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Università: cambiano i governi ma continua l’accanimento contro i dipendenti

In una scheda i tagli al Fondo di finanziamento ordinario (FFO) e agli altri finanziamenti.

24/02/2014
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La fine del 2013 ha visto il Governo delle larghe intese impegnato ad emanare provvedimenti previsti da precedenti disposizioni legislative, ovvero da obblighi di legge.

Così all’inizio di settembre emana il DPR 122/2013 in attuazione delle disposizioni inserite nell’art. 16, co. 1 lettera b) della Legge n. 111 del 15 luglio 2011, con il quale dispone, tra l’altro, la proroga del blocco della crescita del trattamento economico complessivo, ivi compresa la Indennità di Vacanza Contrattuale (IVC) dei dipendenti pubblici fino al 31 dicembre 2014.

A fine dicembre emana la cosiddetta Legge di stabilità n. 147 del 27 dicembre 2013 con la quale, per esigenze di cassa, si rimangia quanto affermato nel DPR a proposito della IVC  stabilisce di non erogarla nemmeno nel triennio 2015-17 e decide di infierire ancora una volta sui pubblici dipendenti  intervenendo sull’istituto dell’assegno ad personam (da ora in poi, a.p.) e sul fondo del salario accessorio.

Il DPR 122/2013, entrato in vigore il 9 novembre 2013, per la IVC relativa al triennio contrattuale 2015-17, stabiliva che sarebbe stata “calcolata secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti  in materia e si aggiunge a quella corrisposta ai sensi del precedente periodo”.

Invece accade che il Governo “larghe intese”, attraverso  la Legge 147/13, decide di seguire l’esempio dei Governi precedenti; cambia rotta e stabilisce di fare cassa “definanziando la IVC per il periodo contrattuale 2015-17” (pag. 174 Relazione di accompagnamento al provvedimento) con una “minore spesa” quantificata in 300,0 e 440,0 milioni di Euro, rispettivamente per gli anni 2015 e 2016 (manca la quantificazione del 2017 perché tale anno è il primo del triennio successivo ).

Ma, l’accanimento non si ferma qui. Dopo i blocchi degli stipendi, il congelamento della IVC ai valori del 2010 fino al 2017, la riduzione del salario accessorio, la tassa sulla malattia, l’esasperato blocco del turn-over, il blocco delle progressioni economiche orizzontali, l’eliminazione di fatto delle progressioni economiche verticali, ecc., il Governo decide di intervenire su un istituto non ancora toccato: l’assegno ad personam.

Infatti i commi 458 e 459 della Legge 147, ancorché non perfettamente formulati circa le modalità applicative, stabiliscono l’abrogazione delle norme di legge che prevedevano i casi che originano l’a.p.. Tali disposizioni  riguardano tutti i pubblici dipendenti, come si evince dalla Relazione di accompagnamento al provvedimento:Trattasi pertanto di norme di contenimento dei trattamenti economici dei pubblici dipendenti i cui effetti di risparmio potranno essere valutati a consuntivo”).

In particolare la Relazione nell’illustrare ai Senatori le norme citate, si sofferma in particolare proprio  sul personale delle Università. Infatti, così si esprime:
“Al comma 458 sono abrogati l’articolo 202 del DPR 10/1/57 n. 3, e l’articolo 3, comma 57 e 58 della L. 24/12/1993, n. 537 per cui si prevede che ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi dopo che siano cessati dai ruoli o dall’incarico è sempre corrisposto un trattamento (economico) pari a quello attribuito al collega di pari anzianità. Il comma 459, in attuazione di quanto disposto dal comma 458 del presente articolo e dall’articolo 5,comma 10-ter, del DL 6/7/2012,n. 95, laddove si prevede che in nessun caso il professore o ricercatore universitario rientrato nei ruoli delle università può conservare il trattamento economico complessivo goduto nel servizio o incarico svolto precedentemente, qualsiasi sia l’Ente o Istituzione in cui abbia svolto l’incarico…..”.

Tuttavia, la Relazione non scioglie tutti i dubbi sulle modalità applicative delle norme. Usa i termini “rientrato nei ruoli” ovvero “in caso di mutamento di ruolo o di incarico”.  

Sono termini che prefigurano due fattispecie di casi che hanno originato l’attribuzione dell’a.p..

La 1^ fattispecie:  il mutamento di ruolo (vale sia per i docenti che per il personale TAB). Si verifica quando a seguito di superamento di prova selettiva, si transita da un ruolo (docenti) o da una categoria (TAB) ad un ruolo o ad una categoria superiore, con trattamento economico nel nuovo ruolo o nella nuova categoria pari a quello più prossimo al trattamento posseduto conservando l’eventuale differenza come a.p..

La 2^ fattispecie: rientro nei ruoli e/o  mutamento di incarico (vale sia per i docenti che per il personale TAB). Si verifica quando un docente (più spesso) o un TAB (molto meno frequente) assumono incarichi presso Enti diversi da quello di appartenenza con un trattamento economico superiore a quello universitario.

Rispetto alle due fattispecie, la richiamata normativa non lascia dubbi sull’applicabilità dell’abolizione dell’a. p. alla 2^ fattispecie (rientro nei ruoli per cessazione dell’incarico).

Sulla 1^ fattispecie, invece, sia il comma 458, sia la relazione citata, lasciano i dubbi sull’interpretazione della norma perché non è immaginabile, né ipotizzabile un “ritorno” nei ruoli precedenti dopo aver conseguito un avanzamento a seguito di procedure selettive. Pertanto non sembra possa procedersi al taglio dell’a.p. a coloro che ne beneficiano. Ameno che il MEF, con le sue esasperate interpretazioni delle leggi di stabilità, non emani una direttiva a tutte le Istituzioni imponendo di non erogare più l’a.p. ai dipendenti che ne beneficiano.

Per quanto riguarda, invece, l’attribuzione dell’a.p., dopo l’entrata in vigore della Legge 147/13, nell’Università si determinano due diverse situazioni:

  1. per il personale TAB, che conseguisse un avanzamento di carriera, stante purtroppo l’abrogazione delle norme che consentivano l’attribuzione dell’a. p., le amministrazioni non potranno attribuirlo;
  2. per i professori e ricercatori, destinatari delle disposizioni previste dal DPR 232/2011, art. 3, comma 5 (non abrogato dal comma 468), in caso di passaggio di qualifica, la differenza tra il trattamento economico di origine e quello di destinazione è conservata con a.p..

Proseguendo nell’accanimento contro i dipendenti pubblici, il Governo decide di intervenire ancora una volta sul Fondo per il salario accessorio.

Il comma 456, infatti,  così recita: “… A decorrere dal 1° gennaio 2015, le risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio sono decurtate di un importo pari alle riduzioni operate per effetto del precedente periodo”.

Al riguardo v’è da dire subito che il legislatore non ha abrogato il comma 2/bis dell’art. 9 della Legge 122 che contiene due vincoli per la costituzione dei fondi per l’accessorio: il non superamento del valore del 2010 e la successiva riduzione rispetto  a tale valore proporzionale al personale cessato. Quindi il comma 2/bis continuerà ad esplicare i suoi effetti anche nel 2015, salvo sua eventuale abrogazione.

Ciò premesso le questioni poste dalla norma, da risolvere ai tavoli di contrattazione, attengono ai seguenti aspetti:

  1. la decurtazione da operare riguarda entrambi i tagli previsti dal comma 2/bis (superamento del limite e riduzione proporzionale ai cessati) o solo la seconda decurtazione?
  2. Nel 2015 il controllo del superamento del limite del fondo del 2010 dovrà essere fatto prima della decurtazione  disposta dal comma 456?
  3. Vigente ancora il comma 2/bis bisognerà anche allora operare la doppia riduzione del fondo: superamento del tetto del 2010 e  riduzione proporzionale al personale cessato. Ma, stante la nuova disposizione introdotta nella Legge 147/2013, la riduzione proporzionale ai cessati dovrà essere fatta non più rispetto al 2010 bensì rispetto al 2014. Ma questo la norma non lo dice. Mentre più problematico sarà il controllo del limite 2010 stante la decurtazione del fondo 2015 delle riduzioni fatte nel periodo del blocco.

Su questi dubbi la Relazione di accompagnamento non dice nulla. Si limita a stimare il risparmio di spesa (pag. 174) quantificato in 211,4 e 208,5 milioni di euro rispettivamente per il 2015 e 2016.

Così, mentre i parlamentari non rinunciano ai propri privilegi, il pubblico Impiego, ancora una volta, è costretto a dare il proprio contributo al Paese.