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Apre i lavori Fabiana Fabiani, Presidente Proteo Fare Sapere Lazio, che illustra sinteticamente l’iniziativa. Tocca ai ragazzi del Liceo scientifico “E. Majorana” intonare l’inno di Mameli che introduce il seguente saluto di Walter Veltroni, sindaco di Roma.

“Oggi il tempo è divorato, il presente è dissipato,il futuro appare incerto. Incombe una guerra e il futuro è ancora più incerto. Ma ciò
non deve impedirci di pensare al nostro passato. Di pensare a donne e uomini che hanno vissuto momenti terribili durante la Seconda mondiale e durante lo sterminio ho rivisto le immagini del terribile e impensabile eccidio delle Fosse Ardeatine. Eppure a quell’epoca alcuni giovani hanno avuto il coraggio di lottare per restituire la libertà perduta e risono opposti la fascismo. La memoria di tutto ciò deve servire, non deve essere smarrita. E’ vero che una vita spezzata ha diritto all’assoluto rispetto. Ma è anche vero che chi uccide non può essere uguale alla vittima. Chi ha ucciso Gramsci non è uguale a Gramsci. Chi ha sterminato gli ebrei non è uguale agli ebrei. Non possiamo rivisitare la storia con i parametri del “buonismo”. Allora il senso della giornata della memoria è il recupero del rapporto di sé con glia altri. Fare in modo cioè che non possano esistere razzismi che contrappongono razza a razza, ma solo un’intera grande umanità fatta di uomini e donne liberi”.

Partecipato e convinto l’intervento di Omer Bonezzi che, dopo i
doverosi saluti a nome dell’Associazione Proteo Fare Sapere e della CGIL, sottolinea l’importanza della giornata che ha valenza didatti di alto respiro. “Noi crediamo che la storia debba essere compresa, non cancellata né riscritta,come troppe volte è accaduto nel secolo scorso secondo le esigenze del potere politico. Comprendere non significa giustificare, significa, invece, analizzare le ragioni , non dimenticare” L’atmosfera che respira nelle nostre scuole non rispecchia questo semplice principio. Bonezzi, a questo punto, ricorda l’appuntamento delle 11,59 durante il quale si osserverà un minuto di silenzio per ricordare le vittime dell’olocausto. Questo perché la storia non abbia mai più a scrivere pagine come queste.

Interviene ora l’Ambasciatore A. Cortese De Bosis: "Lo stesso Presidente (Ciampi), pochi giorni fa, ha creduto necessario scrivere al Presidente della Repubblica tedesca un articolo, apparso poi sul "Corriere della sera", che è in perfetta sintonia con la giornata della memoria. Infatti i due Presidenti, che furono insieme in visita a Marzabotto, scrivono testualmente: "Il successo dell’Unione Europea deriva dall’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, come Presidenti di due Stati fondatori dell’Unione e come testimoni che hanno vissuto in prima persona gli anni della guerra avvertiamo il dovere di rammentare la perdurante validità dei grandi principi dell’integrazione e della libertà.

E allora, prendiamolo alla lettera, cari amici, questo alto richiamo al dovere della memoria e diciamo. Olocausto, Resistenza, guerra di liberazione dal regime nazista del genocidio, sono componenti vitali affratellate nella storia europea di ieri che sarebbe incomprensibile ai giovani se non letta e riletta in questa chiave unitaria, che è prefazione logica alla storia di oggi. La città di Roma ospiterà in Campidoglio nell’autunno prossimo alti esponenti di 25 paesi europei: 15 membri dell’Unione, più 10 candidati. Quasi tutti furono coinvolti, nella lotta contro il regime nazista del genocidio. Quasi tutti, anche i tedeschi, hanno avuto migliaia di vittime nei lager: dalla Polonia, alle Repubbliche baltiche, alla Slovenia, alla Grecia. La proposta è che venga celebrata una giornata europea della memoria. Lo proponiamo a nome dei caduti. Mi permetto di chiederlo a nome dei primissimi giovani che lottarono nella Resistenza antifascista e antifascista.

Solo così celebreremo degnamente la libera Europa unita nata sulle macerie di paesi invasi dal regime del genocidio.

Massimo RENDINA, Presidente dell’ ANPI, prende la parola. Considero questo giorno come una verifica della memoria. Nella scuola, purtroppo, spesso non si studia questo tragico periodo. E’ stata iniziativa dell’ANPI il reinserimento dello studio della storia del ‘900 nelle scuole.
Oggi dobbiamo verificare la memoria dell’Olocausto, di questa grande tragedia che non fu la sola. Già la 2° Guerra Mondiale è stata una tragedia che è costata 35 milioni di morti tra i combattenti e 20 milioni tra i civili.
Allora dobbiamo sempre pensare che le idee sono all’origine di ogni comportamento. In quell’epoca sembrava che il male fosse l’unico scopo possibile e che attraversava il mondo intero. Del resto il Giappone, dall’altra parte, non si è sottratto a tale logica distruttiva.

Ora interviene Saul Meghnagi Rappresentante UCEI ( Unione Comunità Ebraiche Italiane):

"Ringrazio la CGIL per la pregevole iniziativa. Il termine Olocausto è diverso dal termine Shoah. Va precisato che l’Olocausto significa sacrificio mentre Shoah rappresenta lo sterminio: gli ebrei hanno subito la Shoah e vorrei che questo fosse il termine usato. Ma quale è stata la storia recente degli ebrei?
Hanno ottenuto la libertà dopo la rivoluzione francese senza però ottenere il riconoscimento come popolo, ma soltanto come individui. E questo è perdurato sino ai giorni nostri, fino a quando dopo la rivoluzione russa gli Ebrei vedono riconosciuta la loro identità di popolo anche in assenza di territorio.
Dunque, come vedete, il percorso è lungo, accidentato. Non vorrei identificare il popolo ebraico con la religione ebraica. Vi sono ebrei osservanti ed ebrei atei. La verità è che l’Europa deve capire come sia possibile costruire una democrazia che al proprio interno consideri le alterità, le diversità di culture, di religione, di razza come patrimonio prezioso per la costruzione di una cultura di civiltà."

E’ il turno della Dott.ssa Vera Michelin Salomon che, molto brevemente ma con molto calore, porta il saluto dell’ANED, di cui è la responsabile culturale.

Le attenzioni si spostano ora su un viso molto noto, Gad Lerner, giornalista attualmente in attività presso la 7. Ecco il suo intervento: "Mi chiedo per quale motivo del Novecento appena trascorso dobbiamo ricordare solo il genocidio degli ebrei. Eppure altri ve ne sono stati ed egualmente terribili come quello dei cambogiani, per esempio, durante la guerra del Viet Nam. Solo per una ragione numerica, o per la forma scientifica con cui è stato organizzato?
Non è così. Forse la risposta è più comoda di quanto si pensi. Il fatto è che ci riguarda da vicino. La Shoah è accaduta nel cuore dell’Europa e richiama alle responsabilità tutte le nazioni, per questo ancora dobbiamo sempre ricordare, anche se ancora non riusciamo a capire come sia potuto accadere.
Nel richiamo costante alle responsabilità risiede anche la ragione del recente moltiplicarsi delle iniziative sulla Shoah, mentre lo scorrere
del tempo dovrebbe affievolirne la memoria. Non c’è neppure una potentissima lobby ebraica – come certe voci sconsiderate vorrebbero far credere – che strumentalizzerebbe quelle vicende, magari per fini propagandistici o addirittura commerciali.
C’è invece il bisogno di capire e cresce proprio nel momento in cui si ripropongono nuovi steccati, nuove esclusioni ed emarginazioni. Il rischio che tragedie del genere si ripetano negli attuali precari equilibri mondiali è altissimo. Pensiamo alla guerra incombente, pensiamo ai conflitti etnici, alle guerre di religione ancora così presenti e devastanti.
Ecco allora l’utilità di non smarrire la memoria della Shoah. Questa tragica esperienza ci riguarda da vicino, ci accompagna nella vita quotidiana, è nella contemporaneità."

Prende la parola uno storico, il Prof. Nicola Tranfaglia: "L’Italia non è rimasto fuori della Shoah: le leggi razziali colpirono la scuola, per esempio, e furono creati i campi di concentramento su tutto il territorio. Furono colpiti anche zingari ed omosessuali; oltre a coloro che non accettarono il regime.
Se ci furono i processi in Giappone e in Germania per rendere giustizia alle vittime, non ci sono stati certo in Italia. Questa cosa ci lascia perplessi, ci fa riflettere.
Dobbiamo capire che il revisionismo vuole rovesciare il senso della storia, cancellare quella ferita e legittimare quelle idee di sopraffazione a questi regimi.
Come storici abbiamo il dovere di opporci a questa intenzione, a chi vuole revisionare i libri di storia.
Ce lo impone la nostra coscienza democratica. Non sono contrario ad una ricerca che trovi nuove ragioni delle cose.
Sono contrario ad una ricerca che vuole cancellare fatti certi e rivitalizzare ideologie che porterebbero ad una guerra infinita. Dobbiamo scongiurare in nome delle vittime della Shoah il nuovo abisso in cui stiamo cadendo.

Interviene David Baldini della Redazione di Valore Scuola "Il
nazismo tra sterminio e schiavitù"
Scrive Primo Levi ne La tregua: “La prima pattuglia russa giunse in vista del campo [di Auschwitz] verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945.” All’atto della liberazione, lo scrittore colse, sui volti dei liberatori - sui volti cioè di uomini sicuramente adusi alle crudeltà della guerra – un incontenibile sentimento di vergogna: “Era la stessa vergogna a noi ben nota – egli di dice -, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio”. Con queste semplici parole, egli scolpiva così, a lettere di fuoco, una verità incancellabile: dopo la scoperta dei Lager, il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Una ferita – ripugnante, immedicabile, irreversibile – aveva lacerato per sempre il cielo stellato sopra di noi, mettendo nello stesso tempo in crisi - permanentemente - la legge morale dentro di noi. Gli stessi lemmi di “sterminio” e di “schiavitù”, con riferimento al nazismo, debbono essere considerati – almeno allo stato degli atti - solo come approssimativi e provvisori. Lo dimostrano i progressivi spostamenti semantici ai quali essi, nel corso di circa un cinquantennio, sono andati soggetti. Così , ad esempio, in riferimento alla distruzione programmata e freddamente eseguita degli ebrei d’Europa, all’inizio si èparlato di “sterminio”, poi di “olocausto”, infine di shoah, termine più pregnante degli altri, il cui significato è quello di “catastrofe”, di rovina indicibile. I nazisti, da parte loro, usarono invece l’espressione, aridamente e freddamente burocratica, di “soluzione finale del problema ebraico”. Ma non meno vischioso appare anche l’altro termine, quello di “schiavitù”. Anche in questo caso esso appare insufficiente ed inadeguato se lo rapportiamo, ad esempio, all’esperienza omologa del mondo greco-latino. In tale epoca, infatti, la schiavitù aveva la caratteristica di essere uno dei fondamenti, in senso strutturale, dell’economia. E quindi, nonostante gli schiavi (considerati res, ovvero cosa) fossero relegati ai margini della società, essi videro tuttavia migliorare, con il tempo, le loro condizioni umane e materiali: dalle prime forme di emancipazione, si passerà (nel II secolo d. C.) alla definitiva abolizione dell’istituto stesso della schiavitù. Nessuna luce di progresso è invece dato di riscontrare nell’universo concentrazionario nazista. Ad impedirlo c’era la concezione razzistica della storia: sulla base di essa fu infatti concepito, solo ed esclusivamente, il mostruoso principio dell’annientamento “attraverso il lavoro”. Ad Auschwitz, come in altri Lager, la durata media di vita di un lavoratore-schiavo era di circa tre mesi.Ebbene, oggi - ed è questo il secondo punto del mio ragionamento – se non vogliamo assistere all’eclissi della memoria, allora dobbiamo fare un passo avanti: dobbiamo tornare a coniugarla con la politica. Ce lo impone l’intollerabile concentrazione, nelle mani di pochi, dei mezzi di comunicazione di massa, l’occupazione dei centri di ricerca e di documentazione, l’espropriazione sistematica -anche attraverso il semplice oblio - di eventi fondanti della nostra storia repubblicana.
Ricordiamo che la Memoria, Mnemosine, era la madre delle Muse. Tra queste c’era, come è noto, anche la poesia. Se è vero quanto sostenne Adorno - cioè che dopo Auschwitz non è più possibile fare poesia se non su Auschwitz -, è altrettanto vero che l’arte, con i suoi innegabili limiti, rimane pur sempre, tra tutte le attività umane, quella che più si avvicina ad una possibile verità. Per questo abbiamo deciso di dedicare ai “sommersi” di laggiù, legittimati – ne siamo certi – dall’autorità morale che ci proviene dai “salvati” di qui, pochi versi di un grandissimo poeta tedesco, cioè europeo: Friedrich Hölderlin. E’ una semplice terzina, tratta da una poesia intitolata “Alle Parche”. Furono le Parche che ad Auschwittz, ed in altri Lager, molto filo hanno tessuto e molte vite innocenti hanno reciso. Dicono questi versi: “ L’anima, a cui negò la vita in dono/ il suo santo diritto, non ha pace/ neppur laggiù nell’Erebo profondo”. Mai accada che noi dimentichiamo i “sommersi di “laggiù”, ai quali non abbiamo saputo restituire nemmeno la pace. Ove ciò dovesse avvenire, allora significherà che il tempo concessoci si è compiuto e che l’incombente maledizione biblica di Se questo è un uomo potrebbe veramente materializzarsi. Potrebbe insomma accadere che ci si “sfaccia la casa”, che la “malattia” ci “impedisca”, che “i nostri nati torcano il viso “ da noi. Solo se - qui e nel paese, oggi e sempre – saremo in molti a condividere la responsabilità implicita nel motto “Io non rinuncio alla memoria!” – eletto emblematicamente a pensiero-guida di questo nostro incontro - allora potremo davvero affermare, con animo lieve, che questa nostra celebrazione non sarà stata invano.

Dallo storico al sindacalista. La platea è per Enrico Panini il cui intervento precede e prepara il minuto di silenzio: "La Guerra che verrà e se verrà cambierà la storia del nostro mondo. Pensiamo al fatto che emergono nuovi nazionalismi e si riaffacciano i vecchi che pretendono l’annientamento dell’ "altro" inteso come diversità.
Vediamo incalzare un certo revisionismo storico che arriva persino a giustificare l’annientamento di una razza. Vuole dirci: mettetevi l’animo in pace tanto queste sono le regole del gioco.
La funzione della scuola allora consiste nel sollecitare, pur nella necessaria lentezza, il confronto fra le persone. Lo sottolineava già Platone nel Fedro. Dunque in questo compito trova posto la ricerca della memoria che si oppone all’eterno presente. La memoria è libertà di ricerca, di pensiero, di parola.
Forse ben altre idee aveva la Commissione Cultura del Parlamento italiano quando con una sua risoluzione invita il governo a mettere sotto controllo i libri di storia. Orribile progetto. E’ inaccettabile riproporre la censura sulla storia perché equivale a riproporre una verità di regime.
In questo modo si mette in discussione la libertà di insegnamento seguendo una idea terribile: fino ad oggi la storia sarebbe stata faziosa.
Si moltiplicano in questi giorni interventi, persino in parlamento, in cui si mettono sotto accusa gli insegnanti. Vogliono censurare parole, idee, confronti: è pericoloso. Così come è libera l’arte e la scienza, altrettanto libero deve essere l’insegnamento, la professione più bella del mondo. Permette alle giovani generazioni di costruirsi un mondo nella libertà."