I punti di debolezza del sistema scolastico italiano alla luce degli esiti della ricerca P.I.S.A. e degli obiettivi europei

  • 14:00

    Nelle conclusioni Marco Broccati Vice Segretario Nazionale FLC Cgil, sottolinea la delicatezza e l'importanza dei temi affrontati nel seminario di oggi. Egli afferma che bisogna pensare che il sistema deve "stare in Europa" e quindi la ricerca P.I.S.A., anche se presenta dei limiti, fa una misurazione che dobbimo tener presente nel proseguo dei nostri lavori. Il quadro è quello dell'Unione Europea, come è stato ben sottolineato dall'intervento di Pettenello e non si tratta più semplicemente del Mercato Comune di alcuni anni fa: il quadro ci fa avvicinare i vari Paesi. Gli obiettivi che Pettenello ha ben illustrato devono diventare i nostri obiettivi. Un esempio sull'importanza a rapportarci con l'Europa è la prossima indicazione che essa darà ai vari Paesi, affinchè legifichino in materia di diritti e doveri della ricerca, sul dottorato di ricerca. Per noi il quadro europeo è imprescindibile.

    Dobbiamo quindi, come CGIL, ragionare tra noi su come ci attestiamo, ad esempio, rispetto al collegamento tra formazione e mercato del lavoro: se abbiamo un mercato del lavoro sostanzialmente bloccato, con prospettive di un lungo precariato, come si può incentivare gli studenti a compiere determinate scelte di indirizzo degli studi. In un precedente seminario abbiamo sostenuto che vogliamo un sistema formativo inclusivo ma anche di qualità. Ci sono problemi che si possono risolvere solo a lungo termine, quali quelli legati al substrato sociale, per i quali ci può essere solo una lenta evoluzione, ma ci sono problemi che si possono risolvere anche in termini più brevi. Ne viene un esempio dalla Finlandia che ha puntato molto sulla professionalità dei docenti e sulla loro formazione, e questo richiede un intervento di tipo normativo. C'è il problema del collegamento con il mercato del lavoro, già citato.

    Il terzo ragionamento va fatto sulla relazione tra efficacia del sistema e strutturazione dei cicli formativi: abbiamo verificato che la maggior dispersione si verifica nei momenti di passaggio da un ciclo all'altro. Nella strutturazione dei cicli occorre poi riflettere sul problema dei saperi minimi, rispetto ad un sistema delle autonomie.

    La discussione di oggi ci mette di fronte a punti molto delicati che saranno oggetto di ulteriori riflessioni anche oltre la conferenza di programma.

  • 13:00

    Viene aperto lo spazio "Ne parliamo con...". I temi del dibattito vengono affrontati ora a tre voci da Attilio Oliva, Presidente dell'Associazione Treelle, Francesco Scrima Segretario Generale Cisl Scuola, e da Massimo Di Menna Segretario Generale Uil Scuola. A coordinare gli interventi viene chiamata Gabriella Giorgetti del Centro Nazionale FLC Cgil. Questo l'intervento di Francesco Scrima.

    "Innanzitutto ringrazio l’amico Panini e la FLC per l’invito rivoltomi a partecipare a quest’importante iniziativa; ritengo, infatti, che i sindacati della scuola devono condividere i principi su cui deve fondarsi una scuola di qualità.

    L’Italia è malata di esterofilia; nella scuola, poi, è molto difficile trasferire i modelli di altri Paesi.

    Per fortuna in Italia si è discusso poco dell’indagine PISA; negli USA, anni or sono, i docenti hanno finito per non insegnare più la propria materia, hanno sostituito al programma, le tecniche di risoluzione di quei quiz che regolarmente venivano somministrati.

    E’ importante chiederci quale modello di scuola vogliamo. E non possiamo che accogliere la proposta di qualità di Vertecchi che parte dalla necessità di rimuovere gli elementi negativi che ostacolano l’apprendimento degli studenti.

    Come fa un buon insegnante a restare tale - si domanda il Segretario della CISL Scuola - se deve spostare la propria attenzione dalla relazione educativa quotidiana con lo studente, ai quiz che verranno somministrati alla sua classe?

    Altre indagini europee ed internazionali, negli anni passati, hanno posto la scuola elementare italiana ai primi livelli rispetto agli altri Paesi. Come possono, in pochi anni quegli stessi studenti, diventare così negativi?

    L’Italia è sempre stata assente dal Consorzio PISA che prepara i test da somministrare ai giovani; così come non è secondario quanto un Paese investe nell’indagine.

    Occorre e lo ribadisco stare attenti, perché non è su questi parametri che si può costruire un vero processo di riforma della scuola.

    Su l’indagine PISA si è consumata un’offesa rispetto ai nostri insegnanti; queste analisi sono frutto di astrazione e di una scarsa conoscenza del sistema scolastico italiano.

    Occorre per il nostro Paese una riforma vera della scuola; in Italia ci si deve mettere in testa che riformare vuol dire modificare ciò che non funziona. Se non ci si orienterà in questa direzione non si andrà lontano. Ci deve poi essere una consapevolezza diffusa sul fatto che senza risorse, senza finanziamenti, non ci può essere riforma alcuna."

    Interviene ora Massimo Di Menna.Dice che sullo stato del nostro sistema di istruzione e sulle difficoltà è giusto e opportuno riflettere ma, forse, PISA viene troppo e troppo spesso strumentalizzata per evitare le problematiche poste dalle OO.SS.

    Innanzitutto il metodo: serve davvero il coinvolgimento delle parti sociali, i soggetti tutti che operano nel settore.

    Nel merito: serve una scuola per pensare, una scuola che dia ai ragazzi strumenti per pensare e una scuola che favorisca la “mobilità sociale”.

    Per questo servono più risorse finanziarie e bisogna agire sulla leva degli insegnanti, della formazione degli insegnanti.

    Gli elementi centrali da migliorare nel sistema sono due: la valutazione e l’autonomia scolastica.

    Due nodi centrali sia per il governo ma anche per le parti sociali. Ma senza le strumentalizzazioni che invece ricorrono da parte del MIUR.

    I problemi evidenziati dall’indagine PISA sono veri ma non devono indurre a modalità sbagliate per le risorse da distribuire, che devono essere date con il coinvolgimento di tutti i soggetti.

    E' la volta di Attilio Oliva. Il presidente di Tre Elle ha esorito dicendo che bisogna essere consapevoli che viviamo in un mondo in competizione dalla quale non possiamo chiamarci fuori, perché sarebbe perdente rinunciare a competere. Anche dal punto di vista scolastico. I paesi andati male nell’indagine PISA hanno avuto reazioni diverse, per lo più difensive: la Francia ne ha contestato l’obiettività, l’Italia l’ha semplicemente ignorata, la Germania ha fatto invece un acceso dibattito e ha provveduto anche a lente correzioni. Ma, che ci piaccia o no, PISA è l’unico strumento. Ed è sulla bocca di tutti in tutto il mondo. E’ perdente fermarsi a criticare PISA: se non è perfetto va migliorato. Ma è la nostra immagine nel mondo quello che pesa e pesa anche l’immagine della nostra scuola. Bisogna impedire che si cristallizzino opinioni negative sull’Italia e sulla nostra scuola.

    Siamo di fronte al paradosso di una spesa altissima per la scuola, a una spesa altissima per studente (unico parametro per valutare la spesa reale). L’Italia spende il 10 o il 20% in più della media europea per la scuola, e un terzo in meno per l’università. Il problema, come hanno dimostrato le analisi Ocse fatte ai tempi “insospettabili” di Berlinguer, sta nella pessima gestione del sistema educativo: un milione di persone buttae in trincea senza una formazione iniziale. Naturale che i migliori continuino a essere i vecchi insegnanti. Bisogna formare gli insegnanti e selezionarli in questa formazione, come fanno i finlandesi, i quali selezionano così tanto all’ìinizio da non aver più bisogno di valutazioni successive.

    Infine è decisiva l’organizzazione, Sono decisive le regole. Raddoppiare gli stprndi può anche essere giusto ma non sarà questo a migliorare la scuola. Il fatto è che non sta in piedi un sistema tutto regolato dal centro. Noi siamo passati da una scuola di leite a una scuola di massa conservando lo stesso modello organizzativo. E’ pazzesco!

    Bisogna dare autonomia alle scuole. La legge sull’autonomia non è implementata: i dirigenti scolastici hanno paura, gli insegnanti sono preoccupati. Ma dare la responsabilità alle scuole implica che qualcuno se la prenda: chi se non i dirigenti migliori e gli insegnanti migliori? Bisogna smontare il centralismo e dare spazio alle singole scuole. Le scuole in Finlandia sono dei Comuni e i Comuni ci tengono alle loro scuole. Se c’è un insegnante pazzo il Comune lo rimuove, non lo tiene lì come succede ora. Lo Stato deve avere solo una funzione quella della valutazione esterna. Occorre un atto di fiducia verso la società. Non siamo più alla fine dell’ottocento e tuitti erano analfabeti: allora forse uno stato centralista aveva senso. Bisogna dare le scuole alle comunità locali.

  • 12:40

    Si apre il dibattito ai contributi della platea, intervengono Bruno Moretto, Enzo Pellegrino , Silvana Pariolo.

  • 12:15

    Prende la parola Roberto Pettenello – Responsabile politiche comunitarie e formazione continua Dipartimento Formazione e Ricerca CGIL, sottolinea l’importanza del contenuto europeo per affrontare anche in Italia i problemi posti da PISA. La politica dell’U.E. non può incidere direttamente all’istruzione in base al trattato, anche se il compito di favorire la cooperazione tra stati diversi e la mobilità di giovani, studenti e operatori della formazione indirettamente ha favorito una politica europea più coesa.

    La svolta è avvenuta con la strategia di Lisbona del 2000, che mette al primo posto per il futuro dell’Europa la conoscenza, e la strategia dell’occupazione focalizzata sulle competenze dei lavoratori presenti e futuri, che ha fissato obiettivi comuni e risorse ingenti (25.000 milioni di vecchie lire per l’Italia nel 2000-2006) per migliorare la qualità e il ruolo della formazione.

    Gli Obiettivi quantitativi:

    - ridurre gli abbandoni scolastici prematuri ad una percentuale media non superiore al 10% (nel 2002 era al 20% per i giovani tra i 18 e i 24 anni);

    - aumentare il totale dei laureati in matematica, scienze e tecnologie almeno del 15%, diminuendo al contempo lo squilibrio tra i sessi (nel 2002 nei paesi dell'U.E. vi erano da due a quattro volte più uomini che donne nelle carriere scientifiche e tecnologiche);

    - portare almeno all'85% la percentuale della popolazione ventiduenne che abbia completato un ciclo di istruzione secondaria superiore (nel 2002 era al 78,8%, in Italia al 72,9%);

    - diminuire del 20% la percentuale dei quindicenni con scarse capacità di lettura (nel 2000 l'indagine PISA rilevava che il 17,2% dei quindicenni europei - in Italia il 18,9% - presentava cattivi risultati nelle competenze di lettura);

    - portare almeno al 12,5% la partecipazione della popolazione adulta in età lavorativa (dai 25 ai 64 anni) ad attività di istruzione e formazione, in una logica di apprendimento lungo tutto l'arco della vita (nel 2002 era all'8,5%, in Italia al 4,6%).

    Gli obiettivi qualitativi:

    - la trasparenza in tutta Europa del modo con cui si descrivono i titoli di studio, le conoscenze linguistiche, i percorsi di studio all’estero;

    - un sistema che consenta – tramite crediti – di trasferire conoscenze acquisite da un sistema all’altro;

    - un sistema che permetta di riconoscere le competenze acquisite sia nei percorsi formativi “formali” sia nelle esperienze di lavoro e di vita.

    Tutto questo comporta una grande sfida per il sindacato che deve rafforzare il lavoro in Europa con altre OO.SS. e con altri soggetti utilizzando la cornice comune della politica europea anche er capire meglio le soluzioni da dare ai problemi che PISA pone all’Italia e che deve pretendere ad ogni governo nazionale, regionale e locale e dal sindacato stesso che gli obiettivi quantitativi e qualitativi che l’U.E., si è data costituiscano la bussola delle politiche formative e per CGIL – CISL UIL della vertenzialità da sviluppare a tutti i livelli.

    Scarica materiali collegati alla relazione

  • 11:15

    Il prof.Pietro Lucisano e Giorgio Asquini dell'Università La Sapienza di Roma, presentano i risultati della ricerca P.I.S.A. 2003, voluta dall’OCSE sui ragazzi quindicenni, scelta questa che prescinde dal ciclo scolastico, diversificato tra Paese e Paese, in quanto si vuole un’analisi del cittadino, non dell’ordine di scuola.
    Il progetto è stata definito dal Consiglio dei Paese partecipanti, è stato realizzato dal Consorzio Internazionale e per l’Italia il lavoro è stato seguito dall’INVALSI.
    E’ stata innanzitutto presentata una illustrazione storica dei vari studi internazionali sull’argomento, evidenziando gli elementi positivi, ma anche i limiti delle metodologie adottate. In passato si confrontavano i curricula dei vari Paesi e si misuravano le differenze, lavorando con questionari, di insegnanti, di studenti, di scuola. I punteggi venivano misurati sulla base del modello Rasch.
    Il modello adottato da P.I.S.A. ha inserito un’articolazione diversa delle domande, che tiene conto anche della loro difficoltà. Avendo fissato la campionatura ai 15 anni, il limite è comunque che non si viene a conoscenza degli sviluppi.
    In particolare viene illustrato il risultato sulla mathematical literacy, cioè delle competenze matematiche, per il cui rilevamento sono state definite 85 domande, suddivise in quattro caratteristiche: spazio, cambiamento, quantità e incertezza, corrispondenti a geometria, algebra, aritmetica e statistica.
    I risultati complessivi per l’Italia sono fortemente negativi, in particolare sull’algebra. Uno dei risultati è che oltre il 30% degli studenti italiani sono sotto gli standard OCSE. Si registrano anche forti differenze tra Nord Est, Nord Ovest, Centro Sud e Isole, e il Nord Est ha i risultati migliori. Una analisi più approfondita ha segnalato anche una forte differenza tra tipo di scuola: licei, istituti tecnici e istituti professionali, dove gli ultimi non raggiungono il livello 6 e quasi il 60% dei ragazzi ha gravi problemi in matematica. Esistono eccezioni, ma la statistica dimostra la regola!
    La realtà è che la scuola media orienta i ragazzi più bravi verso i licei e i meno bravi verso gli istituti professionali. Quindi si rileva un’assenza di equità dell’offerta scolastica e il dato sulla varianza (tra scuole e entro le scuole) sta subendo un incremento tale che la forbice si va allargando sempre di più, accentuando di fatto lo stato di ineguaglianza (ovvero abbiamo un sistema duale di fatto). Si è registrata anche una forte differenza dei finanziamenti alle scuole, in quanto non sono completamente finanziate dallo Stato, ma molto peso ricade sui Comuni ed esiste in Italia una forte differenza tra Comuni ricchi e Comuni molto poveri. Andrebbe previsto un intervento politico di colmatura del divario. Analizzando e paragonando poi i risultati con il background culturale complessivo, con il PIL, con le risorse finanziarie, e – non ultimo – con i libri presenti delle case degli italiani, viene rilevato come il problema di questi risultati non sia degli insegnanti, degli studenti o dei programmi. Si tratta invece di un problema complessivo culturale dell’intero Paese, di una società che ha assoluta necessità di elevare il proprio standard culturale e le risorse da destinare al sistema scuola. E come tale va affrontato: l’OCSE non dà ricette semplici, ci mette davanti dei dati cui bisogna rispondere con radicale cambiamento anche di atteggiamento e mentalità.

    Scarica materiali

  • 10:45

    Nella sua introduzione, Gabriella Giorgetti, afferma che Pisa non è il metro unico e universale di valutazione dei sistemi scolastici. Ci sono limiti, riserve, rischi di semplificazione ,offre però un numero di informazioni importanti che si prestano ad essere lette su piani diversi: didattico, politico, istituzionale e scientifico; importante quindi anche ai fini della costruzione del nostro programma. Proprio per questo colpisce l’indifferenza (voluta?) del Miur, la mancanza di discussione nel nostro Paese, mentre negli altri Paesi europei gli esiti sono stati motivo di ampi dibattiti.

    In tutta Europa ci si interroga sui propri sistemi educativi,sugli obiettivi di Lisbona 2000, che sembrano allontanarsi sempre di più.

    Difficile diminuire il numero dei drop out e quindi accrescere numero diplomati.

    Assai complessa appare la discussione rispetto alla fascia 12-16 anni.

    I dati quantitativi non sono sufficienti:il problema è coniugare quantità e qualità. Equità e qualità. Ci sono infatti differenze che sono di natura sociale ed economica.

    Su selezione precoce e doppio canale,se ne conferma la negatività anche nella ricerca 2003.

    La ricerca Pisa dà sostegno alla nostra opposizione al progetto Moratti, però questo non può non farci vedere i problemi esistenti: un sistema scolastico che non garantisce uno standard comune e che ha un problema in più, la differenza Nord/Sud.

    La Finlandia è diventata di moda,ma più che per le buone pratiche interessa prendere in considerazione altri aspetti rilevanti per il nostro dibattito e frutto di scelte politiche certamente:

    • Non si boccia. La scuola si fa carico di ciascun ragazzo e gli assicura il successo formativo.

    • C’è autonomia professionale e scolastica. Assunzione di responsabilità da parte di insegnanti e studenti. Lo studente aiutato partecipa alla costruzione del proprio percorso formativo,scegliendo attività e discipline. E autonomia vera delle scuole sulle modalità per raggiungere gli obiettivi.

    • Esiste a tutti i livelli la cultura della valutazione e della rendicontazione. Le parti interessate si riuniscono,si confrontano e lavorano insieme. Vale anche per il “buon utilizzo” delle risorse.

    • La formazione dei docenti è una vera priorità. Fatta in modo capillare e soprattutto formando i docenti al senso della responsabilità.

    • Dialogo sociale vero.

    • Partecipazione degli adulti a percorsi formativi: costituisce un vero circolo virtuoso.

    A proposito di impegno e motivazione la ricerca dimostra che le aspettative alte sono premianti,ma sembra che la scuola italiana abbia abbassato il tiro. Occorre nella scuola un clima positivo. Basta solo il docente che insegna la disciplina?

    La scuola non è fattore di mobilità sociale e ha scarse connessioni con il mondo del lavoro: questo incide sulla credibilità della scuola (ricerca IARD).

    La questione docente è al centro del dibattito europeo per la mancanza di docenti qualificati e il continuo turn over.

    Quali proposte per far diventare questa professione attraente? Ecco le principali:

    • Formazione in ingresso universitaria, che unisca teoria e pratica

    • Tirocinio e sostegno alla professione soprattutto nei primi anni di insegnamento

    • Sviluppo della formazione continua

    • Sviluppo di carriera.

    A proposito della differenza di genere, poi, è un dato di fatto che in tutta Europa le ragazze vanno meglio a scuola. Per le ragazze ci sono alcune difficoltà in matematica,ma soprattutto esiste un problema di insicurezza, di autostima. Questi aspetti devono essere tenuti presenti perché poi hanno conseguenze sullo stesso futuro lavorativo.

    Da ultimo l’indagine testimonia come a livello di 12 - 16 anni i dati italiani crollano. Non è un problema da poco e certamente una riflessione va fatta rispetto alla discontinuità del nostro sistema scolastico.

  • 10:15

    Presenta il seminario Paolo Tomasi, Segretario Generale FLC Emilia Romagna, rivolgendo subito un saluto a tutti gli amici, le compagne ed i compagni presenti, in modo particolare ringrazia il presidente dell’associazione Treellle, Attilio Oliva, il Segretario Generale della CISL Scuola, Francesco Scrima ed il Segretario Generale della UIL Scuola, Massimo di Menna, che hanno accettato di intervenire in questo dibattito, oltre tutti coloro che contribuiranno con le relazioni programmate.

    Prima di avviare i lavori, si ricorda la figura di Renzo Imbeni, l’ex Sindaco di Bologna recentemente scomparso, “un compagno ed un amico che ho avuto la fortuna di conoscere”, dice Tomasi, “da molto tempo, sia nella sua responsabilità di segretario del PCI di Bologna in anni certamente non facili, sia come sindaco di Bologna, sedendo per un certo periodo in quello stesso consiglio comunale. La sua scomparsa lascia un vuoto non facile da colmare. Se dovessi segnalare, in poche parole, i punti di riferimento che hanno caratterizzato l’iniziativa politica di Renzo Imbeni lo farei indicando democrazia, partecipazione, dirittura morale nell’amministrazione della cosa pubblica, pace. Un uomo che non si è mai risparmiato, fino alla fine, un “politico di professione”, nel senso più alto e nobile che questo significa. A Renzo rivolgo il mio saluto, ricordandolo con grande rimpianto e inviando un commosso abbraccio a Rita, che conosco da lungo tempo, da anni iscritta al nostro sindacato.”

    Tornando al seminario, è bene ricordare che quello di oggi è una delle tante occasioni di dibattito in vista della conferenza di programma del 10 e 11 marzo. Una discussione che non coinvolge solo il gruppo dirigente del sindacato ma ha incrociato anche diversi interlocutori eccellenti, interessati a discutere con noi; ma ne vogliamo fare e lo stiamo facendo una discussione di massa, che coinvolga operatori del settore ma anche studenti, genitori, cittadini interessati alla salvaguardia di un sistema di istruzione pubblico, di qualità elevata, rispondente ai bisogni del nostro paese.

    Aumenti dei finanziamenti, autonomia, innalzamento dell’obbligo a 18 anni, qualità del lavoro e superamento del precariato, rilancio della ricerca pubblica ed aumento del numero dei laureati, educazione degli adulti. Ecco, solo per indicarne i titoli, i cardini sui quali pensiamo di costruire la nostra iniziativa sindacale, indicando agli interlocutori politici, che si candidano alla guida del paese, un materiale ricco su cui sia possibile impiantare l’iniziativa del governo. Sappiamo che la situazone economica non sarà facile, anche per i disastri dell’attuale governo nel campo del controllo della finanzia pubblica. Ma anche qui voglio dire che è importante, anzi decisivo investire in istruzione, in cultura, in ricerca.

    Oggi, in questo seminario, affrontiamo un tema abbastanza diverso da quello degli altri: I punti di debolezza del sistema scolastico italiano alla luce degli esiti della ricerca P.I.S.A. e degli obiettivi europei. E’ una prima riflessione, per quanto ne sappiamo la prima in Italia, che analizza i risultati del programma OCSE P.I.S.A (Programme for international Student assesment) 2003.

    L’indagine in generale, tende a verificare in che misura i giovani prossimi all’uscita dalla scuola dell’obbligo (almeno nella maggioranza dei paesi OCSE), abbiano acquisito alcune competenze giudicate essenziali per poter svolgere un ruolo di cittadini attivi e consapevoli.

    L’Italia, al contrario di quanto è successo nella stragrande maggioranza dei paesi europei , non ama discutere dei risultati non certo brillanti della propria popolazione studentesca. Questo era già avvenuto per PISA 2000, e si sta, in modo preoccupante, ripetendo per PISA 2003.

    Il risultato medio italiano è tutt’altro che rassicurante: con il punteggio complessivo di 466 punti sulla scala complessiva di competenza matematica, gli studenti italiani si collocano in modo significativo al di sotto della media del campione completo di tutti i paesi, che è di 500 punti, e presentano punteggio superiore solo a quello di 9 paesi, ossia nell’ordine: Grecia, Turchia, Serbia Montenegro, Uruguay, Tailandia, Messico, Indonesia, Tunisia, e Brasile!

    E’ vero che se noi analizziamo il campione geograficamente suddiviso, vediamo che questa media è combinata da risultati del nord italia, allineati con quelli dei paesi in testa alla graduatoria e dai risultati del centro-sud, molto peggiori. Ma questo non rende che ancora più preoccupante il quadro, di una struttura scolastica che rischia di non essere più un sistema scolastico nazionale, ma un sistema con differenziazioni sempre più accentuate.

    Scarica relazione integrale.

  • 09:30

    Affrontiamo oggi a Bologna, un tema abbastanza diverso da quello degli altri seminari. Parleremo infatti dei “Punti di debolezza del sistema scolastico italiano alla luce degli esiti della ricerca P.I.S.A. e degli obiettivi europei”. Un tema che ha, in qualche modo, una sua autonomia anche indipendentemente dal dibattito generale affrontato nei precedenti seminari, ma che ha soprattutto un rilievo di riflessione più propriamente seminariale. Si tratta infatti di materiale che può darci, data la natura dei dati che verranno portati, utili indicazioni su come procedere per rispondere alle questioni delicate che l’indagine solleva per il nostro paese.

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

LEGGI LA NOTIZIA