Elevamento obbligo scolastico

  • 17:15

    Ora prende la parola Enrico Panini, Segretario Generale della Flc Cgil, a cui spetta il compito di chiudere i lavori. "Abbiamo già iniziato e continueremo un percorso insieme a tutta la Confederazione e naturalmente con la categoria: per definire un programma sulla conoscenza con le forze politiche e sociali.

    E’ necessario, pertanto, mettere in campo una proposta radicale : obbligo a 18 anni; come responsabilità degli adulti nei confronti dei giovani; una proposta di valore : cioè una soluzione solidale riferita al sociale e non al privato, così come invece si ispira il “diritto-dovere” proposto dal Governo.Sulla secondaria dobbiamo portare avanti un proposta autonoma con propri valori e propri pensieri. Costruire un programma ed un modello di obbligo a 18 anni ispirando sia ad un modello sociale che preveda il principio di piena inclusione, completamente antagonista alla proposta del Governo : un Liceo tecnologico antagonista del Liceo classico, per cui ne esce un paese meno unito e più separato

    Obiettivo complessio, ambizioso, ma praticabile:obbligo a 18 anni.

    I contributi a questo seminario permettono di affermare che nel nostro Paese, l’istruzione va in crisi tra i 16/18 anni. E’ necessario puntare sulla qualità, ma anche sulla quantità di laureati il cui numero incide in modo positivo sia sulla democrazia che sullo sviluppo del nostro Paese ; anche il numero dei ricercatori è decisamente inferiore a quelli di altri Paesi, senza contare le gravi difficoltà in cui si dibattono questi lavoratori.

    Chiediamo con forza l’abrogazione di tutti i Decreti sull’istruzione, formazione, ricerca e università approvati da questo Governo. L’impegno di un nuovo Governo deve essere nell’immediato quello di portare l’obbligo scolastico a 16 anni , ed immediatamente dopo esplicitare l’obbligo a 18 anni ed in vestire nell’organizzazione di un nuovo mondo del lavoro. Per riorganizzare al meglio il triennio delle superiori e la formazione professionale bisogna puntare con decisione a stretti rapporti con il mondo del lavoro. I dati preoccupanti della dispersione scolastica e dell’abbandono continueranno ad essere preoccupanti se continua a permanere l’abbassamento dei valori.

    Un diritto è tale se si può esercitare; il diritto degli esclusi è una sfida che deve essere vinta. Il diritto dell’obbligo scolastico è un diritto che de4ve essere raggiunto."

  • 17:00

    Nel dibattito intervengono Pino Patroncini e Carmine Cirella.

    Pino Patroncini richiama il senso delle parole “obbligo scolastico fino a 18 anni”. Obbligo – dice- è diverso da diritto e da dovere. Fa l’analogia con l’obbligo militare e cita H. Carnot che nel 1848 diceva “Nella repubblica chi comanda è il popolo. Per questo è interesse della repubblica che il popolo sia istruito. E nessuno può sottrarsi all’istruzione senza arrecare danno agli latriu e a tutta la società.” Qui sta l’origine dell’obbligo che non può che essere scolastico: l’obbligo formativo è un ossimoro giuridico-nrmativo perché invece risponde al principio che dice “ siccome non vuoi imparare impara almeno un mestiere”. Non è la stessa cosa! C’è un problema di dispersione? Non è un problema di formazione professionale: il problema è come riporto a scuola le persone che non ci vanno. I sistemi di alternanza scuola-lavoro che hanno tanta fortuna in Svizzera Germania e altri paesi europei hanno origine da qui e fanno metà scuole e metà lavoro.

    Fino a 18 anni invece implica il fatto di sapere quali sono i saperi indispensabili nel 2000 che devono essere comuni a tutti e che devono essere necessariamente più ampi di 30 anni fa. In che direzione? Saperi scientifici: soprattutto conoscenze legate alla salute e all’ambiente. Saperi tecnologici: soprattutto legati alle tecnologie della comunicazione. Poi saperi trasversali come dice E. Morin: questo implica un rapporto diversi con le discipline e, per noi sindacato, parametri diversi per definire gli organici. E bisogna tenere presente le diffrenze tra le due età 14-16 e 16-18 con diverse disponibilità all’apprendimento negli alunni e diverse maturazioni.

    Un’altra cosa da tenere presente è che la storia italiana e di altri paesi dimostra che i processi di innalzamento dell’obbligo si accompagnano a processi di unificazione e non di separazione dei sistemi formativi. Infine noi miriamo a un innalzamento da 14 a 18 anni mentre negli altri paesi a 16 anni almeno ci sono già arrivati e ci sono arrivati in un’altra epoca, quando le classi dirigenti miravano all’integrazione sociale e la scuola ne era uno strumento principe. Oggi certe classi dirigenti non mirano più a questo ma alla disentagrazione sociale.

    Carmine Cirella richiama l’accordo di luglio 1993 e i successivi protocolli di intesa con cui il sindacato e la Cgil in primo luogo hanno faticosamente cercato di porre le premesse per la costruzione di un sistema di formazione professionale di fatto inesistente nel nostro paese dopo il sostanziale fallimento della legge quadro del 1978. E’ necessario tener conto di tale percorso per non disperdere il patrimonio di idee e di iniziative che la Cgil e le forze sociali hanno messo in campo nello scorso dicembre. In tal modo è possibile caratterizzare la proposta di un programma della conoscenza come punto di vista “politico” di una forza sociale come la Cgil pienamente autonoma, evitando rischi derive accademiche di carattere sociologico o pedagogico. La proposta dell’elevamento dell’obbligo scolastico a 18 anni rappresenta il cuore di tutto l’impianto programmatico da costruire ed assume finalmente e coraggiosamente un carattere dirompente rispetto al dibattito e al confronto sulle politiche della formazione e della conoscenza, chiamando ad una forte assunzione di responsabilità prima ancora delle forze politiche e sociali , la stessa scuola , i sistemi formativi regionali, l’università, la ricerca, il mondo produttivo.

    L’obbligo a 18 anni chiama la scuola ad un profondo rinnovamento non solo organizzativo, ma in primo luogo culturale. E’ necessario riequilibrare il peso della cultura scientifica rispetto a quelle umanistica, valorizzare dal punto di vista dell’educazione l’evoluzione della tecnologia che è alla base delle trasformazioni sociali e culturali dell’era postfordista. La scuola deve impattare la cultura del lavoro fornendo alle persone la conoscenza delle cultura e della realtà del mondo del lavoro, non le competenze tecniche e professionali, necessaria per accedervi ed agirvi in modo consapevole qualificato. La scuola deve garantire a tutti il successo scolastico uscendo dalla propria autoreferenzialità e cultura selettiva, deve rompere l’approccio disciplinare articolando in primo luogo la funzione docente con le attività di accoglienza, tutoraggio, progettazione, accompagnamento, valutazione ecc. E’ necessario un intervento pianificato per riqualificare profondamente la risorsa umana e professionale che opera nella scuola. La formazione professionale dal canto suo non è alternativa all’istruzione né può essere in competizione con essa, ma ne è il necessario completamento, con un ruolo di pari importanza e dignità culturale. La formazione professionale così come è oggi cioè il precipitato ancora informale di percorsi chiari e non compiuti, deve uscire dall’equivoco, dettato da ragioni di pura sopravvivenza, che il suo spazio sia quello dei giovani in età scolare che però non vanno a scuola o ne sono esclusi. Questo approccio è profondamente lesivo ed è un ostacolo alla possibilità di costruire un sistema di fomazione professionale in primo luogo visibile e riconoscibile non solo a livello locale ma anche a livello nazionale non consente alle realtà esistenti di formazione professionale di uscire dalle secche del nanismo, dell’indeterminatezza identitaria, della competizione affaristica, dell’autoreferenzialità di basso profilo qualitativo, dalla condizione di assistenzialismo e dalla diffusione di episodi e pratiche degenerative. La Cgil è chiamata in prima persona ad una responsabilità per alcuni versi ancora maggiore rispetto alle problematiche della formazione professionale sia a livello di federazione che di confederazione. Non è possibile considerare la funzione di rappresentanza e la responsabilità di costruzione di proposte programmatiche come una contraddizione interna al nostro sindacato

  • 16:40

    Fabrizio Dacrema, Coordinatore del Dipartimento Formazione e Ricerca della CGIL:

    "La scelta di innalzare l’obbligo scolastico si muove lungo l’asse politico della costruzione di una proposta radicalmente alternativa alla politica scolastica del governo.

    L’innalzamento dell’obbligo scolastico rappresenta in modo paradigmatico la nostra opzione per un modello scolastico inclusivo, esplicita la nostra proposta di dare più scuola a tutti in contrapposizione alla scuola meno della Moratti.

    L’obbligo scolastico, così come delineato dalla Costituzione, non limita la libertà dell’individuo, ma la rafforza, contrastando l’effetto negativo dei condizionamenti socio-culturali nei confronti della fruizione del diritto all’istruzione, considerato essenziale per lo sviluppo civile e democratico del paese.

    Nella società della conoscenza l’uguaglianza delle opportunità passa attraverso l’acquisizione di un’autonoma capacità di fruizione delle conoscenze. Per questo occorre un bagaglio culturale persistente, pervasivo, trasversale, trasferibile; al contrario una formazione iniziale limitata, superficiale, nozionistica non solo inibisce la continuazione della formazione lungo l’arco della vita, ma produce quei fenomeni di analfabetismo di ritorno che sono un diffuso e grave problema delle società contemporanee.

    Anche dal punto di vista della formazione per il lavoro è ormai evidente che nell’economia della conoscenza le specializzazioni professionali precoci, rigide e settoriali sono destinate alla rapida obsolescenza per le difficoltà che incontrano ad essere trasferite e adattate al continuo mutare delle tecnologie e delle modalità di produzione.

    Le competenze professionali necessarie per realizzare l’occupabilità sono il risultato dell’intreccio di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali.

    In questo quadro la scelta urgente e prioritaria per il nostro paese è l’innalzamento dell’obbligo scolastico per delineare il necessario potenziamento del bagaglio di formazione iniziale da assicurare ad ogni cittadino e come strumento per raggiungere entro il 2010 il traguardo indicato a Lisbona dall’Unione Europea di diplomare almeno l’85% dei giovani per fascia di età e di ridurre la dispersione scolastica al di sotto del 10%.

    Il nuovo traguardo da raggiungere è un percorso scolastico obbligatorio fino a 18 anni, per indicare nel diploma il sapere minimo iniziale necessario nella società della conoscenza per essere cittadini consapevoli e lavoratori flessibili ma non precari, così come la licenza elementare e le licenza media per tutti sono state, rispettivamente per la prima e la seconda industrializzazione del paese, fattori decisivi per la democrazia e lo sviluppo.

    Il punto da cui partiamo ci vede ancora molto lontani dall’obiettivo indicato a Lisbona: oggi il sistema scolastico italiano porta al diploma circa il 75% dei giovani per fascia di età. Di questo 25% che non si diploma, circa il 5% non raggiunge nemmeno la licenza media. Il 95% dei licenziati della scuola media si iscrive alla scuola media superiore, ma più del 20% non arriva al diploma.

    Partiamo, quindi, da una situazione pesante per rimontare la quale l’innalzamento dell’obbligo scolastico è una scelta importante ma non può naturalmente essere l’unico strumento messo in campo. Anche perché l’obbligo scolastico, se ottiene l’accesso, di per sé non può garantire il successo scolastico né l’eliminazione della dispersione, se viene inteso come mero vincolo burocratico rischia di non produrre alcun ampliamento delle capacità e dei diritti.

    Per realizzare l’obiettivo di innalzare di istruzione tutti occorre affrontare i problemi reali posti dal fallimento scolastico degli svantaggiati, degli stranieri, delle varie forme di disadattamento.

    A questo fine occorre innanzi tutto investire in tutti i processi di discriminazione positiva e di decondizionamento precoce a partire dal potenziamento quantitativo e qualitativo dei servizi educativi per l’infanzia e dalla generalizzazione della scuola dell’infanzia.

    Occorre poi difendere e sviluppare i modelli organizzativi positivi del percorso di base fondati sui tempi distesi, sulla corresponsabilità educativa e la flessibilità dell’organizzazione didattica; inoltre, il potenziamento dei processi di continuità educativa e didattica agisce su uno dei fattori più consistenti di insuccesso e dispersione: la frattura nei passaggi tra i vari gradi scolastici.

    Deve, inoltre, cambiare profondamente la scuola secondaria superiore, il modo di fare scuola, prima ancora dell’architettura. Per riuscire a intercettare tutte le intelligenze, le motivazioni, gli stili di apprendimento deve essere superato il modello di insegnamento tradizionale fondato sulla trasmissione dei contenuti, la comunicazioni unidirezionale, la passività degli studenti.

    La formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e la valorizzazione degli spazi dell’autonomia scolastica devono convergere nella promozione di processi di insegnamento e apprendimento che mettano al centro l’esperienza degli studenti, gli aspetti di operatività e verificabilità, l’interattività, le attività di ricerca e laboratorio, la moltiplicazione dei luoghi di apprendimento diversi dall’aula, … insomma tutte quelle pratiche educative capaci di motivare l’apprendimento di tutti gli studenti.

    In questa direzione le migliori pratiche di integrazione e alternanza tra scuola, formazione professionale e lavoro possono fornire esperienze da valorizzare in ordine all’esigenza di potenziare l’efficacia dei processi di insegnamento apprendimento della secondaria superiore.

    Il primo passo per l’innalzamento dell’obbligo scolastico è la riforma del primo biennio della secondaria superiore per renderlo obbligatorio e unitario.

    Partire dal biennio significa anche rispondere ad una esigenza di gradualità, realizzando immediatamente una tappa fondamentale per rendere più inclusivo il nostro sistema scolastico e contemporaneamente dare avvio al processo per la realizzazione di una riforma complessiva del nostri sistema formativo e con essa la realizzazione dell’obiettivo dell’obbligo scolastico a 18 anni.

    La costruzione di un biennio unitario e orientativo, differenziato in riferimento ai grandi campi del sapere ma costituito da percorsi di eguale valenza formativa, realizza una netta alternativa al modello duale della Moratti. Il fatto che fino a 16 anni tutti i ragazzi restino nella scuola, esercitino una prima scelta reversibile, che sarà precisata al termine del biennio, rappresenta un fattore decisivo per la prosecuzione degli studi fino al diploma, oltre ad essere una spinta reale alla trasformazione della scuola secondaria in direzione di una maggiore capacità di accoglienza delle diverse intelligenze e di capacità di individualizzazione dei percorsi.

    La realizzazione dell’obbligo scolastico a 16 anni deve quindi essere una delle priorità da realizzare appena le condizioni politiche lo rendano possibile, valorizzando immediatamente le iniziative delle scuole autonome, degli enti locali e delle regioni che si muovono in questa direzione."

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  • 16:20

    Claudio Treves, responsabile del Dipartimento Mercato del lavoro della CGIL, affronta i temi del nostro seminario da un punto di vista giuslavoristico.

    La condizione attuale oggi appare caratterizzata da due elementi che, per quanto riguarda la situazione occupazionale, vanno di pari passo:

    - la dimensione scolastica;

    - il lavoro nero ed irregolare.

    Le due cose vengono facilmente associate al meridione, dove si realizza spesso la fuga dalla scuola per partecipare, lavorando in nero, al sostegno del reddito familiare. Ma la fuga dalla scuola avviene anche al nord, dove i giovani fuggono perché preferiscono lavorare subito e guadagnare facilmente.

    Riferisce del passaggio del pronunciamento della Corte Costituzionale che ha respinto le eccezioni di incostituzionalità sollevate da molte regioni sulla Legge 30.

    La Corte ha sostenuto che ciò che non è di stretta pertinenza delle autonomie regionali risulta disponibilità legislativa dello Stato.

    Così le scuole assumono anche esse un ruolo di agenzie per l’impiego.

    Diviene, dunque, necessario un raccordo stretto tra istituzioni scolastiche e centri per l’impiego, ponendo le basi per l’interazione tra mondi attualmente separati. I centri per l’impiego dovrebbero però assumere una funzione non solo ispettiva ma attiva di recupero della dispersione scolastica.

    Cosa significa sul versante lavoristico l’Obbligo scolastico elevato a 16 o a 18 anni? Immediatamente un mutamento della normativa sul lavoro minorile. Ma non risulta opportuno vietare il lavoro ai giovani dai 16 ai 18 anni. Sarebbe opportuno provare ad intrecciare i due percorsi, rivedendo anche l’istituto dell’apprendistato. Rafforzando fino al 18° anno le competenze trasversali e la formazione professionalizzante mutuate dal modello europeo, queste competenze conseguite dovrebbero essere valutate come crediti per il futuro apprendistato. Anche una più forte interlocuzione con il mondo delle imprese dovrebbe divenire una componente di questo percorso, anche se si corre il rischio, che va evitato, di ricadere nell’addestramento, che abbiamo combattuto.

    Le competenze così acquisite andrebbero registrate nel libretto formativo, insieme ai periodi di lavoro. Tali periodi, p.e. stagionali, purché guidati, e avvenendo in modo chiaro e in condizione protetta che eviti i rischi per la persona, tutelando il giovane.

    Si può immaginare che competenze e conoscenze così acquisite divengano successivamente crediti formativi riconoscibili nell’apprendistato futuro, oltre che fonte di gratificazione immediata per il giovane.

    Ma, facendo un passo indietro è importante ritornare su una questione di politica del lavoro relativa all’apprendistato che è pagato almeno due livelli in meno della paga normale prevista dalla contrattazione collettiva.

    Sarebbe opportuno legare gli incentivi per le imprese che assumono apprendisti a due condizioni da verificare ex post: che si realizzi realmente la formazione per gli apprendisti e che questi vengano mantenuti presso le aziende, sanzionando i comportamenti difformi.

  • 16:00

    Santo Inguaggiato Segretario Confederale Cgil Sicilia. "Intervengo a questo seminario sull’elevamento dell’obbligo scolastico indetto nel quadro delle iniziative per la costruzione di un “Programma per la conoscenza”, sperando di potere dare un contributo a partire dalla mia esperienza sindacale in questa regione.

    Innanzitutto vorrei esprimere il mio compiacimento per i contributi al dibattito di oggi a partire dalle relazioni introduttive che denotano tensione ideale e consapevolezza . Condivido l’obiettivo dell’elevamento dell’obbligo scolastico a 18 anni con la tappa immediata a 16 anni. Con questa proposta la CGIL riunifica il percorso di istruzione per tutti i ragazzi , supera nei fatti la divisione operata dalla controriforma Moratti e la canalizzazione precoce in due percorsi diversi e riafferma, come valore irrinunciabile, un percorso formativo uguale per tutti, per una vera cittadinanza.

    Nel momento in cui puntiamo a un obbligo scolastico per tutti a 18 anni dobbiamo evitare il rischio che l’obiettivo venga raggiunto solo formalmente senza incidere positivamente nel recupero di tutti coloro che oggi sono esclusi dall’obbligo e dal diritto all’istruzione attuali.. In questo senso una verifica sull’accessibilità , sul successo scolastico,sugli ostacoli che di fatto si frappongono a un esito scolastico positivo è indispensabile e doverosa.

    In questo senso vanno recuperati per una regione come la Sicilia gli interventi, indubbiamente da rimodulare, di prevenzione della dispersione e di lotta alla selezione scolastica. In Sicilia, già dalla metà degli anni ’80, la CGIL si intestò la battaglia contro la dispersione con una campagna di alto profilo ideale e con scelte precise in merito all’utilizzo delle risorse umane allora disponibili e contrattabili.Tutti questi interventi sono stati ridimensionati, addirittura, azzerati.

    La scuola per l’infanzia deve essere obbligatoria e accessibile per tutti, sapendo che il disagio scolastico e il rischio dispersione si prevengono con maggior successo proprio in quel segmento. Dai dati pubblicati nel rapporto Eurispes, commissionato dal Presidente della Regione Siciliana On. Cuffaro si evince che nell’anno 2003 – 2004, a fronte di 271.400 bambini iscritti alla scuola elementare( 5 leve anagrafiche ) erano solo 117.899 quelli iscritti nella scuola per l’infanzia(3 leve anagrafiche ).Ciò significa che ,pur considerando il servizio e la presenza della scuola privata, una parte consistente di bambini è esclusa dalla scuola per l’infanzia e probabilmente quella che ne avrebbe maggior bisogno. Nella scuola media si sono abbassati i tassi di dispersione, ma si innalzano vertiginosamente nel primo biennio delle superiori (fino al 12,8% nel 2002) soprattutto nel primo anno.

    Obbligo scolastico a 18 anni ,in Sicilia ,significa quindi,per il sindacato, accettare una doppia sfida:verso l’alto e contestualmente di garanzia di diritti verso il basso. Contemporaneamente dobbiamo pensare a come rendere effettivo ed esigibile un percorso di educazione permanente, che si rivolga alle persone dai 25 ai 35 anni per offrire loro strumenti di esercizio della cittadinanza ed a quelle tra i 35 ed i 45-50 anni(-c.d fasce deboli del mercato del lavoro)- riportandole dentro a un sistema che dia loro opportunità di conoscenza, che li fortifichi sotto il profilo della occupabilità.

    Nello scorso giugno si è celebrata la giornata mondiale della lotta al lavoro minorile. L’ISTAT ci dice che oltre 150.000 bambini vengono sfruttati nel nostro paese, 12.000 tra i 7 ed i 10 anni, 66.000 tra gli 11 ed i 13 anni, 70.000 sono i quattordicenni. Di questi, il 59 % lavorano con i genitori o parenti, il 41% con altri. Facendo una media abbastanza attendibile, di questo 150.000, 15.000 ce li abbiamo noi in Sicilia. Se le percentuali di successo dell’obbligo a 18 anni devono essere veritiere ,questi bambini devono essere riportati dentro il sistema .E in particolare i quattordicenni esclusi dall’istruzione e soggetti al lavoro minorile.

    Questo obiettivo impone scelte precise per il reperimento delle risorse necessarie e una diversa distribuzione e qualificazione di quelle che attualmente costituiscono il bilancio dello stato ma anche quelli della regione e degli enti locali .Occorrono politiche sociali inclusive contro la povertà che in Sicilia ha tassi doppi della media nazionale sia per quella relativa sia per quella assoluta.Il reddito di cittadinanza ,azzerato dal governo Berlusconi, sarebbe senza dubbio uno degli strumenti di contrasto al lavoro minorile e quindi di sostegno, per una fascia di popolazione ,al diritto allo studio con successo.

    Il programma per la conoscenza, a partire dal sottotitolo, parla di “Scuola, formazione, università, ricerca: settori fondamentali per lo sviluppo del Paese e per la crescita personale e civile dei cittadini”. In Sicilia dove nonostante i problemi, la dispersione, gli abbandoni , etc, molti giovani hanno conseguito elevati livelli di istruzione secondaria e universitaria lo sviluppo non c’è stato. L’istruzione, la formazione e la ricerca non determinano automaticamente sviluppo. E infatti molti giovani , spesso i migliori, quelli più forti, più attrezzati, sono costretti ad andare all’estero , “si salvano”lasciando qui i più deboli e indebolendo un territorio che non trae vantaggio dalle loro potenzialità .

    La scelta di valore dell’obbligo a 18 anni va, quindi ,inserita nella più ampia iniziativa del sindacato per lo sviluppo del paese,la legalità, la liberazione del territorio dal condizionamento mafioso,il rilancio del sistema produttivo e del Mezzogiorno, che non è una palla al piede ma una risorsa complessiva a partire dai giovani e dal suo capitale umano altamente formato e qualificato. Ma è a partire dalla scuola dalla formazione e dalla ricerca che noi possiamo ricostruire il profilo sociale ed economico di questo paese che,nelle mutate condizioni,risponda ancora allo spirito di solidarietà e promozione della persona della nostra Costituzione."

  • 15:50

    Fernando D'Aniello dell'UDS (Unione degli Studenti)

    La nostra riflessione sulla questione dell’obbligo, parte da una semplice considerazione: l’innalzamento dell’obbligo scolastico sino a 18 anni diventa una priorità degli studenti e dei movimenti studenteschi solo se posto nell’ambito di una trasformazione radicale della scuola italiana; ecco perché non basta, non è sufficiente un’istanza di tipo egualitario, perché troppi studenti, oggi, non riescono a sentirsi bene, a capire il senso di restare a scuola sino ai 14 anni: perché mai dovrebbero battersi per un

    aumento di questa “sofferenza”.

    Occorre, dunque, non limitarsi ad un ragionamento “ordinamentale” che pure è importante, ma di chiedersi in quali scuole, in quali classi, a studiare cosa, intendiamo obbligare lo Stato a mandare ragazzi e ragazze sino ai 18 anni.

    Quindi, per noi, il nodo centrale diventa la necessità di costruire una scuola diversa, di qualità, e capace di confrontarsi con le tante nuove esigenze della modernità.

    Occorre quindi ragionare:

    - Su come far vivere una riflessione sul sapere e sui contenuti della nuova scuola nel paese;

    - Sull’articolazione didattica della scuola superiore;

    - Sulla definizione del biennio, dai 14 ai 16 anni, come segmento condiviso;

    - Sull’integrazione tra scuola secondaria e percorso precedente.

    Inoltre occorre tener presente una legittima ricerca di autonomia che i giovani richiedono a partire dai 16 anni: ecco perché è necessario pensare ad una particolare legislazione sul lavoro che tuteli i giovani dai 16 ai 18 anni, perché sia possibile effettuare alcune mansioni, alcuni lavori in un contesto chiaro e, ovviamente, tutelato.

  • 15:30

    Il prof. Augusto Marinelli docente in un territorio a rischio, sostiene che in una situazione come quella di Bagheria, ma anche in altri, il “lavoratore della Conoscenza” deve spesso trasformarsi in operatore sociale tout court. Ma in questo caso, chi fa il lavoratore della conoscenza? Non ci si stupisca, dunque, se il livello di competenza di ragazzi al termine della scuola dell’obbligo è spesso assai basso. L’elevamento dell’obbligo scolastico in questi territori è dunque una necessità, se si vuole che i giovani possano esercitare effettivamente i loro “diritti di cittadinanza”. Naturalmente vanno costruiti percorsi che non siano una mera riproposizione dell’itinerario tradizionale: grade opportunità può venire dalla individuazione di percorsi di formazione in reale alternanza scuola-lavoro, cioè in contesti lavorativi che stimolino il ritorno alla scuola coniugandolo “theoria” e “techne”.

    In quest’ottica diviene essenziale anche la prospettiva, per i giovani, di godere di un “salario di cittadinanza”.

  • 14:30

    Riprendono i lavori con Domenico Chiesa Presidente del Cidi: "Pensare una riforma che non coinvolga gli insegnanti, gli operatori della scuola è impensabile.E' bene allontananrsi da un'idea di rofrma per la quale il Ministro di turno passi alla storia solo producendo un cambiamento nella fase di snodo si può indurre un cambiamento su tutti i pezzi della storia fortemente intrecciati tr di loro. E' fondamentale lo snodo da i 16 e 19 anni se non c'è una riforma del biennio successivo alla scuola media questa rischia di essere una ripetizione della scuola elementare o un anticipo delle superiori. Infatti in questo momento la scuola di base deve fare uno sforzo enorme mentre la scuola superiore si slimita a cacciare via chi non ce la fa. Finora si è puntato molto sull'autonomia gestionale bisogna invece puntare alla'autonomia culturale. Come ripensare ai bisogni formativi tra i 13 e i 16 anni? Bisogna prevedere tre grandi funzioni per tutti: l'orientamento, completare la formazione di base, iniziare un percorso "indirizzato". Quale scuola superiore costruire? al prima ciclo deve seguire un ciclo quinquennale. Entrambe le alternative proposte(a 13 anni si seglie tutto oppure nn si sceglie niente) sono fortemente ideologizzate.

    Attenzione anche all'opzionalità che rientra nella logica del bricolage: il ragazzo sceglie l'indirizzo, gli adulti preparano i curricula.

    Fino ai 14 anni la scuola deve essere individualizzata non personalizzata, dve rispettare i bisogni formativi e tenere in conto la forte potenzialità dei ragazzi. Si può prevedere un biennio dopo la scuola dell'obbligo, con una scelta in entrata e una scelta in uscita, una scelta che non può essere irreversibile; l'orientamento deve accompagnare il ragazzo nella scelta fatta in un percorso che fino a 16 anni garantisce tutto. E' importante distendere il tempo per approfondire il curricula, per arrivare allo studio della storiografica tra i 16 e i 18 anni. L'ultimo anno delle superiori corrisponde a un momento di forte tensione, ad una assunzione di responsabilità e dovrebbe coincidere con la possibilità di sperimentare il lavoro, università. Puntare all'integrazione tra la scuola e la formazione professionale purchè i due sistemi siano su di un piano di parità: le competenze devono essere tradotte in validità professionali, le conoscenze diventano competenze che cambiano la vita. Sono contento del dibattito all'interno della Cgil e condivido il percorso tracciato, abbiamo un nemico da abbattere, tanti amici alcuni dei quali bisogna orientare. E infine un detto cinese: "E' troppo facile dimostrare che l'utile è utile, non altrettato dimostrare che l'inutile è utile"

  • 12:30

    La Dott.ssa Maria Gabriella Ricotta, in rappresentanza dell’Assessorato al Lavoro e alla Formazione professionale della Regione Sicilia, ringrazia a nome dell’Assessore per il valore della discussione che sarà sicuramente di arricchimento per la crescita della politica sulla Formazione Professionale. La famiglia, i docenti sono coinvolti in un progetto molto gravoso, e altamente meritorio mettere l’accento sull’esigenza dell’elevamento dell’obbligo scolastico. Con l’allungamento dei tempi formativi ci si deve soffermare sul ruolo dei formatori e quindi garantire la crescita della qualità dei docenti stessi. Bisogna garantire qualità e quantità della formazione

  • 12:00

    Ettore Artioli, vicepresidente di Confindustria porta i saluto della sua organizzazione, per la quale – ribadisce – l’attenzione al sistema formativo è parte integrante della strategia per il Mezzogiorno.

    Accennando al clima rigido che caratterizza il clima della giornata ricorda quante scuole della Sicilia si trovano ogni giorno con questo problema: le infrastrutture sono infatti un problema di base. E questo è il primo obiettivo: avere strutture scolastiche adeguate.

    Un secondo obiettivo è preparare figure adeguate al mercato del lavoro. Ricorda il rischio passato dai cantieri navali di Palermo quando si registrò una carenza di figure professionali come i saldatori. Ma allo stesso modo occorre una programmazione perché poi se no si continuano a riprodurre le stesse figure.

    Condivide l’idea dell’innalzamento dell’obbligo scolastico fino a un ciclo completo di 12 anni: costituisce un salto di qualità. Ritiene però che vadano previste delle uscite intermedie certificabili per chi non ce la fa. L’innalzamento dell’obbligo scolastico – dice – si pone sul terreno della competitività internazionale dove stanno entrando paesi nuovi (Cina, India) ai quali compete la produzione di massa mentre ai paesi già sviluppati compete il compito delle produzioni avanzate.

    Per questo occorre “prevedere il domani” e questo si può fare solo se si sviluppa l’impresa e se se si pensa che il successo dell’impresa non è solo arricchimento per l’imprenditore ma anche per ciò che c’è intorno, per la società. E lo sviluppo dell’impresa passa attraverso l’arricchimento culturale per il quale occorre prevedere tempi e modi.

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

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