Cambiamo il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Home » Università » Liberazione: Riflessioni sull'iter del disegno di legge sulla terza fascia del ruolo dei professori universitari

Liberazione: Riflessioni sull'iter del disegno di legge sulla terza fascia del ruolo dei professori universitari

I ricercatori universitari sono di nuovo sul piede di guerra, dopo il rinvio della proposta sulla terza fascia, fortemente contrastata da potenti settori accademici che hanno dato vita a una vera e propria campagna di stampa contro di essa, presentandola come una promozione per legge a professori degli attuali ricercatori.

26/01/2000
Decrease text size Increase  text size

I ricercatori universitari sono di nuovo sul piede di guerra, dopo il rinvio della proposta sulla terza fascia, fortemente contrastata da potenti settori accademici che hanno dato vita a una vera e propria campagna di stampa contro di essa, presentandola come una promozione per legge a professori degli attuali ricercatori. In realtà questa proposta di legge provvede a fornire di stato giuridico, con un ritardo di venti anni, la categoria (che rappresenta circa due quinti degli attuali docenti), non comporta aumenti salariali e, salvo un cambiamento di nome ritenuto più conforme alla dignità degli interessati, si limita a generalizzare a tutte le università quanto già previsto in molti statuti, relativamente al loro diritto di voto nei consigli di laurea e di facoltà.. Questa legge potrebbe casomai essere criticata come minimalistica e in effetti era stata concepita al Senato con un vasto arco di consensi, unificando vari progetti, fra cui uno di Rifondazione, in termini più ampi, come una sorta di primo provvedimento rispetto a una più generale riforma, e come un riconoscimento minimo dovuto a chi di fatto già assicura grande parte del lavoro didattico. Comunque è bastato che si accennasse alle pur limitate innovazioni previste per scatenare una reazione degna di miglior causa, sostenuta da settori limitati ma potenti del mondo accademico, che hanno visto con orrore la possibilità che l'ingresso dei ricercatori nei consigli di facoltà come ad esempio la maxifacoltà di giurisprudenza della Sapienza, governata oggi dai soli ordinari, modificasse gli attuali equilibri. Alla campagna si sono associati alcuni personaggi della cultura italiana, illustri ma scarsamente informati sui reali contenuti della legge, costringendo persino il ministro a una difesa d'ufficio.

I deputati leghisti (in questo caso complici non si sa quanto consapevoli di "Roma ladrona"), insieme a altri deputati raccolti trasversalmente dal deputato Dalla Chiesa, tra cui persino tre cossuttiani, sono accorsi a bloccare con le loro firme il provvedimento, un minuto prima che dopo un lungo iter esso divenisse definitivo, chiedendone la remissione in aula. Rifondazione ha sostenuto invece la legge con decisione sia al Senato che alla Camera. Ora quindi il discorso riprende e si incrocia con la discussione delle proposte presentate dal ministro Zecchino in materia di stato giuridico dei docenti. Forse l'obiettivo di certi circoli di potere era proprio questo.

Tali proposte, infatti, presentate come collegato alla finanziaria del 2000 (in un'epoca di marcato economicismo le riforme ormai si fanno in questo modo anomalo rispetto al corretto esercizio del potere legislativo) utilizzano solo nominalisticamente alcune formulazioni avanzate unitariamente dal movimento sindacale dei docenti, quali ruolo unico, tempo pieno ecc. per smentirle nella sostanza. Per esempio, si parla di tempo pieno ma viene lasciato alle singole università il potere di concedere lo svolgimento di attività professionali da parte dei docenti: chi controllerà i controllori? Si istituisce un ruolo unico dei professori, ma subito lo si differenzia in modo sostanziale in due fasce, che diventano almeno tre perché i ricercatori o professori di terza fascia non sono inseriti nella fascia dei professori, ma vendono messi ad esaurimento, ma in realtà sono anche più di tre, perché si aggiungono professori a contratto e tirocinanti, cioè precari in attesa di sistemazione. Si restaura, inoltre, all'interno del corpo docente uno strato di vertice, al quale si riservano le cariche più importanti e le decisioni più significative e di cui si precisa il numero al venti per cento del totale. Dato che attualmente i professori ordinari sono già in soprannumero rispetto a tale previsioni, il risultato equivarrà a bloccare le cose per almeno una decina d'anni. Una vera e propria "serrata del maggior consiglio". Gli attuali professori associati perdono una parte delle conquiste che avevano ottenuto in sede di statuti delle singole università (alla faccia della decantata autonomia) salvo qualche contentino per gli associati anziani. Se i ricercatori vengono messi ad esaurimento cioè confinati in un ghetto fino alla fine della loro carriera, ancora più gravi le prospettive per i giovani (l'università è un luogo strano in cui si è considerati giovani ancora fino a quarant'anni) che non sono inquadrati in nessun ruolo; infatti la proposta offre loro come unica possibilità quella di passare direttamente dal precariato alla fascia dei professori, secondo le procedure concorsuali attuali, nelle quali essi avranno come concorrenti quanti fra 22.000 ricercatori (45-55 anni) che non si rassegneranno a restare in una sorta di limbo e ad essere scavalcati da colleghi più giovani. Insomma, un caos nel quale l'università continuerà a funzionare con molto lavoro di docenti subalterni e precari, le situazioni d'ingiustizia e di malcontento si moltiplicheranno e il tempo - in attesa dell'età della pensione - anziché essere impiegato nei prossimi anni a sperimentare il modo per rispondere alla domanda sociale d'istruzione e di cultura con cui tutte le università europee sono ormai chiamate a confrontarsi, sarà presumibilmente sprecato in manovre pre e postconcorsuali, in attese più o meno vane, in competizioni di potere. Tra l'altro non si capisce bene (o lo si capisce troppo bene) questo progetto da dove nasca, lo stesso ministro ammette di aver consultato una parte solo del mondo accademico (che in ogni caso è il meno adatto a riformare se stesso).

La parola d'ordine dell'adeguazione all'Europa copre, come si temeva, un'operazione che è peggio che gattopardesca, perché è in realtà una operazione di normalizzazione restauratrice Martedi 25 gennaio alle ore 10 nell'aula di mineralogia della Sapienza si è svolta una manifestazione nazionale indetta unitariamente dalle organizzazionei della docenza universitaria che ha annunciato la mobilitazione in tutte le facoltà su una piattaforma ampiamente condivisibile che vede dopo anni uniti tutti i sindacati e rilancia i contenuti di una università democraticizzata, attraverso il ruolo unico dei docenti e meccanismi trasparenti di reclutamento e di verifica della didattica, capace di rispondere alla domanda sociale di istruzione e di garantire il diritto allo studio dele nuove generazioni.

Domenico Jervolino