"Autonomia/Autonomie: le scuole nella società della conoscenza" - Prima giornata
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17:00
Conclude i lavori della giornata Carmine Gissi, sindaco di San Ferdinando di Puglia e responsabile istruzione dell'Anci.
"L’idea che voglio comunicare nel mio intervento è che il rapporto tra EE.LL e sistema formativo, fra città e scuola non sia un confine da difendere ma una frontiera da conquistare. I cambiamenti normativi (legge Bassanini, legge 112/1990, T.U. 267, riforma del titolo V della costituzione ecc),che ci sono stati negli ultimi anni consegnano a scuola e comuni un ruolo importante. Le novità, non solo normative ma anche sociali e la grave crisi economica del paese ci hanno costretti a stare insieme, a fare rete. Basta pensare al ciclo integrato dell’acqua e dei rifiuti, alle politiche di sviluppo locale, alle società di multiservizi, ecc. Senza questi rapporti interistituzionali non si governano più le città.
Il limite che oggi enti locali e scuola devono valicare è quello di porsi non più e non già solo come più efficaci ed efficienti terminali amministrativi, ma come principali attori della definizione delle politiche locali dentro il sistema territorio. E’ quindi necessario che questi due soggetti che si sono finora concepiti reciprocamente come un circolo chiuso ed autoreferenziale superino questo limite. Non è più possibile, da un lato, che il comune si possa fare carico di tutto e, dall’altro la scuola si ponga come terminale finale di tutto quanto serve per garantire una adeguata offerta formativa.
Non ci sono più risorse per stare dentro questa prospettiva.
La finanziaria del 2006, ultima di una serie di interventi che hanno mortificato le politiche locali, se dovesse confermare i tagli che sono stati anticipati, lascerebbe ad un comune come il mio, che ha 15.000 abitanti, solo 200.000 euro per trasferimenti dello stato per interventi in materia di diritto allo studio (mensa, integrazione disabili, ecc) e politiche sociali.
A partire da questa crisi va rovesciato il punto di vista dei soggetti che stanno dentro il territorio. Un modello di servizio che sia funzionale alle autonomie lo dobbiamo pensare insieme. Il terreno dell’autonomia è tuttora in gran parte inesplorato, questo percorso lo dobbiamo fare insieme sperimentando e magari facendo anche degli errori.
Le Anci e le associazione regionali si stanno organizzando sul piano della vertenzialità nei confronti del governo su :
edilizia scolastica
sicurezza dei 41.000 edifici scolastici del nostro paese.
Concludo con due ultime considerazioni:
la prima riguarda il fatto che il rapporto tra ente locale e scuola nel territorio costitusce un banco di prova di collaborazione ad iniziare dalla forma con cui esse si strutturano (intese, accordi di programma, convenzioni, ecc..)
la seconda riguarda la consapevolezza che l’offerta formativa di base, l’istruzione superiore, le azioni di orientamento, il raccordo tra le politiche formative e del lavoro necessitano non solo di una trasmissione di spere teorici ma anche e soprattutto da una circolazione delle esperienze.
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16:30
La comunicazione di Leopoldo Ceraulo , dell'Esecutivo Nazionale dei Dirigenti Scolastici della FLC Cgil, propone un ragionamento “dal basso”, dal punto di vista di un Dirigente Scolastico che vive e lavora a Palermo, nella periferia estrema del sistema.
"Nella riflessione che oggi facciamo sullo stato di attuazione dell’autonomia scolastica, non posso prescindere dal ricordo di quanto ci è stato più volte affermato durante i corsi di formazione che come Dirigente Scolastico abbiamo sostenuto negli anni trascorsi. In quei corsi “i professorini universitari” hanno più volte rimarcato come la parola Autonomia fosse strettamente correlata al mondo della produzione e come una forte riconversione del sistema di formazione dei D.S. poteva salvare dalla stasi incombente.
Oggi, a distanza di otto anni, possiamo tracciare un primo bilancio su quali sono state le trasformazioni effettive del sistema scuola: la mia impressione è che i risultati siano meno brillanti di quanto ci si aspettava e senz’altro al di sotto delle possibilità che quella Riforma prospettava.
C’era da aspettarsi una forte resistenza da parte degli organismi di governo dell’Amministrazione Scolastica Centrale e Periferica.
C’era da aspettarsi anche un ritardo nella riforma degli Organismi Collegiali.
Non era invece chiaro, almeno non nelle prime fasi dell’Autonomia, l’approdo cui stiamo giungendo in questi ultimi tempi. Perché quello che si sta verificando in questa ultima fase consiste in una riforma del Sistema Scolastico che con le parole dell’Autonomia punta a modificare tutto il sistema muovendo solo dal “centro”. Scegliere, come ha fatto il ministro Moratti, di riformare tutto, segnala la sua totale sfiducia nei confronti dell’autonomia decisionale dei soggetti protagonisti. Con le parole dell’Autonomia si è scelto un neocentralismo di sapore antico!
Tornano in mente certe elaborazioni contenute nella pubblicistica di Confindustria nelle quali si affermava la convinzione che l’autonomia avrebbe rilanciato il sistema in termini di competitività. In questo modo si è finito per solleticare alcuni aspetti deteriori del nostro agire quotidiano. Non si è modificato realmente il rapporto con il territorio, né si è superato il senso di solitudine che caratterizzava molte istituzioni scolastiche.
Nell’Autonomia c’è anche una riscrittura positiva del concetto di territorio.
Soprattutto nel rapporto con le tante periferie si può provare a generare innovazione e modificare radicalmente l’agire quotidiano. In particolare, comincia ad essere fondamentale liberarsi dalla “paura del vicino”, precondizione per avviare un dialogo con tutte le altre Istituzioni Scolastiche."
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16:00
Pino Patroncini, della FLC Cgil Nazionale, affronta il tema dell'autonoma didatica e professionale come aspetto della cooperazione dentro la scuola e sottolinea come le autonomie servono ad autorganizzarsi per affrontare i problemi.
"Ma se si risolvono in pura organizzazione fine a se stessa a che servono?
La nostra autonomia si è più ripiegata su aspetti organizzativi che su aspetti didattici. L’autonomia scolastica dovrebbe servire a rispondere a bisogni educativi. A rispondervi in un certo modo privilegiando la geometria variabile del tutto, piuttosto che la creazione di strumenti o di segmenti del sistema ad hoc, soluzione che è privilegiata invece dai sistemi centralismi.
Ma questo non succede neppure in paesi come l’Inghilterra che hanno una grande tradizione di autonomia. Perché una volta data l’autonomia si vogliono controllare le spese.Mentre al contrario paesi centralisti come la Francia hanno molti strumenti didattici predisposti dal centro ma con conseguenze spesso non piacevoli
Da noi la Moratti non ha mai parlato contro l’autonomia, ma l’autonomia che aveva in mente era essenzialmente quella amministrativa dove il parametro di riferimento non era l’efficacia didattica del tutto ma il rapporto costo-benefici. Vista dalle scuole questo ha significato più che autonomia arte di arrangiarsi. Ma se sul piano amministrativo i nostri governanti guardano molto all’Inghilterra, sul piano didattico guardano molto alla Francia e hanno voluto dare disposizioni in tal senso predisponendo loro gli strumenti anziché lasciarli elaborare alle scuole(tutor, percorsi ecc.)
Anche da noi tuttavia l’autonomia si è avvitata più sull’autonomia organizzativa che su quella didattica. Bisogna capire perché ciò è avvenuto quali fattori interni vi hanno giocato. Nel dibattito sul programma abbiamo messo sotto esame per esempio la figura del dirigente scolastico chiedendoci se non vi sia sto in ciò un eccesso di verticalità nel modello. Il passaggio dalle funzioni obiettivo a quelle strumentali è stato un passo in favore di un’autonomia più cooperativa.
Persino la Moratti stessa in negativo è stata istruttiva: non può funzionare un curricolo troppo particolareggiato che crea aggiuntività, ripetitività, e nuovi individualismi. Il movimento stesso è stato istruttivo più di mille corsi di aggiornamento: sono i pensieri forti e gli obiettivi forti che creano consapevolezza e obiettivi, non le procedure. Avere fini forti è dunque decisivo per l’autonomia: non dimentichiamoci che noi della CGIL non dall’autonomia eravamo partiti, ma dalla sperimentazione , che in se conteneva uno strumento, l’autonomia dagli ordinamenti, e un fine l’innovazione.
C’è dunque prima di tutto una politicità da cui non si può prescindere. Un milione di lavoratori della scuola, 8 milioni di studenti, 16 milioni di genitori, fanno 25 milioni di cittadini:una nazione di dimensioni medie. E una nazione non si amministra, una nazione si governa: questo è il consiglio che darei a chi si candida a governare al posto di Berlusconi."
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15:30
La relazione introduttiva è affidata a Fabrizio Dacrema, coordinatore Formazione e Ricerca della Cgil,il quale ricorda che per riprogettare il paese la CGIL propone una forte valorizzazione dei corpi intermedi, la promozione di processi di cambiamento basati sulla partecipazione sociale, il coinvolgimento dei soggetti interessati, il consenso attivo.
Il modello di democrazia partecipata che la CGIL persegue implica un ruolo forte dei soggetti della rappresentanza sociale per battere la cultura della rassegnazione, della corporativizzazione, della disgregazione sociale e per affermare la centralità del lavoro e dei suoi diritti.
Questo modello è radicalmente alternativo al modello di democrazia plebiscitaria del governo che nega il ruolo del sindacato e delle rappresentanze sociali, attacca le autonomie funzionali e locali.
Il modello di democrazia partecipata è anche volto a superare i limiti del riformismo e della mancanza di consenso sufficiente a realizzare le riforme.
Per queste ragioni nel programma della conoscenza abbiamo scelto di non partire da nuove riforme ordinamentali complessive, ma di innalzare l’obbligo scolastico e di promuovere processi di cambiamento in cui le scuole e i territori siano protagonisti dei processi di trasformazione.
Per questo è fondamentale valorizzare e investire nell’autonomia scolastica come motore del cambiamento, attraverso la diffusione delle migliori pratiche e la costante verifica dei risultati.
Occorre, quindi, dare pieno sviluppo all’autonomia scolastica, nel quadro della riforma del Titolo V e delle nuove prerogative delle regioni e degli enti locali per promuovere le reti territoriali della partecipazione, la rete del scuole per potenziare l’efficienza e l’efficacia dell’offerta formativa, le reti della conoscenza tra università, ricerca, mondo del lavoro e autonomie locali finalizzate al riposizionamento qualitativo della nostra economia.
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15:00
SECONDA SESSIONE "FARE RETE: COOPERARE"
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15:00
Introducendo la seconda sessione dei lavori, Gianni Garofalo, Segretario Nazionale FLC Cgil, auspica che ci sia una politica della ricerca a tutti i livelli di governo: nazionale, comunitario, regionale e degli Enti Locali.
Queste politiche di governo costituiscono un pericolo per le autonomie delle singole Istituzioni Autonome. C’è il rischio di realizzare un “diverso centralismo” o un “neocentralismo”, un modello certamente diverso dal modello di centralismo burocratico tradizionale, ma sempre centralismo.
Risulta pertanto necessario che le singole autonomie ”facciano sistema”, coordinandosi tra loro al fine di poter essere interlocutori forti del potere politico
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13:30
Pausa
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12:30
Conclude i lavori della prima sessione Isetta Barsanti Mauceri, Avvocato di Firenze, che apre con una breve disamina relativamente agli argomenti oggetto della sua comunicazione: che cosa è l’autonomia scolastica e in che cosa consiste la competenza legislativa delle Regioni alla luce del nuovo riparto delle competenze legislative, tra Stato e Regione in materia di istruzione e alla luce delle modifiche del titolo V della Costituzione.
Per quanto riguarda l’autonomia, come è noto, la storia parte da lontano; in verità, infatti, già con i Decreti Delegati si poteva parlare di autonomia delle istituzioni scolastiche, ma è con l’art. 21 della L..n. 59/1997 e con il DPR 275/99 che l’autonomia scolastica diventa principio fondamentale sia intesa nella funzione progettuale di ogni singola scuola che di attuazione degli obiettivi generali e degli standards di qualità di livello nazionale. A seguito delle modifiche al Titolo V della Costituzione, introdotte con la Legge Costituzionale n. 3 del 2001, l’autonomia è stata costituzionalizzata tanto da rappresentare un limite sia per la legislazione statale che per quella regionale.
L’art. 117, così come novellato, distingue, infatti, una competenza legislativa dello Stato, esclusiva dello Stato, con riferimento alle norme generali dell’Istruzione, una competenza legislativa delle Regioni, concorrente, con riferimento ai principi fondamentali dettati dallo Stato, “salvo l’autonomia delle istituzioni scolastiche”.
La Corte Costituzionale, quindi, a seguito di tutte queste innovazioni, anche in assenza di organi statali che si occupassero di interpretare le norme sopra citate, ha dovuto spesso pronunciarsi in merito a ricorsi proposti in via principale da varie regioni ed ha cercato di chiarire alcuni aspetti; primo fra tutti quello che l’autonomia scolastica è garantita al livello costituzionale e che la potestà legislativa delle Regioni è concorrente a quella statale e deve rispettare i principi fondamentali dettati dal legislatore statale.
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12:00
Nella sua comunicazione Paola Conti, DSGA di Firenze, sottolinea come la mancata attuazione dell’autonomia scolastica, come percepita da ogni soggetto che opera nel contesto scolastico, trova riscontro nella delibera della Corte dei Conti n. 19/04/G del 15 settembre 2004. Tale delibera, che illustra inoltre il quadro sistematico complessivo della riorganizzazione dell’amministrazione periferica nonché il percorso normativo che ha definito l’autonomia scolastica, rileva con puntualità le vischiosità procedurali che hanno fortemente impedito alle istituzioni scolastiche la capacità di spendersi in decisioni e scelte autonome quali espressioni peculiari del concetto di autonomia stessa.
In particolare, nei confronti della riorganizzazione dell’amministrazione periferica, nel primo periodo di attuazione dell’autonomia scolastica, la Corte rileva:
1) L’abbandono dei CIS, strutture di supporto di nuova concezione che dovevano fornire assistenza alle istituzioni.
2) La riproposizione, con l’istituzione dei CSA, di strutture analoghe ai Provveditorati, fortemente burocratizzate e di consistente peso.
3) La stessa struttura degli USR che, per certi aspetti, riproduce su scala ridotta un modello simile a quello di un dipartimento ministeriale.
La Corte, quindi, individua quali cause della forte limitazione alla piena realizzazione dell’autonomia:
a) lentezze e ritardi nel procedimento di assegnazione dei fondi e incertezze sull’entità effettiva delle risorse che mortificano la progettazione e concorrono in termini significativi alla formazione dell’avanzo dell’amministrazione;
b) tagli alle assegnazioni, interventi ad esercizio finanziario avviato;
c) perdurare dei vincoli di destinazione nell’attribuzione delle risorse;
d) mancata assegnazione della dotazione perequativa;
e) disallineamento temporale tra anno scolastico ed esercizio finanziario.
La Corte, infine, criticando la mancata realizzazione di un sistema di valutazione e di controlli di gestione sull’attività delle istituzioni scolastiche, auspica “un rapporto con le diverse autonomie, da attivare, attraverso la ricerca di strumenti compatibili ad evitare invasioni nella specifica area riservata dei diversi soggetti”.
Il riferimento esplicito ai tentativi di invasione operati nei confronti delle autonomie trova riscontro in altra relazione della Corte stessa, relativa all’attività CONSIP per la gestione centralizzata degli acquisti, che, testualmente, rileva come: “già dal punto di vista semantico la parola centralizzazione collide con il lungo processo federalistico e di decentramento avviato dagli inizi degli anni ‘90”.
In tale contesto, così ben definito dalla Corte dei Conti, le istituzioni scolastiche devono esprimere la loro autonomia.
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11:45
Ad Omer Bonezzi, Presidente Proteo Fare Sapere Nazionale, è affidata la relazione introduttiva dei lavori di questo Convegno.
Il suo intervento inizia esprimendo il desiderio di “togliersi un sassolino dalla scarpa”: il termine “resistere”, usato presso il convegno di Paestum e definito da molti improprio e inadeguato, ha invece prodotto degli effetti positivi. Applicando la “resistenza”, infatti, è stato possibile far muro contro la riforma Moratti. In particolare, l’autonomia scolastica ha dato l’opportunità alle scuole di reinterpretare e respingere una riforma lesiva e regressiva, quale quella Moratti.
Per ragionare sull’autonomia, però, c’è bisogno di una sorta di cronistoria del termine in questione. Si inizia a parlare di autonomia nel lontano 1984 durante un dibattito in un convegno CGIL, nel quale si esplica la necessità di liberare quell’energia che il verticismo negava alle scuole. Nel 1995, poi, l’autonomia si trova alla base del documento “L’educazione è un tesoro”: bisogna cominciare a pensare a una scuola non verticale ma capace di interagire col territorio e che i cittadini sentano propria. Successivamente, emergono versione del termine autonomia assolutamente irricevibili, come quella di monade o quella legata a un’azienda di tipo industriale che dà servizi e non diritti. La scuola, però, non è né una monade né può essere legata all’idea di azienda. Infine, passando per la legge Bassanini, si giunge all’autonomia come repubblica della conoscenza, luogo di garanzia dei diritti, luogo di conoscenza non mercificata.
Per ragionare sull’autonomia, inoltre, bisogna pensare allo stato attuale della conoscenza. Le discipline, nate con gli stati nazionali e divise per settori, oggi diventano relative. Accanto alle classiche discipline epistemologiche, oggi vivono delle nuove discipline ermeneutiche. La conoscenza, allora, si relativizza e si lega al fine. Risulta evidente, così, come un modello di scuola verticale oggi non sia più possibile, se si vuole garantire la conoscenza.
Quindi, oggi l’autonomia esiste e viene applicata, è un’autonomia identitaria, e deve necessariamente confrontarsi con le altre autonomie. Dunque, bisogna ragionare sulla sua rilevanza strategica. In tal senso, l’autogoverno didattico e professionale, nato con l’autonomia scolastica, secondo Bonezzi, conducono gli insegnati alla costruzione di una nuova identità più responsabile. Il POF, in particolare, è fondamentale nell’ottica di una scuola in movimento che si relazioni con il territorio, così come lo è l’autovalutazione di istituto. A questo proposito, sottolineando la negatività dell’indagine censimentaria Invalsi, Bonezzi rimarca la propensione del Sindacato e di Proteo Fare Sapere verso una valutazione “amica delle scuole”. Allo stesso modo, Bonezzi sottolinea la necessità di costruire una nuova democrazia civile, basata sui “corpi intermedi”, ovvero la scuola, le associazioni, i sindacati e gli enti locali, quali strumenti di partecipazione e uguaglianza.
Evidenzia, infine, come, nonostante le condizioni non favorevoli portate dall’attuale governo, la dimensione contrattuale sia positiva, sostenendo l’autonomia scolastica e sviluppando il potere delle RSU, potenziale strumento di democrazia.
Ore 12.00