Valutando si impara - Seconda giornata

  • 16:30

    Il Convegno si avvia alla conclusione tocca a Enrico Panini, segretario generale della Cgil Scuola, tirare le file di un giorno e mezzo di intenso dibattito.
    Il convegno segna una tappa di rilievo, esordisce. L’abbiamo svolto dentro un contesto difficile e ci siamo riusciti: la guerra e la necessità di fermarla, i nuovi assetti mondiali e l’esigenza di rivedere regole e ordine internazionale. La nostra risposta è stata all’altezza. Si apre un processo che potremmo definire: “riprendiamoci la scuola”. A partire dai temi della pace che valorizzano naturalmente il lavoro scolastico. Il nostro impegno è coniugare gli aspetti contrattuali con quelli professionali e culturali. Il nostro intento è parlare ai diritti degli studenti, dei bambini, dei genitori.
    La valutazione è sotto attacco da parte del MIUR: dietro emergono cultura e concezioni del servizio pubblico come dimostra il proposito di inserire la scuola nei beni commerciabili (GATS).
    Per noi è tutt’altro. Basta il titolo di questo convegno: “VALUTANDO SI IMPARA”. Calza a perfezione per la scuola dell’autonomia. La nostra idea è che le scuole singole o in rete producano propri modelli alternativi al modello centralizzatore della Moratti o il multicentralismo di Bossi.
    La controriforma ci chiama a un’attenzione sempre alta, a non rassegnarci sui punti chiave come il sistema duale o la scolarità precoce. Una tentazione insidiosa è quella di banalizzare: “tanto non succede niente”, mentre intanto accade tutto. Un’aggravante è un certo clima politico che rinforza queste logiche, che metabolizza, genera accettazione. E’ autolesionistico perché meno sapere, meno istruzione finiscono per impoverire tutti.
    Dobbiamo adesso discutere sui decreti attuativi partire dalle scuole, costruendo alleanze, movimenti, lavorando da protagonisti. Sull’obbligo siamo intransigenti nel metodo ( illegittimo) e nel merito: chiediamo il pronunciamento della Corte Costituzionale. Molti di questi temi ci spingono verso la mobilitazione del 12 aprile a Piazza San Giovanni. Essa sarà il punto alto di un’iniziativa non solo nostra, ma anche confederale, come lo è stato il 23 marzo 2002.
    Sul contratto si stanno verificando i nostri timori. Chi prevedeva il “tanto si firma” è costretto a smentirsi. Dopo 100 giorni Tremonti tiene ancora sotto scacco la Moratti con la mancata certificazione delle risorse impugnabili. Non è l’unico elemento di preoccupazione . Qualcuno si appassiona ad uno stato giuridico che non è un traguardo sindacale accettabile. Evoca subordinazione e contrattazione debole.
    Infine gli organici che compromettono il diritto allo studio soprattutto nel Mezzogiorno. Siamo ad una dinamica perversa con 200.000 precari che premono sulla scuola. Il ministro pensa ad un nocciolo duro di insegnanti con prestazioni satellitari sulla falsariga dei co.co. co. E con chiamate nominali nelle scuole. Grattando la superficie affiorano elementi ancora più gravi, culturalmente regressivi: dai libri di testo all’intenzione di assumere solo docenti fedeli.

  • 16:00

    Chiude la carrellata delle esperienze Adriana Querzè, dirigente scolastico di Nonantola (Mo). Nella sua direzione didattica hanno cominciato, anni fa, a valutare gli apprendimenti degli alunni, in particolare le competenze di base. Gli insegnanti usavano prove standardizzate, ma i risultati erano troppo imprecisi, c’era troppa disomogeneità perché gli indicatori non coglievano le variabili ed era quindi difficile individuare i conseguenti interventi. Osservando i limiti della vecchia esperienza sono andati avanti. Il punto di partenza è stato sempre quanti e quali apprendimenti di base gli alunni devono avere e hanno costruito un modello interno e cooperativo. Per le prove linguistiche hanno usato standard nazionali, quelle di matematica se le sono costruiti in proprio. Per la somministrazione delle prove non è stato usato l’insegnante della classe, hanno lavorato su classi parallele, quindi l’elaborazione è avvenuta su classi parallele e sul complesso della scuola. Il risultato più interessante è stato che gli esiti di queste elaborazioni fanno riflettere gli insegnanti e attivano tra di loro un dialogo anche tecnico e professionale. Il lavoro su classi parallele fa sì che il gruppo degli insegnanti di quelle classi si specializzi su una particolare azione, ad esempio di recupero, per tutti gli alunni che presentano problemi analoghi. Per questo è stato fatto uso della contemporaneità. In tutti questi anni è cresciuta nella scuola la coscienza e la cultura della valutazione, migliorano le prove… Certo i problemi non mancano, dai carichi di lavoro, ai costi, alla mancanza di riferimenti istituzionali e di rete.

  • 15:30

    Alessandro Turchi, docente di un istituto comprensivo di Ogliara (Sa), ha raccontato la “buona pratica” della scuola, un’esperienza che dura ormai da 5 anni. Il contesto è quello di una scuola collocata in una zona disagiata a forte dispersione scolastica forte di 10 plessi, 925 alunni, 48 classi, 3 ordini di scuola, 104 insegnanti, 12 corsi aggiuntivi. Questa situazione complessa ha portato alla costituzione del nucleo di valutazione interno che lavora su 3 azioni. La prima nei confronti degli alunni, ai quali va offerta non solo istruzione, ma formazione in senso lato. Un monitoraggio costante permette di evidenziare le difficoltà e i problemi e intervenire, a seconda dei casi, con recupero, potenziamento, continuità. La seconda azione è nei confronti dell’organizzazione e riguarda la collaborazione/condivisione del lavoro, l’uso delle risorse, la verifica della funzionalità dei modelli e dell’efficacia del Pof. La terza nei confronti dell’utenza, i genitori e attraverso di essi il territorio: la scuola rileva i bisogni, sollecita la collaborazione, attiva meccanismi di comunicazione. Una scuola attiva che sollecita il territorio. In questo caso, ci tiene a sottolineare Turchi, è più corretto parlare, più che di autovalutazione, di autoanalisi, termine più corretto per definire una scuola che sa valutare e riflettere su se stessa rivedendo i meccanismi del proprio funzionamento

  • 12:00

    I lavori del convegno proseguono a passo di carica. C’è stata anche una pausa, ma così breve che non ce ne siamo accorti. L’argomento è complesso, ma ci tiene tutti incollati alle poltroncine … meno male che sono comode. Siamo esausti, ma ci tira su Gilda Ricci, di Proteo Campania, che rileva la presidenza del convegno da Carmine Gonella e si concede qualche battuta scherzando con la sala.
    Siamo arrivati a parlare delle buone pratiche.
    Comincia Giuseppe Abrescia, dirigente scolastico di una scuola media (36 classi, 900 alunni, un unico plesso) di Taranto. Questa scuola ha elaborato già anni addietro un modello autovalutativo, servendosi di riferimenti teorici tratti dal Cede e dal Libro Verde della pubblica istruzione di Butera e da situazioni empiriche. Sulla base di indicatori privilegiati (territorio, famiglie, aspettative formative delle famiglie, comportamenti degli alunni, cultura professionale degli operatori scolastici) hanno valutato la qualità degli esiti formativi. Per questo si sono serviti anche di prove strutturate e semistrutturate per verificare le competenze disciplinari di fine ciclo. Il lavoro più interessante è stato comparare i dati delle valutazioni che gli alunni si portavano dietro dalle elementari con quelle di ingresso e di uscita dalla media e successivamente con i risultati acquisiti dai ragazzi alle superiori: hanno riscontrato una maggiore coerenza tra i giudizi delle elementari e medie rispetto a quelli dati dai docenti superiori. Stanno ragionando sui motivi di questa differenza.

    Daniela Fermi, docente di Milano, parla dell’esperienza della sua scuola.
    Il Progetto AIR (Autoanalisi di Istituto in Rete) ha avuto origine in un istituto di Bollate , l’ITCS Primo Levi dove negli anni ’70 è stata attuata una maxi-sperimentazione organizzativa e curricolare. Proprio l’essere un “laboratorio” di sperimentazione ha fatto avvertire l’esigenza di mettere a punto uno strumento di verifica della qualità della formazione che fosse capace di cogliere le caratteristiche specifiche della scuola, vista come tipo particolare di organizzazione, centrato sugli istituti scolastici in quanto soggetti dell’autonomia, maneggevole e volto alla effettiva implementazione di miglioramenti qualitativi.
    Il modello, elaborato da un gruppo di docenti con la consulenza del Prof. Mario Castoldi e ispirato sia alle ricerche sulle “effective schools” che al progetto ISIP dell’OCSE, prevede 4 campi di indagine (contesto, input, processi, output) per ciascuno dei quali sono stati individuati fattori di qualità (requisiti funzionali che permettono di distinguere una “buona” scuola, fondati su determinate scelte di valore), declinati in indicatori (“dispositivi di allarme sugli aspetti essenziali del sistema scolastico, in grado di accertarne il funzionamento e segnalare eventuali disfunzioni).
    Attraverso il modello vengono raccolti dati che acquistano valore diagnostico se confrontati sul piano diacronico e sul piano sincronico, confrontandoli con i dati di altre scuole.
    Dal progetto di scuola si è quindi passati al progetto di Rete, di cui fanno parte circa 80 scuole in tutta Italia. Il lavoro in Rete permette di confrontare i dati raccolti da più scuole, individuare valori di riferimento e linee di tendenza, ottenere dati fondati su cui costruire azioni di miglioramento, scambiare informazioni ed esperienze, valutare e migliorare il modello stesso.
    Dopo tre anni di lavoro in Rete, gli sviluppi più recenti sono stati l’elaborazione di questionari di soddisfazione per le quattro componenti scolastiche, i cui esiti si incrociano con i dati forniti dagli indicatori, la definizione di un modello per la scuola di base e l’elaborazione di test di apprendimento finali (in via di sperimentazione).
    L’ultimo intervento della mattina si è concluso. La collega è stata chiara e sintetica, quindi scappiamo a pranzo. Si continua a parlare di lavoro, si scambiano le esperienze e i numeri di telefono, qualche rammarico per non aver visto gli scavi, ma il tempo stringe e si comincia a consultare gli orari ferroviari. La stanchezza si fa sentire e i lavori non riprendono puntualmente. La sala si riempie molto lentamente, ma alla fine Gilda Ricci dà il via.

  • 11:30

    L’autonomia è quel punto di forza che può far diventare identità collettiva l’identità culturale e progettuale della scuola. Così ha esordito Isabella Filippi, docente di Bologna. Da questo passaggio deriva la condizione delle scelte per la selezione delle priorità. Per tutto questo serve un’organizzazione adeguata perché non c’è autonomia didattica senza un supporto organizzativo e senza un impegno di ricerca da parte dei docenti.
    Filippi ha poi parlato della sperimentazione di un modello organizzativo su reti di scuola, che prevede alcune aree di lavoro che fanno capo alle diverse competenze professionali e organi della scuola: area gestionale, di ricerca e progettazione (che fa capo al Collegio Docenti) e della realizzazione.
    La seconda area è quella che sviluppa il pof con un lavoro di gruppo che ragiona sui profili in uscita, dunque sulle promesse fatte dalla scuola all’utenza, e poi valuta i risultati attesi e i risultati effettivi. Il lavoro è finalizzato a che gli insegnamenti diventino apprendimenti, cioè quel capitale (un vero portfolio) che lo studente si porta dietro. La valutazione nelle singole unità scolastiche deve servire a migliorare la struttura organizzativa, il sistema di responsabilità e anche la procedura, che non è un fatto burocratico, ma serve per indicare un percorso riconoscibile.

  • 11:00

    Antonio Valentino, dirigente scolastico, interviene su valutazione, autovalutazione di istituto, miglioramento. Il contributo è partito da alcuni dati relativi ai processi di certificazione della qualità delle scuole e alla partecipazione al Progetto Ministeriale Pilota 2. - Per interrogarsi sui loro possibili significati in primo luogo - In parte riconducibili sia alla volontà delle scuole di non volersi in ogni caso estraniare dai processi in atto, “tanto in ogni caso, prima o dopo bisogna farci i conti”, sia alla logica del “fiore all’occhiello” volto a curare l’immagine della scuola sul territorio in termini però più di forma che di sostanza. Non va però trascurata anche la volontà di superare il gap di cultura valutativa del nostro sistema scolastico. È lo sviluppo di una cultura valutativa l’obiettivo sul quale sentirci impegnati utilizzando soprattutto due strumenti:

    • una formazione rivolta non solo alla valutazione degli apprendimenti, ma anche dell’insegnamento, delle relazioni e della crescita professionale delle modalità di partecipazione della scuola come organizzazione

    • una organizzazione della scuola che sappia avvalersi di figure formate ed esperte che si facciano carico di presidiare aree strategiche del funzionamento didattico dell’Istituto e tra queste quella dell’autovalutazione e Autoanalisi di Istituto.

    E qui l’analisi si intreccia con rivendicazioni da recuperare, appena se ne creino le condizioni. E in primo luogo dell’organico funzionale, dei CIS, del riconoscimento economico e di carriera per figure più o meno stabile di presidio degli aspetti strategici della vita della scuola.

  • 10:30

    Sui compiti professionali dei docenti nell’autovalutazione e autoanalisi di scuola si è soffermato Nicola Casaburi, dirigente scolastico a Venezia. Concorde la comunità scientifica internazionale nell’ascrivere la qualità degli apprendimenti degli alunni a 3 fondamentali campi di indagine: il contesto, le risorse, i processi (didattici e organizzativi). Il contesto, per altro, è variabile talmente forte da far sì che una scuola retta da insegnanti demotivati possa conseguire risultati di apprendimento superiori a quelli di altra scuola retta da insegnanti competenti e motivati. L’insegnamento non è un mestiere, che consegue i risultati voluti solo applicando tecniche preordinate e disponibili: l’insegnamento è una professione, costretto a far i conti con una complessità di cose e persone tale da allentare i legami di causa-effetto. Tre, i requisiti della professione:

    1) “Dominio di scienza e tecnica”, quindi di competenze dalle quali sole può scattare la scintilla dell’intuizione che consente al professionista di affrontare la complessità;
    2) “Autonomia”, libertà di insegnamento, nell’ambito della quale praticare la creatività;
    3) “Etica professionale”, indispensabile per temperare l’asimmetricità del professionista nei confronti dell’interlocutore: utente, cliente, paziente, alunno che sia.

    Quanto alle azioni del professionista, esse possono essere descritte in una circolarità a tre stadi: pianificazione degli interventi, monitoraggio e assestamenti in itinere, valutazione finale per leggere l’esperienza condotta in chiave di feed back. Lo schema professionale va comunque riportato a una concezione probabilistica degli eventi in cui l’errore è pedagogico, non diventa “sbaglio” da imputare al professionista (vs. concezione meccanicistica della programmazione).
    Infine, la valutazione del professionista. A fronte della pluralità delle variabili che incidono sul risultato, si tratta di una valutazione essenzialmente di prestazione, di comportamento: di “processo”. Portata sulle modalità con cui il professionista si è mosso nelle sue azioni professionali, in relazione al suo impegno, alla sua tensione verso il risultato, alla sua disponibilità al dialogo, alla sua flessibilità nello svolgersi degli eventi. Non toglie che nella gestione della “routine” quotidiana egli possa rispondere soprattutto dei risultati. Infine, che nella scoperta di procedure o modalità di azione originali che gli consentano il conseguimento di risultati efficaci in campi segnati dall’insuccesso egli si candidi al riconoscimento dell’”eccellenza” professionale.

  • 10:00

    Simona Fimiani, docente e ricercatrice, ha illustrato una ricerca condotta su due scuole, la Southgate School di Londra e il liceo scientifico “Tron” di Schio, sulla qualità formativa. Per l’analisi di caso comparativo sono state scelte due scuole con alcune caratteristiche comuni ed entrambe esempi di eccellenza.
    Lo scopo della ricerca era cercare esempi di buone pratiche e modalità di condivisione delle esperienze, data anche l’assenza di studi empirici sulla qualità della scuola.
    Il modello di riferimento da cui la comparazione ha preso le mosse è costituito da tre punti: il livello alto di apprendimento degli allievi, aumento delle iscrizioni, la diminuzione della dispersione scolastica.
    In Inghilterra le scuole stanno dentro un sistema nazionale di valutazione, in Italia non ancora. Il liceo di Schio ha scelto di chiamare un ente esterno per la certificazione di qualità, sul modello Iso, non c’è dunque autovalutazione, i docenti stessi l’hanno esclusa. Eppure, questo è un paradosso, essi stessi ammettono che questo sistema di certificazione serve per migliorare l’organizzazione della scuola, ma non incide sull’apprendimento degli alunni.
    A Londra, invece, l’autovalutazione è un pezzo importante di tutto il sistema e avviene in 3 fasi, al cui centro c’è il docente che stabilisce gli obiettivi sulla base degli standard nazionali, durante l’anno scolastico il capo dipartimento osserverà le lezioni e il lavoro degli alunni e alla fine si valuterà il risultato). Poi, ogni 4 anni c’è il controllo dell’Ofsted e la pubblicazione delle graduatorie delle scuole. Nonostante sia uno stress inaudito subire le ispezioni esterne, alla fine i docenti inglesi li apprezzano, perché è uno stimolo.
    In conclusione ciò che è emerso è che l’autovalutazione da sola non basta, è uno strumento. Ciò che è più importante è capire quali processi vanno sottoposti a valutazione, evitando l’eccessiva segmentazione e non limitandosi ai problemi più visibili, ma anche alla parte sommersa dell’iceberg, che è fatta di motivazioni, contesti ecc. La valutazione, infine, non deve trasformarsi in una specie di caccia alle streghe per trovare a tutti i costi un responsabile se qualcosa non va.

  • 09:30

    Erano quasi le otto stamattina quando abbiamo cominciato a incontrare i primi convegnisti, soli e a gruppetti, davanti al caffè o con la prima sigaretta. Qualche scambio di notizie sulla guerra, commenti e preoccupazioni, e poi le prime impressioni sul convegno e su quanto si è discusso ieri. Insomma si valuta quanto si è detto sulla valutazione e così, dopo una sosta all’edicola, una sfogliata ai giornali si è andata riempiendo la sala per ascoltare la prima relazione che, dopo la staffetta alla presidenza tra Cormino e Carmine Gonnella, segretario della Cgil Scuola di Salerno, è toccata a Simonetta Fasoli, dirigente scolastico di una scuola media.
    Ci muoviamo in due scenari: politico istituzionale e culturale. Il primo inerisce il processo dell’autonomia scolastica e le politiche (in senso alto) che l’accompagnano. In tal senso la cultura della valutazione sviluppa gli anticorpi alla autoreferenzialità.
    Il secondo ci indica le coordinate per muoversi nella complessità del lavoro scolastico. Un valore cruciale ha l’autoanalisi (primo passo di un processo migliorativo) sapendo che c’è una precisa congiunzione tra valutazione del servizio e valutazione degli apprendimenti.
    L’autoanalisi ha una propria strutturazione che definisce nel suo esplicarsi una identità della scuola che la impiega. Attraverso l’autoanalisi i dati non vengono semplicemente raccolti ma interpretati in vista di uno scopo (soluzione del problema cui i dati vengono riferiti)
    Una tale impostazione riflette un’idea della professionalità docente che è depositaria di un sapere “in azione” e di un sapere “sull’azione”.
    C’è, in questo, un lato originale e di valore che è in aggirabile. Esso evoca una dimensione di responsabilità e di pertinenza al contesto che ha un suo portato deontologico.

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

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