Gli altri e noi: la sfida dell'educazione interculturale (Prima giornata)

  • 17:30

    Gabriella Giorgetti, responsabile del settore internazionale della FLC Cgil , presenta gli invitati stranieri e ne motiva la scelta. Si tratta di tre sindacalisti provenienti da Spagna, Francia e Svezia e di un docente della formazione professionale italiana in Svizzera. La scelta è caduta sulla Spagna perché come l’Italia è un paese della “frontiera” mediterranea ed ha visto l’esplosione recente del problema immigrazione, sulla Francia perché invece è un paese che da tempo conosce il fenomeno immigrazione soprattutto dalle ex-colonie, sulla Svezia perché ha una lunga tradizione di accoglienza soprattutto dei rifugiati politici, ma ha anche un sistema scolastico considerato tra i più efficienti d’Europa, che riesce a garantire agli immigrati anche l’insegnamento della lingua madre ed infine la Svizzera in quanto paese tradizionalmente investito dall’emigrazione italiana.

    Concha Gomez, della Federacion de Ensenanza delle Comisiones Obreras , esordisce ricordando che fino a pochi anni fa la Spagna era un paese di emigrazione, mentre all’improvviso, negli ultimi 7 anni, è diventata un paese di immigrazione, con circa 541.000 alunni figli di immigrati, in maggioranza provenienti da America Latina e Nord Africa, di cui il 70% si concentra nelle regioni di Madrid, Valencia, Catalogna e Andalusia. Di questi l’82% frequenta scuole pubbliche e solo il 18% scuole private (molto meno della normale ripartizione spagnola che è grosso modo 66% - 34%). Le diversità di concentrazione contribuiscono ad alimentare pregiudizi e lamentele delle famiglie spagnole e le difficoltà degli insegnanti.

    La nuova legge scolastica varata dal governo Zapatero (LOE) ha introdotto alcune novità: la scolarizzazione per età, programmi specifici, misure compensative e il principio di integrazione di libertà di scelta rispetto alla scuola. Ma siccome in Spagna la scuola dipende dalle regioni, a questa legge si aggiungono misure regionali. In particolare a Madrid si prevede per le classi con bambini immigrati la presenza di traduttori, l’istituzione di classi di accoglienza, di un numero minore di alunni per classe e un’aggiunta di risorse. In Catalogna si prevede un piano linguistico (lì bisogna imparare anche il catalano), una distribuzione più equilibrata degli alunni immigrati tra le scuole e supporti esterni e di contesto. In Andalusia si prevedono progetti di scuola che prevedano l’accoglienza e lezioni temporanee di adattamento linguistico.

    Le Comisiones Obreras si battono per una scuola inclusiva, un’equa distribuzione degli alunni, la solidarietà, il rispetto, la tolleranza interculturale. La federazione degli insegnanti pone attenzione alla diversità, ai servizi educativi, a migliori condizioni per i docenti, alla partecipazione alla gestione sociale da parte delle famiglie immigrate. I piani di attuazione dovrebbero prevedere il no alla segregazione, spazi complementari, l’insegnamento anche della madrelingua, l’autonomia scolastica nelle scelte, fondi adeguati, l’accoglienza nella scuola e nel territorio (contesto, collaborazione tra scuola e altre agenzie), meno alunni per classe e più risorse (anche in termini di mezzi moderni) e una formazione specifica degli insegnanti.

    Marylene Cahouet, dello Snes-Fsu, sindacato maggioritario nella scuola secondaria francese, inizia denunciando la legge contro gli immigrati “sans-papiers” che ha portato ad espellere i bambini con le loro famiglie “irregolari”, rendendo la scuola strumento per la individuazione delle “irregolarità”, col risultato chemolti hanno cominciato a disertare la scuola temendo l’arresto.

    Oltre a ciò le principali difficoltà riguardano la lingua. Lo Stato prevede tre interventi sulla lingua: la scuola fino ai 16 anni, le regioni dai 16 ai 25 anni, e il “long life learning” dopo i 25 anni. I richiedenti asilo tuttavia non hanno accesso a questi interventi.

    Nella scuola francese ci sono circa 600.000 alunni immigrati, il 6% (ma il 2% in meno che nel passato). Vengono soprattutto da Marocco, Algeria, resto dell’Africa, Turchia e Portogallo. Si secolarizzano quasi tutti nella scuola pubblica e nel secondo grado frequentano per lo più i licei professionali. Sono concentrati soprattutto nella regione parigina e nel sud-est della Francia. Le loro difficoltà scolastiche sono abbastanza simili a quelli delle classi povere francesi, ma la disoccupazione è più alta.

    Negli anni settanta sono stati introdotti dispositivi speciali: classi di inserimento, classi di iniziazione al francese, corsi di recupero integrati (nella primaria), classi di accoglienza e moduli di accoglienza temporanea (nella secondaria). Ma queste spesso non risolvono i problemi e ritraducono in classi ghetto. Il problema è che i ragazzi arrivano i ogni momento per cui c’è chi entra e chi esce in continuazione da questi corsi. A ciò si aggiunge il problema dei rom che spesso vengono rifiutati.

    Negli anni ottanta si è arrivati concepire l’insegnamento di francese come lingua 2, ma la formazione è limitata per i maestri (27 ore) e inesistente per gli insegnanti della secondaria.

    Un altro passo è stato fatto con la didattologia delle lingue straniere (lingua e cultura, valorizzazione del legame soggetto-ambiente).

    Lo Snes sostiene la formazione nella lingua di origine, una valorizazione del livello socio-affettivo e di quello interculturale, la modificazione del sistema simbolico sociale per cui la mixitè è una ricchezza non una difficoltà, la cittadinanza nazionale universale, l’antirazzismo formativo.

    E si aspetta molto da un cambio di politica scolastica dopo le elezioni.

    Helena Frisell del Laererforbundet svedese , docente di svedese lingua 2 e presidente di un’associazione di docenti di questo insegnamento, esordisce ricordando che in Svezia il 15% degli alunni sono non svedesi, con un’alta concentrazione a Stoccolma, Malmoe e Goteborg e con una forte tendenza degli immigratia concentrasi in colonie di una stessa nazionalità anche se lo stato cerca di favorire la dispersione.

    Il lavoro sui bambini, anche con l’insegnamento nella propria madrelingua, inizia dall’educazione prescolare che incomincia a 1 anno. Continua nei gradi successivi dando pari valore allo svedese alla lingua materna dell’alunno. Nella scuola primaria il corso in lingua svedese 2 è obbligatorio. Il corso in madrelingua viene impartito fuori dall’orario, mentre prima era interno. A 16 anni il corso di svedese 2 è di lingua e cultura ed è opzionale. A volte ci sono anche altre discipline che vengono insegnate nella madrelingua dell’alunno.

    Per chi arriva dopo sono previsti corsi anche sul luogo di lavoro (15 lezioni a settimana fino a 525 ore per 9 mesi circa) o corsi linguistici per medico, infermiere, insegnante, uomo d’affari.

    Ci sono poi corsi “ridotti” di svedese per il mestiere che si fa.

    L’associazione presieduta da Helena si è battuta per l’introduzione dello svedese lingua 2. Negli anni ottanta quando ciò è avvenuto si è avuta una inversione di tendenza. Questa disciplina richiedeva due anni di studi universitari in più. Si tratta infatti una scelta di qualità. Ma non tutte le scuole lo usano. Infatti uno dei problemi della scuola svedese è la dipendenza delle scuole dai comuni e quindi una diversa sensibilità al problema e una diversità di disponibilità economiche. Inoltre molto dipende anche dai dirigenti scolastici.

    Infine ci sono atteggiamenti pregiudiziali in una parte della popolazione, avallati anche dai media, che si traducono in uno status inferiore anche per i docenti di questa lingua 2. Ma ci sono anche buone prassi che prevedono la collaborazione tra gli insegnanti di lingua 2 e gli altri insegnanti.

    Furio Bednarz, dell’Ecap, anche per il tempo ormai ridotto, annuncia una breve comunicazione ricordando la storia dell’Ecap originario ente di formazione professionale legato alla Cgil sciolto in Italia a favore della pubblicizzazione della formazione professionale negli anni settanta ma trasformato in Svizzera in associazione per l’educazione degli adulti tra gli emigranti italiani. Sottolinea l’importanza dell’operatività nei confronti della fascia adulta e il significato di un’istituzione quasi unica nell’emigrazione in Svizzera sia per il legame identitario col paese d’origine che per l’integrazione sociale e culturale.

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  • 17:20

    Prende la parola Ersilia Mazzarino, Esecutivo nazionale di Proteo Fare Sapere, che porta i saluti del presidente dell’associazione Omer Bonezzi.

    Ritiene importante questo convegno che darà elementi di riflessione anche all’associazione, che ha come compito statutario la formazione.

    Sottolinea che il ruolo della scuola e degli insegnanti non può esaurirsi con l’accoglienza e che il fenomeno dell’immigrazione e della pedagogia interculturale potrà essere elemento di arricchimento all’attuale modello scolastico che ha contenuti e impostazioni eurocentrici del sapere. I ragazzi stranieri che frequentano le nostre scuole potranno darci spunti concreti per conoscere anche un “altro” diverso e arricchente.

  • 17:00

    E' ora la volta della comunicazione di Graziella Favaro, docente dell’Università La Bicocca di Milano, che affronta i modelli teorici, sociali ed educativi di interazione delle diversità culturali, afffermando che
    esperienze, progetti, pratiche educative nel campo dell’integrazione di bambini e ragazzi stranieri e di educazione interculturale devono essere conosciuti, diventare sistema, essere oggetto di ricerca e di riflessione pedagogica per potervi rintracciare linee di pensiero comuni.

    Dietro le molteplici attività quotidiane finalizzate all’accoglienza si colloca tutto ciò che gli insegnanti pensano, gli orientamenti ai quali essi ancorano le loro azioni.

    Indubbiamente dal punto di vista strutturale e pedagogico-didattico, l’inserimento scolastico degli alunni stranieri è una delle trasformazioni più significative e profonde che la scuola italiana abbia mai attraversato. La crescita degli alunni stranieri è costante e caratterizzata da ben 191 nazionalità. Quest’ultimo aspetto è considerato un dato positivo, perché la concentrazione di un gruppo nazionale crea fenomeni di autoesclusione che non facilitano il dialogo. Gli alunni stranieri sono presenti anche nelle scuole superiori, sia pure, concentrati nei professionali (40%) e si trovano soprattutto al Centro–Nord (al Sud solo l’1%).

    L’allargamento della presenza di alunni stranieri nei vari ordini di scuola pone problemi inediti di accoglienza e integrazione anche perché si tratta, in gran parte, di ragazzi nati in Italia che presentano un’alta percentuale di abbandoni e di bocciature.

    Le parole chiave delle buone pratiche legate all’inserimento sono intercultura e integrazione, soprattutto la prima. Ma bisogna evitare la confusione o l’eccessiva genericità di questi termini. Quando tutto quello che si fa è definito interculturale, il rischio è che non lo sia: dal laboratorio di lingua, alla celebrazione di una festa ecc. Il piano dei diritti dei minori, qualunque sia la loro provenienza, si intreccia con le urgenze quotidiane e le idee e gli approcci pedagogici sui quali non vi è stato il tempo di una riflessione e di scelte consapevoli. Al termine “intercultura” viene attribuito un senso positivo, ma rischia di diventare un “modello fantasma”, indefinito ed evanescente, se non alimentato da riflessioni, autoriflessioni, sperimentazioni efficaci, progetti di ampio respiro per tutta la scuola, e non solo per le classi che sono diventate di fatto multiculturali e plurilingue. Il termine integrazione non va inteso nel senso di omologazione/assimilazione, ma nel senso che gli attribuisce l’Unione europea
    di inclusione positiva, pari opportunità, riconoscimento della storia e della memoria degli individui. In questi nuovi scenari pedagogici la scuola va sostenuta. L’autonomia scolastica senza risorse adeguate per far fronte a nuove sfide e bisogni educativi, rende la scuola meno efficace rispetto alla propria missione; l’autonomia senza un modello di riferimento, che dia senso alle azioni, rischia di enfatizzare le pratiche, di promuovere il fare per il fare, trascurandone le ragioni e l’orizzonte.

    Dopo un breve esame sulle politiche e sulle pratiche interculturali in Europa e sulle critiche che circondano il modello assimilatorio, la relazione si conclude indicando che la strada dell’integrazione interculturale procede su due binari paralleli: da un lato, quello dell’inclusione e dell’estensione dei diritti e dei doveri di cittadinanza ai nuovi cittadini e, dall’altro, quello di un riconoscimento della pluralità.

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  • 16:40

    Luigi Manconi, Sociologo, Sottosegretario Ministero di Grazie e Giustizia, dichiara che non intende intervenire incentrando il ragionamento esclusivamente sull’interculturalità ma, data l’ampiezza del tema, esporre alcune suggestioni di carattere generale. Partendo dall’esperienza vissuta sul campo con un lavoro che si protrae da due decenni.

    In tutto questo periodo Manconi non ha potuto non registrare la fallacia dei diversi modelli di integrazione attuati dai paesi europei, come già ha denunciato Soldini. Nello stesso tempo ha visto nascere un “modello italiano”.

    Esso è innanzitutto un “modello all’italiana”, con tutte le suggestioni negative che la locuzione suggerisce, ma anche con i tratti di positività.

    Il modello italiano è stato frutto di un’ispirazione etico-religiosa (dalla duplice matrice cristiano-cattolica e solidaristica socialista) e di una strategia fatta di adattamenti e successivi aggiustamenti. Il modello ha indirizzato politiche pubbliche non supportate da studio e approfondimenti; si sonocioè realizzati “modelli non modelli”.

    Paradossalmente il primo modello ben definito, conseguente a una ben definita ideologia, è il modello proposto dalla Bossi-Fini. Che è un modello di natura lavorista. L’immigrato è ridotto a merce lavoro: la sua vita sociale, la sua identità si riducono e rimandano esclusivamente alla sua attività lavorativa. Ne deriva l’assenza completa di attenzione all’integrazione dello straniero come cittadino.

    Per lavorare per l’identità dell’immigrato come cittadino è inevitabile abrogare la Bossi-Fini.

    Le linee di indirizzo elaborate dal governo Prodi vanno al rovesciamento del modello e questo (nonostante le difficoltà che si prospettano) può essere l’inizio di un processo per la strada verso l’integrazione.

    Ma Manconi crede che si debba rinunciare a ogni idea di modello, perché si sta operando su un tema che è in incessante evoluzione e che ha tratti di intrattabilità.

    L’idea alternativa a quella dominante è la mediazione dentro un processo di sintesi.

    Manconi condivide le linee esposte nel suo intervento da Soldini: è un’ipotesi di percorso che ci si augura possa avere compimento, tenendo però presenti tre correttivi.

    Il primo riguarda le politiche del lavoro. Bisogna avere presente che la programmazione deve prevedere il correttivo “sanatoria”. Gli ingressi possono essere sottoposti a previsione ma non a una rigida programmazione. È illusorio pensare che la programmazione, che pure può portare benefici come clausola di inclusione, possa escludere la sanatoria a posteriori.

    Il secondo correttivo riguarda le politiche sociali e si chiama correttivo “male minore”. Manconi cita come esempio la lunga discussione sulle mutilazioni sessuali e l’infibulazione e sulla loro medicalizzazione. Non si tratta di legittimazione di pratiche cruente, ma di affrontare la questione e di elaborare politiche che consentono un male minore.

    L’esempio viene traslato sulle classi islamiche che tanto hanno fatto discutere qualche tempo fa. Manconi si dichiara favorevole alle classi islamiche in omaggio al male minore, perché l’alternativa non era una classe integrata, ma la non frequenza di alcuna scuola.

    Le politiche pubbliche hanno la loro funzione universalistica, ma poi si misurano con contraddizioni che creano conflitto.

    Il terzo correttivo riguarda la politica dei diritti e si chiama “all’interno dell’ordinamento, tutto; fuori dall’ordinamento, calma”. Dentro il sistema giuridico le diverse identità (abitudini alimentari, culto, relazioni…) vanno non solo concesse, ma garantite e protette. Non ci deve essere però la violazione dei diritti universali. Il metro, cioè, è costituito dai diritti universali della persona.

    Tutto ciò per dire che tutti ci auguriamo che il governo possa continuare la sua attività. La legge sull’immigrazione, per la quale sono state predisposte le linee guida, costituirebbe un grosso passo avanti. I correttivi di cui si è parlato servono a tenerci all’erta, perché le questioni non sono tutte riconducibili a norma e i dilemmi suscitati non richiedono risposte autoritarie o riduzionistiche ma capacità di conduzione politica e nella vita sociale.

    Manconi chiude l’intervento citando i dati sull’indulto, fatto che ha suscitato un’accesa campagna di stampa denigratoria.

    Questi dati rivelano che il tasso di recidiva di coloro che hanno beneficiato dell’indulto è molto più basso (circa 1/6) della recidiva di chi sconta la pena in carcere. Il tasso che riguarda gli stranieri è più basso di due punti di quello degli italiani.

  • 16:20

    Vinicio Ongini, Esperto Intercultura Ministero della Pubblica Istruzione, illustra la situazione degli alunni stranieri in Italia a partire dall'a.s. 1995/1996.

    Sono circa 430.000 gli alunni con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2005/2006, presumibilmente 500.000 nell’anno in corso. L’incidenza è di quasi il 5% sul totale della popolazione scolastica complessiva.

    Erano poco più di 50.000 nell’a.s. 1995/96. Ma l’aumento è significativo anche rispetto all’anno precedente: sono aumentati di circa 70.000 unità.

    Si confermano ai primi posti i gruppi provenienti da Albania, Marocco, Romania, Cina e Jugoslavia.

    I paesi di provenienza degli alunni stranieri sono 191 (su 194 stati nel mondo). La più elevata consistenza di alunni stranieri ( 40%) si trova nella scuola primaria.

    L’area geografica del paese con la percentuale più alta di alunni stranieri, rispetto alla popolazione scolastica di riferimento, si conferma anche quest’anno il Nord Est.

    La regione con l’incidenza più alta è ancora l’Emilia Romagna con il 9,5%.

    La Lombardia è, invece, la regione con il maggior numero di alunni stranieri, poco più di centomila.

    Tra i comuni capoluogo è Milano ad avere l’incidenza più alta conil 12,7%, ma, tra le grandi città metropolitane, è Torino con la percentuale di alunni stranieri del 11,2%, a registrare la maggior crescita in un anno ( +2,7% di aumento).

    La provincia con l’incidenza più elevata è invece Mantova con l’ 11,9%, seguita da Piacenza ( 11,8) e Reggio Emilia ( 11,5%).

    Dati contenuti in: Ministero della Pubblica Istruzione , Indagine Alunni con cittadinanza non italiana. Anno scolastico 2005/2006, Roma, dicembre, 2006.

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  • 16:00

    La relazione introduttiva è curata da Piero Soldini, Responsabile Immigrazione CGIL.

    "Nell’anno scolastico trascorso (2005-2006) gli alunni stranieri iscritti nelle scuole sono stati 430.000 pari al 4,8% del totale della popolazione scolastica, ma non abbiamo ancora un piano strutturato di interventi e investimenti.

    Nel corso di questo anno scolastico supereranno il mezzo milione, perché la crescita, in questi ultimi anni, viaggia a circa 60-70 mila l’anno, e siamo ancora in una situazione in cui questo tema è in gran parte sulle spalle degli insegnanti, della loro sensibilità e responsabilità, sulla loro disponibilità a sacrificarsi e sperimentare.

    C’è uno scarto fra il numero dei ragazzi nelle scuole ed il numero dei minori stranieri che, sono circa 1/5 del totale della popolazione immigrata, (650-700.000) e quindi mancano all’appello molti ragazzi che non vengono intercettati dal sistema educativo-scolastico e questo segnala un enorme problema di abbandono che s’incrocia al fenomeno grave del lavoro minorile, dei bambini non accompagnati, fino ad arrivare ai segmenti più raccapriccianti della prostituzione, dello schiavismo e del mercato degli organi.

    Per quanto riguarda invece i ragazzi presenti nelle scuole cominciano ad affiorare dati preoccupanti sul loro ritardo scolastico ed anche qui sarebbe quanto mai utile costituire un osservatorio sulle discriminazioni in questo ambito nei confronti degli alunni stranieri, un organismo indipendente che oltre al monitoraggio abbia anche poteri prescrittivi e sanzionatori.

    Noi dobbiamo promuovere un modello di società interculturale basato sul riconoscimento, il confronto e la contaminazione. Più che d’integrazione dobbiamo parlare di interazione fra diversità

    In secondo luogo occorro affrontare la questione della laicità dello Stato e della scuola pubblica ed in questo senso è necessario che il Parlamento vari una legge sulle libertà religiose.

    L’insegnamento della lingua e l’educazione civica e socio-culturale va organizzata ed estesa non solo ai ragazzi ma anche ai loro genitori ed in questo senso occorre promuovere il ruolo dei CTP (Centri Territoriali Permanenti).

    Noi come CGIL pensiamo che si possano utilizzare in questa impresa due importanti istituti contrattuali:

    • il primo è un istituto relativamente giovane che regola i fondi interprofessionali per la formazione continua;

    • il secondo è un istituto degli anni ’70: le 150 ore.

    Chiediamo infine al Ministro Fioroni di aprire un tavolo di confronto sul ruolo della scuola nel raccogliere la sfida dell’educazione interculturale ed auspichiamo che si aprano confronti anche nei territori, dove la CGIL insieme alla Federazione dei Lavoratori della Conoscenza, farà vivere le proprie proposte".

    Scarica la relazione integrale.

  • 15:40

    I lavori del Convegno sono aperti da Beniamino Lami, Segretario nazionale FLC Cgil. Nell'introdurre i lavori sottolinea che l’intercultura non è una strategia, una materia che si insegna, o uno stato d’animo o una predisposizione. E’ essa stessa cultura, carica dei principi di solidarietà, uguaglianza, cittadinanza e democrazia. Questa cultura è laica per definizione e rappresenta la traduzione più esplicita e concreta della nostra Costituzione.

    E’ una cultura che si costruisce insieme, nell’interazione tra identità diverse, di singoli e di comunità, che ha chances di crescita e di sviluppo nella misura in cui siamo in grado di interiorizzare e fare nostra l’etica della pace e della fratellanza, abbandonando quella della supremazia, individuale o di gruppo, etica o religiosa, o politica ed economica. In una parola: uguaglianza nella diversità.

    E’ altra cosa rispetto al concetto di integrazione, pure molto usato. Integrazione indica che esiste un soggetto che integra, quello che detta le regole, e un soggetto che viene integrato, quello che deve accettare le regole date. Vale a dire che c’è la supremazia di uno su un altro, di una cultura su un’altra. I due soggetti non sono sullo stesso piano.

    Ci sono state molte difficoltà nella scuola ad avviare pratiche di accoglienza e di inserimento in termini interculturali, per varie ragioni, non ultima la mancanza di risorse e l’isolamento di tanti bravi docenti.

    Scarica l'intervento di apertura integrale.

  • 15:30

    Le politiche dell’integrazione sono la grande sfida con cui ci dobbiamo confrontare per determinare nuove azioni destinate al rafforzamento della coesione sociale. I processi di globalizzazione determinano intensi flussi migratori dal Sud del mondo e dall’Est europeo verso i paese dell’Occidente “sviluppato”. La presenza nel nostro paese di uomini e donne provenienti da queste aree del mondo sta modificando aspetti centrali della nostra vita: nel mondo del lavoro, negli insediamenti abitativi, nel confronto tra fedi religiose, nella scuola…

    Ed è la scuola ad avere un ruolo determinante, infatti, l’educazione interculturale rappresenta la traduzione didattica della pedagogia interculturale. Occorre costruire sempre più un contesto, quello sancito e definito dalla Costituzione, in cui laicità ed uguaglianza garantiscano il diritto di cittadinanza. E’ questa la sfida dell’educazione interculturale: agire sul piano educativo perché le differenze etniche, religiose e culturali non si trasformino in elementi di disuguaglianza, ma di crescita civile e sociale per tutti.

    Questi sono i temi che si affronteranno oggi e domani nel nostro Convegno, al quale parteciperanno, tra gli altri, esperti di rilievo, rappresentanti dei sindacati esteri e, nella tavola rotonda di domani, insieme al segretario generale della FLC, i Ministri dell’Interno, della Solidarietà Sociale e della Pubblica Istruzione. I lavori saranno conclusi da Morena Piccinini segretaria nazionale della CGIL.

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

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