L’educazione per l’intero arco della vita: un’emergenza nazionale
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13:40
Fulvio Fammoni, segretario nazionale della CGIL conclude i nostri lavori.
Il suo intervento parte dalla piena condivisione delle questioni sollevate nei vari interventi. Fulvio ringrazia Maria Brigida per la sua relazione veramente pensata e approfondita e che può rappresentare un ottimo viatico verso quello che è il progetto che abbiamo costruito insieme. Ora possiamo concludere il percorso con l’iniziativa Confederale a sostegno delle nostre proposte.
E’ importante sottolineare il ruolo della conoscenzanella società come strumento per la cittadinanza, lo sviluppo e i diritti. Come un nuovo criterio di servizi universali. La conoscenza garantisce una partecipazione consapevole. Nel nostro paese questo è uno dei punti di maggior ritardo rispetto all’Europa. Ma anche l’Europa ha trascurato un po’ il suo ruolo di stimolo: mentre si è pronunciata più volte, negli ultimi mesi, rispetto alle scelte del governo italiano in campo economico,nulla ha rilevato sui ritardi, pesanti, rispetto agli obiettivi di Lisbona.
E’ necessario un approccio critico alla comunicazione. E allora sulle liberalizzazioni dobbiamo fare un passo in più: intervenire sul sistema dell’informazione nel nostro paese è un obiettivo non rinviabile.
E’ forse anche necessaria una riflessione tra giovani e violenza. La scuola può fare molto, ma è una discussione che deve coinvolgere tutto il paese.
Questo Ministro è molto bravo nell’immagine, ma un po’ più debole sul da farsi. Nella finanziaria ci sono norme importanti (obbligo, Eda ecc.) ma bisogna completare il disegno altrimenti restano lettera morta.
Va definitivamente chiusa la discussione sul fatto che gli adulti e gli anziani sono un peso e un costo. Nella discussione sulle pensione e sull’allungamento volontario dell’età pensionabilepossiamo pensare ad introdurre incentivi anche nel campo formativo.
La nostra proposta deve rispondere alle esigenze dei più deboli, di coloro che non percepiscono il bisogno formativo. Bisogna intervenire per eliminare gli ostacoli economici ericonoscere i percorsi formativi. Per dare sostanza alnostro progetto dobbiamo partire dalle attuali esperienze, dalle buone prassi, dal territorio e dai sistemi di rete funzionanti. Si deve intervenire sulle certificazioni e sull’accreditamento. Bisogna fare una buona legge sull’apprendimento permanente per tutto l’arco della vita. Non è tutto da inventare, si può partire dall’Accordo del 2000.
Che l’emergenza alfabetica sia un’emergenza nazionale è poco noto. Sta anche noi renderla visibile, “drammatizzarla”, per dare impulso alla legge. Chi può farlo se non la CGIL?
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13:30
Attilio Paparazzo, della segreteria FLC Cgil di Milano, riporta la riccae antica esperienza lombarda. Ma proprio partendo da ciò, memore delle esperienze passate, mette in guardia dal dare per scontato che il momento favorevole possa dare frutti altrettanto buoni. Esprime preoccupazione per le conseguenze del blocco di iniziative rappresentato dai 5 anni di governo di centro destra che hanno bloccato le speranze aperte dalle iniziative legislative che si erano viste nel 1997 e nel 2000 con l’istituzione dei CTP.Denuncia una mancanza della formazione. Esprime il bisogno di una definizione dei luoghi dell’educazione permanente, consapevole che la scuola non ne affronta che il 10%, mentre il resto si fa fuori. Infine esprime preoccupazione sul modo in cui il governatore Formigoni in regione e il sindaco Moratti a Milano intendono affrontare il problema dalle sue parti: bisogna scegliere tra le forme di finanziamento sapendo che vaucher e piano non vanno d’accordo.
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13:15
Riconoscendosi nella relazione introduttiva di Maria Brigida, Enrico Panini, segretario generale FLC Cgil, si è soffermato solo su tre punti.
1) La contaminazione. L’iniziativa odierna sta dentro un percorso di più mesi che ha interessato Cgil Confederale, Spi, Auser e FLC Cgil con la finalità di riprendere il ragionamento dell’educazione degli adulti dentro il ragionamento dell’educazione continua e riproporre la centralità del tema della formazione. Le modalità con cui avanzare la proposta della Legge sull’educazione degli adulti, se come promotori di un disegno di legge di iniziativa popolare o quale altro sostegno, saranno decise in un momento successivo. La contaminazione è un grande valore, non solo per le relazioni che si instaurano, ma perché consente di fotografare la complessità del problema e non un solo aspetto.
2) La scuola. Andrea Canevaro in un suo libro diceva che intervenire sui disabili consente di assumere un punto di vista attraverso cui si riesce ad osservare meglio anche tutti gli altri. Assumere un punto di vista per riguardare l’insieme della formazione in un territorio consente di mettere a fuoco l’intervento della scuola formale. La non risolta formazione degli adulti fa incappare nei nodi non risolti della scuola formale. Guardare dal punto di vista dell’educazione degli adulti non è una parzialità, ma un punto di vista generale.
3) Due concetti chiave. Il nostro Paese è in una situazione di rischio. Solo il 20% della popolazione adulta possiede le competenze che la mettono in grado di partecipare consapevolmente alla vita sociale produttiva politica, ad essere cittadini del mondo. La base produttiva non è sufficiente alla crescita del Paese. La situazione è drammatica.
Chi ci spiega che investire nella formazione costa, dovrebbe anche spiegarci quanto costa la non formazione. Questo determina il ritardo nella crescita del Paese. Ma c’è anche il diritto degli individui all’esercizio di una cittadinanza attiva. E c’è un’emergenza democratica. Conoscere, sapere, governare i propri percorsi sono condizioni essenziali per essere protagonisti. C’è un collegamento tra esclusione e basso titolo di studio. E dietro tutto c’è anche un bello in sé, nei percorsi formativi.
Insomma, la fruizione e il coinvolgimento nella formazione che riguardano giovani ed anziani con lo sviluppo produttivo del nostro paese si coniugano insieme.
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13:05
Francesco Loseto, docente CTP di Bari.
In Puglia non esiste una normativa regionale che si occupi di educazione permanente degli adulti. Estremamente limitato è il numero degli interventi degli enti locali nell'attuare misure di accompagnamento atte a favorire il ritorno a scuola degli adulti. Non esiste una rete direlazioni stabili con la formazione professionale regionale. L'accesso ai POR è ancora fortemente limitata per i CTP.
Le buone pratiche ed i centri di eccellenza esistono, ma tali esperienze non vengono assunte a modello.
Sporadici sono gli interventi finalizzati alla formazione e l’aggiornamento dei docenti.
Positiva è la capacità progettuale dimostrata dalle scuole per attingere al Fondo sociale europeo.
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12:55
La Dott.ssa Carmela Lo Giudice Sergi, dell’Unione Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo, si congratula per la scelta del titolo del convegno che non parla solo all’educazione degli adulti ma all’educazione per tutta la vita.
E’ un problema che coinvolge il sociale. La dispersione scolastica è un grave problema della scuola ma è anche un problema sociale.
Cita in particolare il caso di Catania e lo stretto legame tra analfabetismo e malavita.
La scuola non funziona, non assolve al suo compito. Bisogna aiutarla, in particolare la scuola media.
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12:45
Paolo Sciclone di EdaForum, Forum Permanente per l’Educazione degli Adulti.
Il Forum nasce nell’ottobre del 2000, subito dopo l’Accordo Stato-Regioni-Autonomie Locali del 2 marzo del 2000, che costituisce l’unico tentativo in Italia di costruire un sistema integratodi educazione degli adulti. In questi sette anni purtroppo non siamo riusciti a convincere i nostri governanti dell’importanza di disciplinare il sistema.
L’EdA è infatti un complesso diversificato in cui operano una pluralità di attorinon coordinati né integrati fra di loro e senza un disegno strategico. Insomma l’EdA in Italia ha una configurazione che è priva di coordinamento e di funzionalità oltre a presentare gravi carenze di orientamento e di informazione/sollecitazione.
A questo, va sicuramente aggiunto quanto intervenuto sul versante normativo dalla modifica del titolo V° fino alle recenti disposizioni della Finanziaria.
Riteniamo che, l’Italia quindi se vuole perseguire l’obiettivo del diritto/ dovere alla conoscenza e del suo sviluppo, deve rivedere analiticamente le politiche nazionali e regionali e costruire un sistema di sistemi che metta in sinergia tutte le competenze ai vari livelli territoriali.
Per questo, abbiamo promosso, nello scorso mese di luglio, una riunione a Roma invitando tutti i soggetti che si occupano di educazione degli adulti per avviare un percorso volto alla elaborazione di una legge quadro.
Il Tavolo EdA, quindi,dopo una pluralità di contatti e di incontri, è arrivato alla elaborazione di una proposta di legge che presenta le seguenti caratteristiche:
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si deve fondare sulle esperienze maturate in questi anni, le buone pratiche;
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deve coinvolgere tutti i soggetti che si occupano di adulti;
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deve essere centrata sul territorio;
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deve prevedere, nelle fasi nelle fasi della programmazione, gestione e controllo, la presenza delle persone che entrano in formazione;
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deve assicurare la costruzione di un sistema integrato territoriale, partecipato, flessibile;
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deve individuare un quadro di riferimento nazionale, sia del sistema di riconoscimento dei crediti che della uniforme definizione delle figure professionali;
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deve essere assistita da una campagna di sensibilizzazione e promozione continua.
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12:30
Pasquale Calaminici, docente CTP Torino, concentra il suo intervento sull'esperienza di "Polis".
"Il sindacato piemontese ha sostenuto in questi anni una sperimentazione promossa dai CTP della regione in relazione al problema, drammaticamente urgente per il nostro paese, di elevare il livello di istruzione e formazione della popolazione adulta: si tratta della sperimentazione che va sotto il nome di “progetto Polis”.
Non è qui possibile, per ovvi motivi di tempo, illustrare tutte le caratteristiche di questo progetto. Mi limiterò a richiamare, brevemente, gli aspetti e quindi le ragioni che hanno indotto il sindacato piemontese a sostenere tale sperimentazione (che sono anche state esposte in un documento unitario CGIL CISL UIL):
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in primo luogo l’obiettivo generale, che è quello di costruire un modello di intervento in grado di favorire la partecipazione di un vasto pubblico di adulti.
È un dato ormai ampiamente acquisito che portare un gran numero di adulti in formazione, specie se si tratta di persone con bassi livelli di cultura e di scolarità, significa affrontare uno dei nodi più problematici dell’EdA: la scarsa propensione di questo pubblico ad esprimere una domanda di formazione.
Pertanto, un modello strutturale che si voglia ipotizzare per il rientro in formazione della popolazione adulta, e in particolare finalizzato all’acquisizione di un titolo di studio di secondo grado, non può limitarsi a rispondere alle esigenze già maturate (non può bastare, ad esempio, mettere a catalogo dei corsi); la grande sfida da affrontare, il vero obiettivo da assumere, è far emergere la domanda di formazione (e quindi attivare strategie più complesse, da individuare sperimentando modalità operative nuove rispetto a quelle tradizionalmente praticate (ad esempio rispetto a quelle praticate nei percorsi serali degli istituti secondari di secondo grado).
È nella enunciazione di questa ottica complessiva (nella quale viene posto al centro il problema della domanda debole) che il sindacato piemontese individua nella sperimentazione Polis una “naturale evoluzione” dell’esperienza delle 150 ore.
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il secondo ordine di questioni che hanno indotto il sindacato piemontese a prestare una particolare attenzione alla sperimentazione Polis riguarda proprio la strategia, le specifiche modalità operative poste in atto per il raggiungimento dell’obiettivo generale prima richiamato.
Tali modalità discendono direttamente da indicazioni contenute nell’Accordo Stato-Regioni del 2 marzo 2000 (che rimane, ad oggi, il documento istituzionale che presenta il disegno più compiuto, e in larga parte condivisibile, del costruendo sistema di educazione degli adulti nel nostro paese):
- “prevedere il riconoscimento di crediti ai fini della riduzione del percorso scolastico”, riconoscendo “competenze acquisite anche all’esterno delle agenzie specializzate nell’istruzione e nella formazione”
- puntare su una offerta formativa integrata, basata su una programmazione territoriale.
Sono indicazioni che implicano:
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il passaggio da un’ottica basata sulla centralità delle istituzioni formative ad una basata sulla centralità dei soggetti adulti in formazione;
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puntare sul “radicamento nella realtà territoriale delle iniziative di istruzione e formazione in età adulta” (OM 455/97).
In sintonia con queste indicazioni, la sperimentazione Polis adotta un modello di intervento che presenta le seguenti caratteristiche:
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Stretto rapporto col territorio
Un CTP, operando come “luogo di lettura dei bisogni, di progettazione, di concertazione, di attivazione e di governo delle iniziative di istruzione e formazione in età adulta” (O.M. 455/97) avvia rapporti con le altre agenzie formative presenti nel proprio territorio (in primo luogo i Centri di Formazione Professionale e gli Istituti di Istruzione Secondaria Superiore), con le Amministrazioni locali (Assessorati alla formazione e alla cultura di Comuni e Comunità Montane, Centri per l’impiego), con i rappresentanti del mondo del lavoro e dell’associazionismo. Qui si decide il pubblico di riferimento, l’indirizzo scolastico da proporre, il tipo di orientamento professionale (eventuale qualifica), etc.Questo lavoro di concertazione porta, di norma, alla sottoscrizione di una Convenzione nella quale vengono formalizzati gli impegni che i soggetti partecipanti assumono per realizzare e dare continuità al progetto.
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Flessibilità e lavoro in rete
Per favorire la partecipazione del vasto e vario pubblico adulto presente in un determinato territorio, l’offerta non può essere rigida e definita una volta per tutte, deve poter variare e riadattarsi rapidamente, non ripetersi sempre uguale. La stesura dei progetti, fatta in rapporto alle esigenze delle singole realtà territoriali non avviene, però, in modo disarticolato, perché essa ha alla base “linee generali condivise” a livello regionale, frutto di un vero e proprio lavoro in Rete.
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Innovazione strutturale e metodologica
Viene previsto un percorso più breve rispetto a quello degli attuali modelli praticati dai serali della secondaria superiore per il semplice motivo che una durata di cinque anni mal si concilia con gli impegni e i vincoli imposti dalla vita adulta.La relativa riduzione della durata del percorso trova un ulteriore elemento di legittimità nella assunzione di un modello didattico di tipo “processuale”, orientato a far assumere ai soggetti in formazione responsabilità diretta nella gestione del proprio processo di apprendimento. Da qui la particolare importanza attribuita alla fase di accoglienza. L’educazione degli adulti è vista prima di tutto come orientamento e sviluppo di capacità di autodirezione.
L’essenziale è mettere gli adulti in condizione di compiere delle scelte, di avere consapevolezza dei propri bisogni formativi, delle proprie difficoltà/capacità di apprendimento, di trovare forti motivazioni (soprattutto implicite), di sapersi orientare. I percorsi formativi, anche discretamente lunghi, sono necessari perché questa consapevolezza non si raggiunge in quattro e quattr’otto. Non si può però cadere nell’estremo opposto: i percorsi molto lunghi di per sé non garantiscono il raggiungimento di queirisultati.
Quindi il problema non è solo quello di ridurre i tempi. Si tratta di sperimentare modalità che ricerchino un equilibrio tra tempi modi e finalità.
Le principali innovazioni introdotte nella struttura dei percorsi(tre segmenti; sbocchi intermedi; modularità; crediti) sono sinteticamente rappresentate nello schema descrittivo dei percorsi formativi, in allegato.
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Integrazione come elemento strutturale
Una delle condizioni che possono favorire la partecipazione del pubblico adulto è la realizzazione di un intreccio tra competenze direttamente spendibili nel lavoro e nella vita quotidiana e competenze inerenti ambiti più generali del sapere. Ciò postula la necessità di un solido rapporto tra scuola e formazione professionale. Perciò il modello assume l’integrazione come elemento strutturale dei percorsi.
I tre segmenti descritti nello schema allegato vanno a costituire (indicativamente)un monte ore complessivo tra le 1800 e le 2000. L’ipotesi di base è che in questo monte ore vi sia, tra formazione e istruzione, un rapporto di 1 a 3. Conseguentemente anche il peso finanziario dei progetti è distribuito, in linea di massima, in tale proporzione.
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La sperimentazione dei percorsi Polis, dove è stata realizzata, ha mostrato di saper sollecitare una domanda di formazione che, pur corrispondendo a bisogni reali, rimaneva allo stato di latenza (dati sulla sperimentazione). Da essa si possono ricavare indicazioni concrete circa le potenzialità e l’efficacia di una iniziativa che assume come elemento strutturale il raccordo tra sistemi diversi e con la realtà territoriale.
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Un’ultima considerazione riguarda il ruolo del Sindacato. …."
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12:10
“Literacy , life skills, inclusione e occupabilità”* è il tema trattato da Paolo Serreri, vice presidente Proteo Fare Sapere.
"Cominciamo con una domanda: l’analfabetismo degli adulti rappresenta oggi per l’Italia un’ emergenza sociale? La risposta è no, se per analfabetismo intendiamo quello strumentale del saper leggere, scrivere e far di conto. Se invece ci riferiamo al livello di alfabetizzazione funzionale ( Literacy ovvero letteratismo) ed all’ampia gamma degli alfabeti necessari per il lavoro, per l’esercizio della cittadinanza attiva e per una vita da vivere nellapienezza dei diritti della personain una società complessa e postmoderna come la nostra, la risposta è sì. I risultati della recente indagine “ALL” ( Adult Literacy and Life skills) portano dati inequivocabili e solidi argomenti a giustificazione ed a sostegnodi questo giudizio di emergenza sociale. Nell’economia di questeo breve intervento mi limiterò a “isolare”, per meglio metterlo a fuoco, un tema in qualche modo più circoscritto e più circoscrivibile, ossia il rapporto competenze alfabetiche/occupabilità/inclusione. Un tema cruciale, delicato e strategico che contiene al proprio interno una contraddizione che rischia di essere lacerante. Vittoria Gallina nella presentazione dell’indagine “ALL” l’ha colta molto bene: “il mercato del lavoro per un verso richiede competenze sempre più elevate e per un altro accentua la tendenza a incrementare il numero di quanti non riescono a stare al passo con questi processi e restano ai margini di uno sviluppo, in cui inclusione ed esclusione appaiono essere i due aspetti fondanti dei nuovi paradigmi.”
L’indagine ALL definisce le lifeskills. come le capacità di agire efficacemente; capacità che si esprimono attraverso tre diverse modalità generali di rapportarsi all’ambiente: come adattarsi all’ambiente, come modificare l’ambiente, come selezionare nuovi ambienti.
Declinate dal versante del lavoro, esse si dispongono a ventaglio su sei aree: della comunicazione , delle abilità matematiche , del problem solving , delle capacità intrapersonali , delle capacità interpersonali ed, infine, l’area della tecnologia . Ciascuna di queste aree comprende una o più capacità specifiche.
In estrema sintesi, riassumendo con altre parole, le lifeskills comprendono la literacy (la capacità di usare i testi scritti), la numeracy (la capacità di usare i numeri) e le competenze emotive, ovvero gli alfabeti di base dell’agire nel lavoro e nella vita che comprendono sia le competenze personali - ovvero il modo in cui controlliamo noi stessi (consapevolezza di sé, padronanza di sé, motivazione) - che quelle sociali, ovvero il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri (empatia e abilità sociali, comprese quelle comunicative).
Le lifeskills, così intese , assumono la rilevanza di competenze strategiche per l’ occupabilità. Lo sviluppo della quale, a sua volta - come è a tutti noto - è posto dalla strategia di Lisbona 2000 come un concetto chiave e come un obiettivo cruciale di snodo sotto i profili occupazionale, della coesione e della crescita.
Intendiamo per occupabilità la capacità di trovare un lavoro, di conservarlo, di cambiarlo oppure di migliorarlo. Essa si pone quindi in relazione con le capacità individuali,con la qualità del lavoro e con i profili di carriera e di mobilità verticale e orizzontale. Inoltre, è definibile sotto forma di processo interattivo triangolare tra soggetto, mondo delle imprese e reti sociali di riferimento del soggetto stesso. Presuppone il possesso da parte di questo ultimo di un “paniere” di competenze di cui le lifeskills rappresentano una parte fondamentale. E tra queste, le competenze comunicative ed emotive giocano, a loro volta, un ruolo di primaria importanza. Ne discende un ruolo decisivo della formazione e dell’apprendimento: di quello formale per la literacy, la numeracy e le tecnologie e di quello maturativo (accompagnato e guidato), non formale ed informale, per le competenze emotive. Solo chiudendo il cerchio delle competenze, dell’occupabilità e della formazione così intesa si possono creare le condizioni per sbarrare la strada ai processi di marginalizzazione/esclusione a cui rischiano di andare in contro tutti coloro che presentano un deficit o un ritardo anche solo su uno dei lati di questo triangolo.
Ma la rilevanza del tema dell’occupabilitàcosì definita ( e delle correlate life skills), appare con chiarezza anche se la misuriamo con il metro del vantaggio economico e competitivo. Finora, come afferma Scott Murray, i decisori e gli esperti di politica economica “partendo dal presupposto errato che i maggiori ‘ritorni’ dovevano essere ricercati altrove, hanno sottovalutato il ruolo fondamentale svolto dai sistemi di istruzione che generano capitale umano.”
Quest’ordine di considerazione per l’Italia vale ancora di più. E qui torniamo alla domanda iniziale, l’analfabetismo funzionale degli adulti rappresenta un’emergenza? Stando ai risultati dell’indagine ALL sembrerebbe proprio di sì: una percentuale vicina al 50% di italiani adulti evidenzia un punteggio molto basso di literacy . Secondo le scale di valutazione internazionali, il Paese corre un grave rischio. Resta il problema di come intervenire per evitare il rischio di esclusione che colpisce le fasce che presentano i più bassi livelli di competenze di literacy e numeracy. E’ questa la vera grande sfida che oggi la società italiana deve fronteggiare. Ma n on si tratta solo di una esigenza impellente dal punto di vista economico o sociale, ma dal punto di vista del mantenimento e dello sviluppo della democrazia partecipativa.
I riscontri empicipesano come un macigno. Per fare un solo esempio, i punteggi sulla scala delle prose literacy vanno da un massimo di 290 punti per la Norvegia fino ad un minimo di 241 punti per l’Italia. Ultima tra i Paesi che hanno partecipato all’indagine internazionale. E non disponiamo di valutazioni sul resto delle competenze che compongono quello che è stato chiamato il “paniere” delle competenze per l’occupabilità".
* Questo intervento anticipa alcuni contenuti di un più ampio articolo che apparirà nel prossimo numero della rivista on line “LLL Focus on Lifelong Lifewide Learning” in linea dal 1° marzo p.v.
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12:00
Maria Guidotti dell’Auser, Associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà, ricordando che l’associazione agisce su persone fuori del mercato del lavoro, è partita dal dato che già far emergere una domanda formativa significa avere un primo risultato. Constatando il livello medio alto dei volontari impegnati ci si è resi conto che un modello trasmissivo lascia fuori i più deboli culturalmente. Occorre perciò partire dalle competenze spesso informali delle persone se si vuole coinvolgerle: si deve coniugare queste competenze e con ciò produrre conoscenza anziché trasmettere conoscenza. La condizione dei ciascuno dentro i percorsi di educazione permanente deve essere duplice, sia di docente che di discente. Infatti, la consapevolezza di sé, delle proprie possibilità, delle proprie responsabilità è strumento indispensabile per un invecchiamento attivo: il primo passo è sentirsi parte e non oggetto del processo di educazione permanente. Bisogna fare molta attenzione alla istituzionalizzazione dei percorsi per evitare che quando le istituzioni subentrano al volontariato si perdano le spinte motivazionali.
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11:50
Grazia Napolitano, dell’assessorato alle politiche educative del Comune di Roma nel suo intervento parte dall’esperienza dei Municipi di Roma con l’attivazione di reti tra sistemi formali e non formali.
Bisogna fare tesoro di queste esperienze e lavorare perché i provvedimenti in programma, legge quadro, Centri provinciali rispondano ad un disegno strategico per fare realmente sistema.
La dimensione locale è l’unica che garantisce l’incontro tra domanda e offerta.
Per Roma il livello plurimunicipale potrebbe essere quello giusto per tenere insieme non solo i CTP e i corsi serali, ma anche la Formazione professionale, i centri per l’impiego, le USL, le associazioni ecc.
In particolare è importante il ruolo delle associazioni per orientare la domanda debole.
Il sistema a rete è importante anche per un miglior utilizzo delle risorse che oggi si presentano sparpagliate e spesso mal utilizzate.