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La Repubblica: Il passaggio di consegne tra Berlinguer e Zecchino ha rallentato i provvedimenti previsti già nel 1998. I ritardi del ministero su autonomia e ricerca

Il passaggio di consegne tra Berlinguer e Zecchino ha rallentato i provvedimenti previsti già nel 1998. I ritardi del ministero su autonomia e ricerca

25/01/1999
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Il passaggio di consegne tra Berlinguer e Zecchino ha rallentato i provvedimenti previsti già nel 1998. I ritardi del ministero su autonomia e ricerca

di Casimiro Sciarratta

Autonomia didattica degli atenei, modifiche allo stato giuridico dei ricercatori e riordino degli enti pubblici di ricerca sono i tre temi caldi di queste prime settimane del 1999 all'interno del mondo universitario. In realtà molti dei provvedimenti in questi settori avrebbero già dovuto essere presi entro il 1998, ma il passaggio di mano del m inistero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica da Luigi Berlinguer a Ortensio Zecchino ha finito inevitabilmente per ritardarli. Ma vediamo più da vicino di che cosa si tratta.

Per quanto concerne l'autonomia didattica il ministro Berlinguer si era impegnato nella seconda nota di indirizzo, firmata il 16 ottobre 1998, a emanare entro l'anno i decreti ministeriali contenenti i criteri generali che devono presiedere alla riforma dei corsi di studio nelle cinque macro-aree:

  • sanitaria;

  • scientifica e scientifico-tecnologica;

  • umanistica;

  • delle scienze giuridiche, economiche, politiche e sociali;

  • dell'ingegneria

  • dell'architettura

Una volta stabilita l'articolazione degli studi universitari in due livelli, un triennio iniziale che permette il conseguimento del diploma universitario (o laurea breve) seguito (per chi lo desidera) da uno o due anni per ottenere la laurea (o master), i decreti d'area devono stabilire il quadro di riferimento generale dei corsi sui quali concret amente si dispiega il percorso formativo.

La logica che sta dietro a questa riforma del sistema italiano di istruzione universitaria è quella dell'armonizzazione europea dei corsi di studio universitari concordata nell'accordo della Sorbona del maggio dello scorso anno. La scadenza indicata da Berlinguer non è stata osservata e questo ritarda l'opera degli atenei. Infatti solo dopo l'em anazione dei decreti d'area i singoli atenei potranno concretamente impegnarsi nella ridefinizione dei corsi e nell'adozione di tutte le misure (quali l'approvazione e l'aggiornamento dei regolamenti didattici) che sanciranno l'avvio della riforma. Berlinguer aveva indicato come anno di partenza della riforma l'anno accademico 1999-2000. Non è affatto detto che si riesca nell'intento. Non solo, come affermato di recente anche dal ministro Zecchino, l'autonomia didattica presuppone un efficace sistema di valutazione che integri i processi di competizione che si innescheranno tra gli atenei basati su meri meccanismi di mercato. Lo Stato fornisce più dell'ottanta per cento delle risorse delle università statali ed è giusto che le distribuisca sulla base di un'attenta valutazione di ciò che le università producono, cioé la didattica e la ricerca. Esiste una legge (la 537 del 1993) che istituisce l'Osservatorio di valutazione del sistema universitario, con funzioni di monitoraggio e consultive, al quale dovrebbero far capo i cosiddetti nuclei di valutazione interni dei singoli atenei. Se l'Osservatorio espleta in larga parte la sua funzione, i nuclei di valutazione, afferma il ministro, non funzionano in più del cinquanta per cento dei casi, anche perché per le loro attività non sono mai state date chiare direttive. Ecco quindi un altro inderogabile passo che deve essere compiuto contestualmente alla rifo rma del sistema universitario.

Nel contesto dei provvedimenti che dovranno essere presi per dar corpo all'autonomia didattica acquista rilevanza la riforma dello stato giuridico dei professori universitari. In attesa di un provvedimento complessivo sono stati depositati, a più riprese da quasi tutte le forze politiche, 5 disegni di legge presso la VII Commissione del Senato in sede deliberante concernenti lo stato giuridico dei ricercatori. Il 18 dicembre, però, la VII Commissione concorda un testo unificato che compendia questi cinque disegni di legge: è la stessa riunione in cui viene approvato il disegno di legge che contiene i concorsi riservati per i tecnici laureati (firmato dal Presidente della Repubblica il 1 4.01.99), e le dichiarazioni di voto dicono chiaramente che è intercorso un accordo tra le forze politiche per la contestualità dei due provvedimenti. Il termine per la presentazione degli emendamenti al testo unificato è scaduto mercoledì 20 e ora si inizierà il confronto. Se il disegno di legge venisse approvato nella sua forma attuale, i circa ventimila ricercatori universitari italiani potrebbero essere inquadrati, a domanda, nella terza fascia della docenza universitaria, senza mutare il loro trattamento economico ma assumendo uno stato giuridico assimilabile ampiamente a quello dei professori associati (seconda fascia) e ordinari (prima fascia). In questo senso il testo unificato prevede che "le strutture didattiche attribuiscono ai professori ricercatori, in relazione al settore scientifico-disciplinare di inquadramento, la res ponsabilità didattica di corsi di studio, con riferimento a tutte le attività in essi ricomprese, ovvero regolari attività didattiche pienamente funzionali agli obiettivi formativi di un corso di diploma, di laurea, di specializzazione o di dottorato di ricerca". Nonostante l'accordo intercorso tra le forze politiche, che farebbe pensare ad un veloce iter almeno a livello del Senato, il decreto attuale prevede un cambiamento radicale nei rapporti di forza tra docenti universitari da cui probabilmente sorgeranno problemi. Si legge infatti che:

(a) i professori ricercatori sono componenti degli organi accademici responsabili della didattica e del coordinamento della ricerca (pur non partecipando alle deliberazioni relative alla destinazione dei posti di ruolo e ai trasferimenti degli associati e degli ordinari);

(b) nel caso di consigli di facoltà con un numero di componenti superiori a 100, o quando i professori ricercatori sono in numero superiore a quello di una delle altre due fasce, i consigli di facoltà devono essere costituiti da rappresentanze paritarie dei professori delle tre fasce (oltre a una rappresentanza più ridotta dei ricercatori del r uolo a esaurimento);

(c) i professori hanno elettorato attivo e passivo per tutte le cariche accademiche, ad eccezione di quello passivo per la carica di preside di facoltà (che il nuovo testo attribuisce oltre che agli ordinari anche agli associati) e per quella di rettore (che resta appannaggio degli ordinari).

Infine rimane aperto il capitolo sul riordino degli enti pubblici di ricerca. Gli schemi di decreto legislativo che aspettano l'approvazione definitiva del Consiglio dei Ministri sono quelli sulla riforma dell'ENEA, dell'ASI (Agenzia spaziale italiana) e del CNR. La Commissione bicamerale per l'attuazione della riforma amministrativa ha espresso p areri favorevoli per i tre decreti rispettivamente il 10 novembre '98, il 12 novembre '98 e il 17 novembre '98, suggerendo però decreto per decreto una serie di modifiche che andranno vagliate. Gli interessi in gioco sono molteplici, e difficile è disegnare la geografia dei vari gruppi di pressione che si agitano in questi mesi nel mondo politic o e in quello scientifico. Certo è che il nuovo corso avviatosi negli enti pubblici di ricerca avrà pesanti ripercussioni non solo sulle prospettive della ricerca pubblica nel nostro paese, ma anche sulla didattica universitaria e sugli sbocchi occupazionali di tanti giovani che oggi si stanno formando nelle nostre università.

Un taccuino denso di avvenimenti che avremo modo di seguire da vicino nei prossimi mesi.