondi messi a disposizione non solo sono del tutto insufficienti, ma sono anche distribuiti tra gli atenei in maniera tale da creare ulteriori disparità Mi auguro che lo Stato italiano, di fronte al parere motivato emesso in questi giorni, abbandoni la propria posizione intransigente e cominci a ragionare su una soluzione equa. Tale soluzione non può che prendere come punto di riferimento quello scelto da buona parte della magistratura italiana: lo stipendio del ricercatore universitario oppure quello del professore associato a tempo definito (che era anche il parametro storico, il cd. "tetto massimo" per la retribuzione dei lettori ex art. 28/382). Infine non va dimenticato che la questione economica include anche il problema della ricostruzione della carriera, cioè delle spettanze per i periodi pregressi.

Stabilità d'impiego

Riguardo la stabilità d'impiego vorrei ricordare che non tutto è risolto. In caso di licenziamento per esuberi, i lettori non godono di nessuna garanzia (riconversione professionale, mobilità). Inoltre molti atenei assumono con contratto a tempo determinato anche quando le esigenze non sono definibili come temporanee. Infine, il blocco delle assunzioni, dettato dalle leggi finanziarie 2002 e 2003 ha colpito fortemente la nostra categoria portando ad una precarietà di ritorno. A Venezia, oggi, i contratti a tempo determinato costituiscono un terzo dei ca. 70 lettorati. Infine molti CEL con contratti che scadono nel 2003 rischiano il mancato rinnovo, dal momento che la legge finanziaria del 2003 limita fortemente anche le assunzioni a tempo determinato.

Diritti di cittadinanza nel mondo universitario.

Infine una parola sulla partecipazione alla vita universitaria. Già oggi i lettori partecipano, in alcune situazioni, agli organi didattici e di autogoverno, ma sono ancora casi isolati. Ma se si riconosce, come chiedevano nel 1999 oltre mille docenti dell'università italiana, che i lettori sono personale insegnante, allora è ovvio che devono partecipare a tutti gli organi didattici. Questa collaborazione sarebbe lo strumento primario, sebbene non l'unico, per garantire che l'autonomia professionale dei lettori, la loro specifica funzione si inserisca armonicamente nell'insieme di un corso di studio. Per quanto riguarda poi la partecipazione ovvero il diritto di voto per gli altri organi, si capisce che una categoria ormai stabilmente presente sia come gruppo, sia come individui, non possa essere esclusa dall'autogoverno dell'università.

Conclusioni

Arrivo alle conclusioni: Ho sostenuto in questo intervento che il problema dei lettori e CEL non è risolto. Non è risolto da vari punti di vista, intrecciati fra di loro: profilo professionale, accesso alle supplenze, retribuzione e progressione economica, stabilità d'impiego, diritti di cittadinanza nella vita universitaria. Come si può cambiare questa situazione? Come si può arrivare soprattutto ad un profilo professionale certo e adeguato e ad una retribuzione appropriata? Nella situazione attuale, con la minaccia di un intervento punitivo della Commissione Europea, si potrebbe nutrire qualche speranza, ma dall'altra parte ci sono le forze che, senza conoscere le effettive necessità della didattica delle lingue nell'università, sono pronte a bloccare o a eludere il minimo riconoscimento della categoria. Ci vorrà il più ampio cartello di forze accademiche e sindacali per riuscire a fare un vero passo in avanti, lasciandosi alle spalle situazioni che hanno avvelenato il clima in non pochi atenei. Per lo Snur-Cgil è importante che le soluzioni sulle quali cercare l'accordo non introducano poi nuove discriminazioni, in particolare tra i lettori assunti ancora con l'ex art. 28 del D.P.R. 382/1980 e quelli assunti come CEL ex art. 4 della L. 236/1995.