Lettera al Ministro sugli ordinamenti didattici
I Sindacato nazionale dell’Università e della Ricerca - Cgil esprime un giudizio fortemente critico sulle proposte di modifica al regolamento ministeriale sugli ordinamenti didattici
Roma, 5 Maggio 2003
Prot. n. p177
All’Ill.mo Sig. Ministro
dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca scientifica
on.le Letizia Moratti
Al Sig. Presidente della Commissione
Cultura del Senato
Al Sig. Presidente della Commissione
Cultura della Camera dei Deputati
Al Sig. Presidente
del Consiglio Universitario Nazionale
Al Sig. Presidente
della Conferenza dei Rettori
Illustre Ministro,
il Sindacato nazionale dell’Università e della Ricerca - Cgil esprime un giudizio fortemente critico sulle proposte di modifica al regolamento ministeriale sugli ordinamenti didattici.
In primo luogo non può non valutarsi negativamente la volontà di apportare radicali modifiche al d.m. n. 509/1999 quando ancora non si è concluso il primo ciclo di lauree triennali. Se così si procedesse, si modificherebbe la normativa vigente prima ancora che possa dirsi compiuta un’esperienza che avrebbe richiesto – ma al momento giusto – un’attenta riflessione. Gli studi universitari non possono essere un cantiere sempre aperto; lo stato di incertezza che così si crea non può che riflettersi negativamente sui risultati formativi.
Ma l'aspetto più grave è il cd. percorso ad y. Dopo un anno comune, i percorsi che portano alla laurea triennale si biforcano in un indirizzo che trova il suo sbocco naturale e, forse, obbligato nella laurea di secondo livello ed un altro diretto all'acquisizione di specifiche competenze professionali, frequentato il quale sarà difficile, se non impossibile, accedere al corso di laurea di secondo livello. E', mutatis mutandis, lo stesso disegno della scuola secondaria: invece di favorire percorsi formativi modulari e flessibili che consentano allo studente di arricchire progressivamente la propria formazione, insieme culturale e professionale, ritagliando gli studi sulle proprie esigenze e necessità, si creano percorsi rigidi che rendono irreversibili le scelte via via compiute. Il risultato sarà quello di studenti che hanno iniziato gli studi universitari con l'ambizione di percorrerli fino in fondo, scegliendo per questo il percorso per così dire "culturale", e che non essendo in grado, per le ragioni più varie, di portarlo fino in fondo, avranno un titolo triennale dichiaratamente non professionalizzante ovvero, viceversa, di studenti che hanno scelto il corso di laurea triennale "professionalizzante" che si vedranno ostacolati (e, forse, impediti) nella prosecuzione degli studi.
Ella, sig. Ministro, ci vuole imporre di rinunziare a priori a quella che era la vera sfida della riforma del 1999: quella di superare la rigida e scolastica distinzione tra insegnamenti formativi di base e insegnamenti professionalizzanti, realizzando un intreccio tra i due aspetti che consentisse alla laurea triennale di essere insieme professionalizzante (sia pure in un ambito più ristretto) e formativa di base. Si ripropone la gerarchia tra sapere critico e sapere tecnico che sembrava in via di superamento. Né può essere trascurato che la gerarchia tra i percorsi formativi si rifletterà immediatamente in una gerarchia tra i docenti destinati all'uno o all'altro che poco avrà a che fare con la qualità del lavoro svolto.
E’, infine, improponibile l'ingiustificato trattamento speciale prospettato per i corsi di Giurisprudenza; per l'accesso alle tradizionali professioni legali (leggasi: magistratura, avvocatura, notariato) lo studente dovrà iscriversi immediatamente ad un corso di laurea quinquennale; mentre la laurea triennale sarà destinata a coloro che sono destinati ad altri esiti professionali. Ben difficilmente, lo studente che sceglie questa Facoltà sa in partenza a quale professione vuole accedere; lo deciderà dopo aver conseguito il titolo, sulla base delle possibilità concrete che si presenteranno e degli interessi maturati nel corso degli studi. Se questo è vero, lo studente non rinunzierà a priori ad accedere alle professioni tradizionali e sceglierà la durata quinquennale degli studi, con l'effetto che - se non sarà in grado di portarli a termine - gli studi nel frattempo compiuti saranno per intero vanificati. Non si può dimenticare che l'obiettivo dell'articolazione degli studi in due livelli di laurea era appunto quello di evitare (o limitare) questo inconveniente.
Un aspetto non secondario è anche quello della sostenibilità organizzativa di tali scelte, che perpetuano la prassi delle riforme "a costo zero". Già la riforma degli ordinamenti in corso ha comportato un incremento significativo della popolazione studentesca e dell’attività didattica senza un corrispondente incremento né degli organici di personale docente e tecnico amministrativo, né delle strutture fisiche (aule, biblioteche e laboratori), peraltro sollecitate anche dagli incrementi di frequenza ai corsi prodotti dalla stessa riforma. Oggi si propone alle Università la creazione di un canale biennale aggiuntivo senza prevedere incrementi né di organici né di strutture fisiche. Inoltre l'introduzione di modifiche complesse nelle carriere degli allievi, mentre è in corso un delicato processo di transizione dal vecchio al nuovo ordinamento, potrà avere un impatto devastante sulla stessa capacità di tenuta delle strutture amministrative degli Atenei. E ciò è reso ancora più grave dal carattere maggiormente vincolante di recente attribuito ai requisiti minimi.
Riteniamo indispensabile che si avvii un ampio confronto con l’intera comunità scientifica italiana, confronto a cui questo sindacato non si sottrarrà ed in cui porterà le proprie idee e convinzioni nella concreta speranza di contribuire ad una presa di coscienza della criticità della riforma da Lei prospettata.
Distinti saluti.