Conferenza di programma ... dal Frentani - Roma

  • 18:50

    La discussione dei gruppi di lavoro della Conferenza si è conclusa alle 18,30 circa. Complessivamente si sono registrati nei tre gruppi oltre 50 interventi. I tre gruppi sono attualmente riuniti in seduta plenaria ed ogni gruppo sta relazionando sul risultato dei lavori.

    Le conclusioni dei tre gruppi verrano pubblicate domani.

    Una particolare attenzione è stata dedicata alle compagne che hanno ricevuto una rosa bianca in omaggio.

  • 16:50

    Gruppo di lavoro su Conoscenza, sviluppo e lavoro

    Sono intervenuti, dopo l’introduzione di Dacrema, la relazione di Geraldi e le prime osservazioni di Rizzuti, Pelliccioni, Ranieri, Leoni, Pettenello, Treves, De Gregori, Polcaro, Verdi, Soster, Fulciniti, Stilo, Sinopoli, Manuela

    Diamo qui solo alcune osservazioni fatte sotto forma quasi di slogan.

    1) Non c’è sviluppo senza coesione sociale

    2) Non c’è sviluppo senza politiche pubbliche

    3) Sapere e saper fare devono essere obiettivi di tutti i percorsi formativi

    4) Il sapere deve essere anche fine non solo mezzo

    5) Alzare il livello della formazione e della ricerca sia le eccellenze che il livello medio

    6) Perseguire gli obiettivi di Lisbona, che si è posto come antitesi al credo liberista, è un primo passo indispensabile che purtroppo si sta cercando di non compiere

    7) La formazione deve stare anche in tutti i contratti e dar luogo a miglioramenti economici e di carriera

    8) Il turnover attuale impedisce la formazione

    9) No alla separazione dei percorsi formativi, si alla crescita della creatività

    10) Riprendersi la propria autonomia e difendere i diritti di tutti, ora

    11) Nell’Università di Firenze si è arrivati ad un precario per ogni lavoratore strutturato

    12) Attenzione al messaggio culturale di questo Governo su “libertà di fare quello che mi pare” nel mondo delle imprese

    13) Importanza della presenza del pubblico nel territorio anche come consulenza, consiglio, orientamento

    14) Importanza del welfare e della programmazione delle risorse a livello locale con concertazione

    15) Occorre investire soprattutto in qualità

    16) Di fronte all’emergenza precari occorre una strategia che parta da oggi, recuperando diritti, ridiscutendo l’organizzazione del lavoro e ridando la fiducia a chi non la ha più

  • 16:45

    Il dibattito

    Al gruppo "Conoscenza e beni comuni" hanno partecipato circa 40 persone e ne sono intervenute una ventina. La relazione di Surian ha introdotto una tematica molto ampia e le suggestioni venute dagli interventi sono state numerose e di segno molto diverso tra loro. Il concetto più ricorrente negli interventi è stato quello di spazio pubblico che nella situazione in cui viviamo è solo in parte garantito dallo stato, perché in realtà è uno spazio che va oltre lo stato stesso. E non potrebbe essere diversamente dato il peso delle multinazionali che spesso determinano le politiche di privatizzazione di beni comuni e di smantellamento del welfare.

    La conoscenza è un bene comune - su questo sono d'accordo tutti nel gruppo - e quindi va condivisa. Chi ha scoperto la pennicillina non è corso a brevettarla, ma ha chiesto maggiore spazio di ricerca. I brevetti che tendono a chiudere e monetizzare le conoscenze sono figlie di un'ideologia secondo la quale ha valore solo ciò che ha un prezzo. Si è anche parlato di scuola e di scuola pubblica, della riforma Moratti e della conoscenza in pillole delle sue indicazioni nazionali e della settorializzazione delle discipline nella sua ipotesi di formazione degli insegnanti.Condividere le conoscenze, creare comunicazione, diffondere idee, educare al cambiamento: ecco altre suggestioni del dibattito. Un' attenzione particolare è stata data al software libero che le scuole dovrebbero avere a disposizione per non essere vincolate e strozzate da limiti finanziari o sottoposte a protocolli obbligati dai colossi mondiali come Microsoft. Le opere dell'ingegno dovrebbero avere un riconoscimento sociale oltre che economico. Un altro invito è stato alla smitizzazione di istituzioni come l'Ocse, di mostri sacri come il Pisa, di concetti pesanti come capitale umano che finiscono per condizionare gli insegnanti nella valutazione. La valutazione non deve avvenire sulla scorta di miti, ma sulla sostanza dell'esperienza scolastica.

  • 16:10

    Dal gruppo di lavoro: CONOSCENZA E BENI COMUNI

    Prende la parola Alessio Surian, Ricercatore dell'Università di Padova.

    Il suo discorso, interessantissimo, verte sulla globalizzazione, sull'economia neoliberale nei settori fondamentali dell'educazione, formazione, ricerca. Su quel che occorre per contrastare l'offensiva neoliberale e le sfide della globalizzazione, quali sono i compiti del sindacato. Attraverso le politiche educative sta passando un modello di pensiero alla cui base è efficacia, efficienza, concorrenza. E' il modello educativo nord americano che sta conquistando anche l'Europa che marginalizza sempre più il welfare. Attraverso le politiche attuali, la democrazia viene sempre più subordinata al mercato: assistiamo a processi attuati da imprese multinazionali al fine di privatizzare e monopolizzare conoscenze collettive. Ed ecco perché è importante la strada intrapresa dal sindacato di rendere sempre più allargata la partecipazione, fondamento di una società democratica.

    E' allarmante che al Parlamento europeo stiano passando direttive come la Bolkestein (sulla privatizzazione dei beni comuni come l'acqua, l'energia, l'istruzione, la sanità...), anche in contrapposizione alla volontà dei Parlamenti locali.

    Altro punto preso in considerazione da Surian è quello della solidarietà, in stretta relazione con l'interculturalità, che viene solo vista come una necessità per aprire ulteriormente il mercato.

    Il sindacato dovrebbe sostenere politiche educative che interessino l’intera società e l’intero ciclo di vita dell’individuo e creare osservatori permanenti per il monitoraggio di modelli alternativi.

  • 16:00

    Dal Gruppo di Lavoro “CONOSCENZA e DIRITTI”.

    Questa la sintesi della relazione introduttiva di Benedetto Vertecchi: "E’ necessario capire la direzione in cui sta andando il nostro sistema formativo. E accanto a questo ci sono i diritti che si collegano alla questione.

    Negli anni Sessanta è iniziato un processo di scolarizzazione. Il nostro sistema scolastico, nonostante le contraddizioni, era un sistema solidale e la crescita e lo sviluppo di questo sistema ha dato i suoi frutti.

    Nel sistema internazionale ci sono due sistemi:

    - un sistema solidale: crescita complessiva e distribuita dei vantaggi ottenuti dalla scolarizzazione

    - sistema competitivo: crescita di alcuni gruppi, mentre altri si disgregano.

    Dalla ricerca Pisa risulta che il nostro sistema si sta avviando verso il tipo competitivo imperfetto: c’è dispersione nella fascia bassa, non abbiamo sviluppo dei gruppi alti. Praticamente il sistema competitivo imperfetto ha tutti i difetti sia del sistema competitivo sia del sistema solidale.

    Chiediamoci: è accettabile in Italia un modello competitivo? E’ coerente con il sistema di rispetto dei diritti? Proviamo a riflettere.

    Negli ultimi due secoli c’è stato un notevole sviluppo: per esempio i nostri ragazzi sono aumentati perfino fisicamente di circa 20 centimetri, le grandi malattie sono state combattute proprio attraverso la scuola. Questo processo è stato interrotto in Italia dalla cultura del fascismo. La parola d’ordine del fascismo era molto simile a quella della Moratti: poche scuole, ma buone.

    Il ciclo virtuoso in Italia è poi cominciato negli anni ’60 con la riforma della scuola media. La spinta verso la scuola secondaria ha trovato nel nostro Paese resistenza nelle classi più agiate. Su questo tema c’è stato un dibattito e una divisione: ci si è divisi tra conservatori e progressisti. Col tempo però questa contrapposizione si è di fatto molto stemperata, perché la domanda sociale di scolarizzazione è stata tanto forte da vincere le resistenze conservatrici.

    La “riformicchia” Moratti ha ricreato la contrapposizione che era stata superata dalla domanda sociale degli anni passati.

    Inoltre la scuola ha avuto una grande importanza anche sotto il profilo della formazione dell’unità nazionale. Oggi però lo scontro sociale sulla domanda di scolarizzazione della scuola superiore è una fellonia contro l’unità italiana. Se questa idea dovesse prendere piede non avremmo solo la disgregazione a livello formativo, ma anche a livello di unità nazionale.

    Negli stati Uniti succede che le fasce di età più giovani hanno una formazione culturale inferiore alle fasce di mezza età. Perché? Perché si stanno pagando i conti di una educazione centrata su una categoria di utilità. Se gli adulti sono considerati solo come consumatori, essi perdono la capacità di comprensione di un testo scritto. Il motivo è ovvio: per il consumatore è sempre meno utile saper leggere e scrivere. Tutto ciò sta avvenendo anche in Italia. Allo stesso tempo però si sta formando una popolazione di nuovi “mandarini” che si sta impossessando del Codice della scrittura.

    In queste condizioni vengono attaccati i diritti, i requisiti di cittadinanza. Un tempo si aveva un’idea di progresso, chi era privo di istruzione avvertiva la consapevolezza del suo stato. Oggi l’ignorante non si accorge di esserlo.

    Occorre invece creare di nuovo uno spazio di progresso, una scuola a 18 anni. Una scuola a 18 anni significa accettare che questa parte della vita sia dedicata all’acquisizione degli strumenti utili per un periodo vitale molto più lungo di quello del passato. Oggi infatti la speranza di vita è abbastanza elevata: questo ha un’implicazione educativa importante, questa trasformazione rende insana l’idea di voler forzare verso il basso le competenze della vita.

    Invece i meccanismi di condizionamento sociale con la legge Moratti si fanno sempre più forti. Le famiglie divengono sempre più importanti per il risultato della formazione. D’altra parte ci sarebbe bisogno di un sostegno sempre più valido per una formazione continua attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Oggi si va esattamente nella direzione opposta. Tutto questo comporta una contrasto generazionale che deve essere risolto, se esso non si compone la crescita culturale sarà lentissima, lacerata.

    Non credo siano possibili compromessi con l’attuale governo. Ma su un punto non dobbiamo insistere, una scuola fino a 18 anni che può portare al processo di risanamento della contraddizioni. Molto probabilmente se riusciamo in questo la riforma Moratti non esiste più.

    L’assemblea ha seguito con grande attenzione l’interessante relazione di Vertecchi. E’ seguito un appassionato dibattito che ha ripreso il tema del rapporto tra conoscenze e diritti inteso come premessa per “liberare la conoscenza dal liberismo”. La legge 53 tende all’esclusione. La proposta invece è quella di ristabilire solidarietà ed uguaglianza (Pino Striglioni). Il nostro sistema formativo deve rispondere alla richiesta dei giovani di una formazione più alta, di qualità; la questione dei diritti deve essere ridefinita alla luce della domanda sociale (Loredana Fraleone). Uno degli obiettivi è il diritto alla vita indipendente che ovviamente è legato ad un livello di conoscenza elevato; dobbiamo andare verso la società civile (Marianna Piccioli).

    Il dibattito è in corso.

  • 15:00

    Si riprende nel pomeriggio con i gruppi di lavoro. Presentiamo le schede di presentazione dei lavori:

    CONOSCENZA, SVILUPPO, LAVORO

    Siamo al cuore della strategia della CGIL.

    Il lavoro è il punto di vista a partire dal quale avanziamo le nostre proposte programmatiche, lo sviluppo e la sua qualità sociale sono l’obiettivo che perseguiamo, la conoscenza è la risorsa fondamentale e insieme il motore che lo alimenta.

    La CGIL per prima attraverso per prima ha denunciato il rischio di declino del paese ed è stata protagonista delle lotte contro il modello di sviluppo basato sulla riduzione dei costi e dei diritti.

    Il fallimento di questo progetto, attestato da tassi di crescita dell’economia fermi ormai da quattro anni, rivela la dimensione strutturale della crisi economica del paese, il cui modello di specializzazione produttiva è obsoleto, sempre più esposto alla concorrenza dei paesi emergenti.

    L’economia italiana è compressa in una sorta di morsa competitiva, perde sia sul terreno dell’innovazione nei confronti dei paesi sviluppati che hanno investito in formazione e ricerca, sia sul terreno dei bassi costi perchè le produzioni mature possono essere realizzate altrove a costi per noi irrealizzabili.

    Per andare oltre il declino non ci sono scorciatoie ma un'unica strada che passa da Lisbona, dove nel 2000 l’Unione Europea ha indicato gli obiettivi da raggiungere entro il 2010 per fare dell’economia europea la più dinamica e competitiva del mondo.

    Le scelte di Lisbona sono il risultato di un’Europa che vede arretrare la sua competitività, la sua capacità di crescita e di creare posti di lavoro (l’Italia si distingue in termini negativi) e che individua come unica soluzione possibile per tornare a crescere la qualità dello sviluppo.

    Per competere nel mondo globalizzato l’Europa ha deciso di puntare sulla formazione, la ricerca e l’innovazione attraverso tre obiettivi strategici: migliorare qualità e efficacia dell’istruzione, facilitare l’accesso a tutti, aprire i sistemi formativi al mondo.

    Di qui gli obiettivi concreti che ogni paese deve raggiungere entro il 2010: almeno il 30% di servizi educativi per l’infanzia (l’Italia è al 7-8%), almeno l’85% di giovani per fascia di età che raggiunge il diploma di secondaria superiore (l’Italia è a circa il 75%), un tasso di abbandono scolastico inferiore al 10%, almeno il 12,5% della popolazione attiva (tra 25 e 64 anni) di partecipazione all’ educazione degli adulti (l’Italia è al 4%), investimenti per la ricerca pari al 3% del PIL (l’Italia è all’1%).

    Il deficit formativo italiano è pesante, per reagire al declino non c’è tempo da perdere, si deve investire in modo prioritario nel capitale umano, innalzare i livelli di sapere di tutti quale motore fondamentale dello sviluppo.

    Occorrono risorse e riforme per rendere più inclusivo il nostro sistema formativo e per rilanciare la ricerca e l’innovazione: di questo parla il nostro programma.

    Con il gruppo di lavoro di oggi vogliamo ulteriormente approfondire le connessioni tra conoscenza e sviluppo.

    In particolare vogliamo affrontare la questione di come superare il circolo vizioso che si è creato tra economia depressa e richiesta di manodopera dequalificata e che ostacolo lo sviluppo di politiche centrate sulla formazione, la ricerca e l’innovazione.

    Occorre valutare, a questo proposito, quale ruolo possono svolgere la programmazione negoziata e i patti territoriali per lo sviluppo, a supporto dei quali le parti sociali e il coordinamento delle regioni stanno raggiungendo una significativa intesa.

    Si tratta di realizzare intese finalizzate a costruire la rete in grado far agire in modo coordinato università, centri di ricerca, imprese, sistema creditizio in modo far diventare il sapere innovazione e trasferimento tecnologico e da coniugare le conoscenze formali con i saperi informali e le vocazioni storiche di quel determinato territorio.

    Dobbiamo poi domandarci quale formazione serve per il lavoro nell’economia della conoscenza.

    La qualità dello sviluppo si basa sulla qualità del lavoro, le risorse strategiche per la competitività e lo sviluppo dipendono sempre più dalle conoscenze e competenze delle presone che lavorano, contano più le teste ben fatte dei lavoratori ben addestrati.

    Non servono quindi specializzazioni professionali precoci, rigide e settoriali, destinate ad una rapida obsolescenza per le difficoltà che incontrano ad essere trasferite e adattate al continuo mutare delle tecnologie e delle modalità della produzione.

    La formazione necessaria per il lavoro che cambia deve coniugare competenze professionali e formazione culturale di base alta per ottenere quelle capacità ormai considerate diffusamente indispensabili per ogni tipo di lavoro quali la flessibilità mentale, l’autonomia decisionale, la capacità di assunzione di responsabilità.

    In questo quadro appare evidente che la contrapposizione tra formazione per la cittadinanza e la formazione per il lavoro non ha più senso, così come la canalizzazione precoce e il modello duale introdotti dalla Legge 53 non rispondono alle esigenze di un paese avanzato.

    Quali sono allora le caratteristiche e i percorsi della formazione per il lavoro ? Questo è l’altro tema di approfondimento del gruppo di lavoro.

    Gruppo di lavoro “Conoscenza e diritti”.

    Il periodo di tempo che passa dalla nascita della nuova organizzazione è stato politicamente impegnativo, siamo stati in trincea contro la politica governativa sia dentro la Confederazione per i temi generali, sia – avendo a fianco la Confederazione – sui temi specifici di nostra competenza.Il nesso tra i due piani è apparso subito chiaro: la politica seguita dal Ministro Moratti è apparsa strettamente funzionale alla politica generale seguita dal Presidente del Consiglio. La nuova gerarchizzazione degli studi scolastici e tra i docenti; il ricorrente tentativo di rifondare uno stretto controllo centrale sull’intero sistema; la decurtazione dei finanziamenti all’Università e alla ricerca pubblica; l’opposizione alla creazione di uno spazio europeo della ricerca sono solo alcuni momenti della politica complessiva del Ministero che funzionali ad un modello di sviluppo fondato sul dumping sociale e su una ricollocazione dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro. Di qui, l’individuazione di uno dei temi della discussione nel rapporto tra conoscenza e diritti. Da un lato, la conoscenza come oggetto di diritto; alla luce del principio di eguaglianza sostanziale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana ed è noto che il più formidabile ostacolo a questo sviluppo è appunto la mancanza di conoscenza, della capacità di leggere gli avvenimenti che influiscono sulla propria condizione lavorativa e sulla propria condizione sociale.. Ma questa tradizionale dimensione individuale del diritto allo studio, all’acquisizione della conoscenza non è più sufficiente. Oggi, dobbiamo aggiungere un’altra dimensione – che non nega, ma integra la prima – se assumiamo come modello quello della società della conoscenza, allora la diffusione di massa dei saperi critici è interesse della società nella sua interezza.

    LA CONOSCENZA COME BENE COMUNE

    I beni comuni costituiscono uno strumento essenziale della solidarietà sociale, per la redistribuzione delle ricchezze sociali, per l’esercizio dei diritti di cittadinanza.

    E’ l’essenzialità e l’insostituibilità per la vita e per il vivere insieme di beni come l’acqua, l’aria, la terra, le foreste, ma anche pace, giustizia, conoscenza, istruzione, salute, che identificano i beni comuni.

    C’è però, a livello mondiale, una forte offensiva per trasformare questi beni in merci da sottoporre a regole di mercato:

    • Gli accordi GATS (accordo generale sul commercio nei servizi) si pongono l’obiettivo di estendere ai mercati molti servizi fra cui l’istruzione

    • La Direttiva Bolkenstein, in discussione a livello europeo, apre alla concorrenza e alla privatizzazione istruzione e sanità

    • Le leggi Moratti nella scuola, nell’università e nella ricerca si muovono dentro questa logica di mercato

    Il modello sociale europeo e la nostra Costituzione difendono la conoscenza come bene universale che può riequilibrare le differenze sociali. Per questo noi ci battiamo per politiche inclusive che investano nel bene comune della conoscenza e rivendichiamo l’esclusione dell’istruzione da ogni processo di mercificazione che deriva da politiche neoliberiste, causa di disuguaglianze economiche e sociali.

    Saremo a Bruxelles il 19 marzo a manifestare insieme alle altre forze sociali, per l’Europa sociale e per il ritiro della Direttiva Bolkenstein.

  • 13:00

    Fulvio Fammoni, della Segreteria Nazionale della Cgil, ringrazia tutti per il percorso straordinario per qualità, quantità e numero di partecipanti.Il ringraziamento è quello della Cgil tutta, sottolinea.

    C’è un’affermazione comune sulla libertà di ricerca e formazione ma questo ha senso in un sistema democratico.

    Le politiche di oggi vanno in direzioni opposte: tende a modello di società culturalmente subordinato, divisa, senza diritti e quindi senza democrazia. Da questo fatto discende la scarsa considerazione di tutto il lavoro intellettuale, la visione di professioni individuali e non cooperanti.

    La Cgil vuole un nuovo modello di sviluppo con programmi alternativi (non semplici correzioni): “è una scelta perché per noi i programmi sono prioritari,- afferma - ma anche un obbligo verso il movimento che ha svolto e continua a svolgere un’azione di contrasto. La Legge 53 va cancellata, ma contestualmente diciamo che cosa mettere al suo posto. La nostra proposta non è conclusiva, esaustiva, ma è completa. L’Europa dice che la formazione è un fattore di inclusione, che un anno in più di formazione è PIL che cresce, ci chiede di arrivare all’80% di formazione, ci chiede più diplomati e più laureati. Il Governo va in direzione opposta. Anche il decreto sulla competitività ignora questi problemi, non si occupa sul serio della vera innovazione, non investe in qualità, continua a considerare la formazione solo un costo. La disoccupazione cala perché meno gente cerca lavoro per scoramento. Il Governo vuole continuare così solo perché vuole continuare a governare. Nei nostri settori quindi si usa il precariato che oltre tutto è un ricatto all’autonomia; impone gerarchizzazione e controllo politico. Si attacca la contrattazione: questo è un problema di tutta la Confederazione.

    Il Governo dice che non ci si deve rassegnare al declino. Ma allora bisogna fare qualcosa. Si dice: ricerca per lo sviluppo che non può essere solo crescita, ruolo del privato, ma questo ancora non c’è. Invece, nell’immediato occorre un investimento forte dallo Stato, riporre al centro le Università e gli Enti, dare certezze che non si facciano delocalizzazioni.

    Le resistenze hanno impedito che si andasse ancora più avanti in negativo.

    La nostra proposta è una delle poche complete. Tutto è traducibile in una futura legislazione. Ascolteremo la politica, la Cisl e la Uil. Abbiamo delle idee, abbiamo una idealità.

  • 11:40

    Apre il dibattito Sergio Sorella, segretario regionale Flc Molise, che interviene sul problema dell'università della regione, il cui sviluppo non può essere disgiunto dal contesto territoriale e dalle politiche attive del lavoro. Si è soffermato poi sui problemi della formazione professionale e dell'Ifts che vanno ulteriormente approfonditi. Ha richiamato infine l'emergenza delle strutture scolastiche del Molise: su 92 scuole 15 sono dei container.

    Subito dopo prende la parola Nina Daita dell'ufficio H della Cgil che si è soffermata sull'integrazione scolastica delle persone con disabilità. Il diritto all'istruzione per i disabili ha cambiato la storia di queste paese e oggi ci troviamo a dover ricorrere ai tribunali per ottenere gli insegnanti di sostegno. E' merito della Cgil, ha concluso Daita, se tra i progetti Moratti non sono rientrate le classi differenziali.

    Alessandro Pazzaglia, segretario regionale Flc Toscana, ha ripercorso il lavoro preparatorio a questa conferenza definendolo un momento di crescita e di autovalutazione molto importante per il sindacato. Non solo nel territorio sono stati creati luoghi di incontro tra soggetti diversi e questo ha aiutato il sindacato a costruire i propri tratti identitari. Nel merito dei contenuti ha ricordato come sia molto sentito il problema del precariato e come il sindacato venga, nelle discussioni, richiamato alla vertenzialità.

    Daniela Fabrini, segretaria della Flc di Pisa, ha esordito denunciando l'attenzione, anche economica, che il ministro riserva alle strutture private a scapito della scuola pubblica. Una deriva che è stata contrastata dal movimento che in questi anni si è sviluppato nelle scuole. Ha sottolineato l'importanza che la proposta programmatica venga fatta vivere tra la gente e nella categoria rilanciando la vertenzialità su tutti gli aspetti che riguardano il personale della scuola, dell'università, della ricerca.

    Per il Cidi ha preso la parola Domenico Chiesa che ha condiviso l'idea di costruire una prospettiva per rilanciare la scuola. L'importante è che questo progetto venga saldato con il fare scuola concreto. Bisogna intercettare la scuola per evitare che la legge 53 venga metabolizzata. Ha denunciato il peso della politica sulla cultura che negli ultimi anni è soffocante e ha prodotti i risultati che conosciamo delle Indicazioni nazionali. Per il rilancio della scuola è fondamentale il ruolo degli insegnanti e quindi la loro formazione. Ha ribadito la centralità dell'istruzione che non è riducibile al mercato e che va evitata la confusione tra scuola e formazione professionale.

    Angela Nava per il CGD si è soffermata sui danni culturali che due anni di Moratti hanno indotto sui comportamenti e sul familismo ideologico che viene alimentato. C'è un clima di sfiducia nella scuola pubblica e nella sua capacità propositiva, così ci troviamo di fronte a individui atomizzati che analizzano i propri bisogni e chiedono alla scuola di assecondarli. E intanto i giornali ci parlano delle crisi degli adolescenti tra famiglie inadempienti e scuole inadempienti che si rimpallano le responsabilità. E' importante - ha concluso - che il sindacato lavori anche sugli aspetti culturali rilanciando la partecipazione.

    Per Legambiente ha preso la parola Vittorio Cogliati Dezza che ha parlato dell'importante esperienza del Tavolo "Fermiamo la Moratti". La conoscenza è un bene comune che ha bisogno di investimenti sociali, non solo quindi finanziari. La riforma Moratti sta incidendo sull'immaginario collettivo e sulla percezione di sé degli insegnanti. La scuola pubblica si sta degradando con il rischio di rendere più difficile la ripresa. Ci troviamo di fronte a un generale impoverimento culturale anche perché il nostro è un territorio complessivamente culturalmente povero. La ripresa passa anche attraverso la disponibilità degli insegnanti a modificare il proprio lavoro.

    Attilio Stajano dell'università di Bologna ha esordito affermando che dobbiamo pensare a un orizzonte programmatico di 20-30 anni, non ci si può illudere di risolvere i problemi in tempi brevi. Ha richiamato l'importanza di un maggiore rapporto tra istruzione e attività produttive, ancora molto assenti nella nostra riflessione. Il privato non investe in ricerca perché il nostro settore produttivo, fatto di piccole e medie imprese, non può permetterselo e bisogna sapere che la competitività si fa solo sulla qualità.

    Silvana Paruolo della Cgil è intervenuta sul rischio di mercificazione dell'istruzione; e sulla necessità di creare sinergie tra i vari Sistemi di istruzione e formazione, nel quadro di un Sistema di apprendimento per tutto l'arco della vita (LLL) - ancora tutto da creare - volto a rendere (per tutti) accesssibile un vero diritto di LLL (life long learning ).

    Paolo Tomasi, segretario regionale FLC Emilia Romagna, ricorda che il programma della conoscenza è certamente una risposta interna al nostro settore, che segna in modo positivo la costruzione della FLC. Ma questa proposta non riguarda solo il nostro mondo, ma è una proposta che offriamo al paese per rispondere a quello che abbiamo definito, e non da oggi, almeno come CGIL, “declino del nostro paese”.
    Riprende la questione dell’obbligo a 18 anni, come punto centrale della nostra proposta. Ma se è così, occorre ripensare a tutta la questione del diritto allo studio, se non vogliamo che questo si trasformi in ulteriori divisioni nel paese.
    E questo pone con forza la questione delle risorse: si anche in questa fase di conti pubblici al collasso, per le scelte dell’attuale governo, vale la pena investire nel settore della conoscenza.
    Ci saranno anche sacche di spreco, che vanno eliminate, ma con i tagli generalizzati, non si produce un miglioramento della qualità della spesa pubblica. Penso in particolare all’Università, dove una scelta di questo genere rischia di rafforzare le componenti baronali e parassitarie.
    L’intervento si conclude sottolineando la gravissima situazione della ricerca pubblica italiana: taglio dei fondi, blocco delle assunzioni, controllo politico degli enti, con nomine di presidenti di chiara affiliazione politica, strutture gerarchiche sempre più pesanti, stanno mettendo il settore in una condizione che per riprendersi ci vorranno anni di duro e faticoso lavoro!

    Luciano Corradini dell'Unione Cattolica Insegnanti Italiani si è chiesto quale sia la strategia più utile per riportare la strada su una strada migliore. Ha sconsigliato le sbandate, preferendo un percorso più soft. Ha ricordato che la scuola deve trasmettere valori, in un rapporto tra generazioni. Fondamentali i comportamenti e la responsabilità delle persone per ampliare la democrazia e la partecipazione e dare gambe al cambiamento. L'invito è di calarsi nella realtà e ampliare il consenso tra le persone che credono nella scuola.

    Simonetta Fasoli, vicepresidente di Proteo Fare Sapere, ha esordito ricordando che la conoscenza è un bene comune tra i più necessari, anche se non è legato alla sopravvivenza fisica. Si è soffermata sulla circolarità virtuosa tra saperi e diritti, in quanto il sapere dà diritto di cittadinanza. Ha concluso sottolineando l'importanza dell'intreccio tra questioni di natura sindacale e professionale da cui il rapporto interessante che si è andato sviluppando tra sindacato e associazioni in un percorso di lungo periodo fatto di responsabilità condivise.

  • 11:00

    Prende la parola Marco Broccati, vicesegretario della Flc Cgil.

    Aprendo la sua relazione Marco Broccati ha ricordato il lungo e ricco percorso di discussione che negli ultimi mesi, a partire dal 19 ottobre scorso, ha impegnato la Confederazione e la Flc per costruire un programma. Questo percorso è stato arricchito dai 10 seminari tematici, da discussioni all’interno del gruppo dirigente, da incontri con le forze politiche nazionali e locali. Un percorso che ci vede oggi più ricchi, ma che non è ancora completamente compiuto. Perché un programma? Perché le politiche del centro-destra su istruzione, formazione e ricerca non sono emendabili e vanno abrogate. Ma la Cgil non intende solo opporsi, bensì fornire un’alternativa credibile e praticabile, offrire una speranza di cambiamento che non è un libro dei sogni ma le linee di una possibile agenda di governo.

    Broccati ha poi tentato di presentare una sintesi – in verità molto complessa – di questi mesi di discussione sviscerandone i temi più ricorrenti e i punti chiave.

    Uno dei punti di partenza è stato il riferimento all’Europa e alla strategia di Lisbona, quest’ultima condivisa in pieno dal sindacato perché ha lanciato l’obiettivo di costruire entro il 2010 nel nostro continente la più solida economia della conoscenza del paese. In realtà questa strategia si afferma con difficoltà e spesso è contraddetta non solo dalle politiche di singoli governi, ma anche da iniziative della stessa Unione, come la direttiva Bolkenstein che mercifica di fatto l’istruzione.

    A Lisbona ha trovato conferma una premessa di valore che sta molto a cuore del sindacato e cioè la centralità del sistema pubblico e il suo ruolo come garante di inclusività e di un’offerta che abbia i tratti del diritto universale di cittadinanza. Sul ruolo del pubblico è in atto uno scontro fortissimo con il governo attuale che lavora alla demolizione di questo sistema a favore di una società atomizzata e senza diritti, di una democrazia fragile in cui ciascuno negozia, se può, il proprio destino. La sostenibilità e la stessa esistenza del sistema pubblico – ha però avvertito Broccati – è strettamente connessa alla sua qualità. E su questo punto c’è ancora molto fare, sapendo che il liberismo ideologico imperante tenta di far scadere la qualità del settore pubblico.

    Solo il settore pubblico come regolatore e fornitore di indirizzi dei sistemi di istruzione e ricerca può assicurarne la loro utilità sociale la quale a sua volta ha bisogno di valutazione, programmazione e autonomia.

    La relazione si è poi soffermata su una serie di tematiche che qui per brevità solo accenniamo.

    Il decentramento, perché è nel territorio che avviene l’incontro tra domanda e offerta di istruzione, formazione e ricerca nel quadro della cooperazione tra soggetti e istituzioni a vari livelli. L’integrazione dei sistemi di istruzione, formazione e ricerca che permetta la progettazione di una continuità dei diversi percorsi, delle didattiche, delle linee di ricerca. Per rispondere a una domanda formativa lungo tutto l’arco della vita è necessario costruire un rapporto positivo con le politiche generali e con il mercato del lavoro. Un rapporto che si è andato indebolendo anche perché ci troviamo di fronte a un’economia bloccata che non consente mobilità sociale né impulso alla ricerca. Il nostro paese è debole sulle risorse umane e finanziarie. Gli standard europei si raggiungono con le regole e i soldi, con politiche industriali di accompagnamento. Un piano coraggioso di investimenti in risorse umane significa abbandonare le politiche di ricorso al precariato. Qualità vuol dire anche dare a chi opera nell’istruzione e nella ricerca le condizioni per un lavoro che va considerato uno degli snodi decisivi della società.

    Nella sua complessa relazione Broccati ha poi affrontato i temi del diritto alla studio, della centralità dei processi di apprendimento, dell’equilibrio dei poteri nelle istituzioni scolastiche, universitarie e di ricerca, della democrazia e della partecipazione, delle responsabilità individuali e collettive…

    Infine ha citato alcuni temi sui quali una proposta compiuta va ancora costruita: l’assetto dei cicli dalla materna all’università, il sistema di valutazione, la formazione professionale, la formazione dei docenti, il rapporto istruzione mercato del lavoro, l’identità del sistema di ricerca.

    Scarica la relazione integrale.

  • 10:40

    Apre i lavori Rita Candeloro della segreteria nazionale della Flc Cgil ringraziando tutta l’organizzazione per lo sforzo e il lavoro di questi mesi che hanno reso possibile l’appuntamento di oggi.

    Candeloro, tra gli applausi della platea, ha salutato il ritorno a casa di Giuliana Sgrena augurandole un rapido ritorno al suo lavoro, un lavoro, quello dell’informazione oggi sempre più difficile soprattutto nei teatri di guerra. E a questo punto il pensiero è corso a Nicola Calipari e al suo gesto. Siamo vicini al dolore della sua famiglia ha detto Candeloro e ci uniamo a coloro che chiedono chiarezza su quanto accaduto.

    Candeloro ha concluso il suo breve intervento spiegando che siamo su un percorso e la giornata di oggi è una tappa che si incaricherà di una prima sintesi della discussione di questi mesi.

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

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