Convegno nazionale dei Dirigenti scolastici "Autonomia scolastica: reti, associazioni, organi collegiali" - Prima giornata
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19:30
Conclusi gli interventi, Adriana Querzè e Antonio Valentino traggono le conclusioni di questa prima giornata e danno appuntamento ai partecipanti a domani mattina per la ripresa dei lavori.
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17:45
Iniziano gli interventi dei partecipanti al Convegno con le esperienze di Associazioni e di Reti.
Piero Maffeis, Dirigente scolastico, Presidente ASAB (Associazione delle Scuole Autonome Bresciane) e FAISAL (Federazione delle Associazioni degli Istituti Scolastici Autonomi della Lombardia).
Per Maffeis, la prospettiva dell’autonomia postula una diversa cultura del servizio scolastico, e di conseguenza, un approccio dinamico e strategico alla norma che si pone come risorsa da “utilizzare” nelle sue opportunità.
Le Istituzioni Scolastiche potranno avere forza contrattuale rispetto all’esercizio dell’autonomia, solamente associandosi e/o costituendo reti di scuole con altri soggetti competenti in materia di Istruzione e Formazione. E’ importante, quindi, che le associazioni delle Scuole Autonome vengano sostenute per diventare interlocutori privilegiati del Sistema Scolastico Nazionale.
Se l’autonomia della scuola, ha un riconoscimento costituzionale simile a quella attribuita agli Enti locali, le scuole autonome sostenute dalle ASA possono accettare la sfida e arrivare a rendicontare a tutti gli interlocutori e agli steckolders i servizi prestati nel territorio e dare così gli elementi per una valutazione dei risultati come “Ente Pubblico” che si assume la responsabilità sociale del servizio istruzione.
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Angelo De Vita, Dirigente scolastico.
“Intendo fare due riflessioni di fondo: come creare una partnership, una pari dignità di rappresentanza tra la scuola e gli altri interlocutori del territorio. Il lungo e faticoso percorso che ci ha portato all’autonomia e che ha visto la scuola affrancarsi dal Ministero e dai Provveditori, non può essere vanificato ripristinando, anche inconsapevolmente, situazioni di subordinazione agli Assessori o addirittura alla doppia dipendenza della scuola.
Una seconda riflessione vorrei farla sul rapporto tra scuola e società per meglio supportare proposte di revisione degli Organi collegiali che favoriscano una partecipazione, soprattutto genitoriale, intesa come condivisione educativa.
Il concetto della scuola come strumento per la formazione del cittadino sta inesorabilmente perdendo di significato. Oggi è la società a forgiare la scuola a sua immagine, trasmettendole modelli negativi che risultano di fatto vincenti.
Va affermata la necessità che la scuola adegui il proprio insegnamento alle nuove esigenze, per considerarsi parte della realtà che la circonda; la scuola deve contribuire “alla costruzione della identità del territorio in cui è inserita”, come scritto nelle Otto Tesi della scuola dell’infanzia del Comune di Roma.
La mission della scuola è doppia: istruire ed educare. Generalizzando: la prima ha contenuti tecnici, la seconda sociali. Allora occorre che il suo “governo” abbia due anime: quella tecnica affidata al personale scolastico e quella sociale aperta alle più larghe forme di partecipazione di tutte le componenti della società. In pratica Consigli di classe e Collegio dei docenti costituiti solo da docenti e dirigente scolastico, in quanto organi essenzialmente tecnico- professionale, e un Consiglio di Istituto, con le sue diverse componenti, con compiti di indirizzo della politica che l’Istituto mette in atto nel perseguimento della propria doppia mission.
Ci siamo già espressi sul disegno di legge del governo che intende “rivitalizzare “ la vecchia Giunta esecutiva, ma soprattutto si sono già espressi organi qualificati, come il Consiglio di Stato, esplicitando che la responsabilità e la decisionalità gestionale è riconducibile alla sola ed esclusiva sfera dirigenziale. Dobbiamo evitare confusioni di ruoli..
Il terreno di incontro tra le diverse anime della scuola deve essere il POF; è importante che la formulazione del POF veda la partecipazione attiva anche di tutti i soggetti “esterni” alla scuola.
Cosa vuol dire “partecipare” nel 2007?
Gli organi collegiali del 1974 si innescavano su un sistema centralizzato, monolitico, centralistico, burocratico che di fatto ne vanificava i poteri. Oggi si impone l’adeguamento della normativa all’autonomia scolastica; il POF segna un passo avanti rispetto al P.E.I. che era tutto incentrato sulla scuola e nella scuola, perché indica che si esce dalla scuola verso il territorio. E’ evidente che la riforma della scuola è possibile solo con la riforma del Ministero, nesso inscindibile dopo la legge n. 59/97 che con l’articolo 21 ha trasferito a livello territoriale materie, poteri, funzioni e compiti amministrativi, dispositivo strategicamente accompagnato dal successivo D.lgs n. 112/98.
Se dobbiamo evitare l’autoreferenzialità e nello stesso tempo la costituzione di organismi collaterali alle organizzazioni sindacali,
una ipotesi percorribile per realizzare una presenza significativa della scuola nel territorio è quella della costituzione di associazioni di scuole autonome in forme e modalità nuove rispetto alla situazione odierna e al recente passato. Ma il nodo più importante è quello della rappresentanza.
La struttura che si può immaginare è quella di un organismo associativo composto da 2 componenti per scuola: il Dirigente scolastico rappresentante legale della scuola nonché dell’organo di gestione, e un rappresentante del Consiglio di Istituto quale organo di indirizzo, svincolato da una rappresentanza professionale o genitoriale.
Ovviamente per evitare il formarsi di strutture pletoriche e ingestibili, si dovrà procedere ad elezioni di secondo livello garantendo la pari rappresentanza dell’organo di indirizzo e di quello di gestione.
L’associazione, con tale qualificata rappresentanza dei due distinti organi della scuola autonoma, potrebbe interagire con tutti gli interlocutori del territorio ma anche con la futura struttura tecnico-professionale costituita dai nuclei territoriali, determinatisi con la soppressione degli IRRE, e che potrebbero essere integrati dal personale comandato ai sensi della legge 448/98 (art. 26, comma 8).
Si verrebbero così a costituire strutture simili ai CIS; le scuole avrebbero la possibilità di una pluralità di confronti senza l’interfaccia di altre strutture collegiali che non siano quelle regionali e nazionali.
Per fortuna non siamo all’anno zero; molte esperienze sono consolidate e positive, in grado di “contagiarsi” con l’esterno senza contrapporsi; la struttura associativa ha già dato segnali che vanno nella direzione di favorire la comune lettura del territorio e la comune rilevazione dei bisogni formativi”.
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Nunzia Del Vento, Dirigente scolastico e presidente di ASAPI (Associazione Scuole Autonome Piemontesi).
L’ASAPI nasce in Piemonte nel giugno del 2002 per rispondere ad un bisogno di rappresentanza territoriale delle scuole autonome utile a condividere con forza un netto rifiuto della Legge regionale sul diritto allo studio che istituiva il buono scuola.
L’incipit ha sicuramente influenzato l’attività dell’associazione che in questi anni ha cercato di affermare la propria presenza in un sistema mutato di relazioni fra Regione, enti locali, scuole autonome da una parte e l’amministrazione scolastica dall’altra, anche in virtù del riconoscimento giuridico nella riforma del Titolo V della Costituzione.
La posizione delle scuole, in questo panorama di cambiamenti, rimane complessa e difficoltosa poiché i caratteri peculiari dell’autonomia subiscono continui rigurgiti centralistici sia dallo Stato centrale che dalla conduzione ministeriale (inesistente autonomia finanziaria, scarico di responsabilità senza effettivi poteri).
Il rischio che corrono le istituzioni scolastiche è che diventino serve di due padroni: Stato e Regioni con lo svuotamento pressoché totale dell’autonomia e che la loro presenza legittimi la democrazia delle consultazione senza la reale e leale collaborazione per rendere migliore il nostro sistema d’istruzione e formazione.
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Federico Marucelli, Dirigente scolastico, Firenze.
Nella realtà toscana e fiorentina nella quale opero non sono decollate ancora le associazioni di scuole per più ragioni, forse anche per uno spiccato individualismo caratteristico della nostra regione.
Ritengo però necessario osservare come sia opportuno pensare a mettere in atto forme diversificate di confronto e associazione fra dirigenti e scuole. In particolare occorre diversificare le reti di scopo dalla rappresentanza politica delle scuole attraverso l’associazione delle stessenelle modalità ricordate dai relatori e da Angelo De Vita nel precedente intervento.
Ma oltre a questo, tenendo conto che il D.S. ha molte funzioni e si interfaccia con più istituzioni e anche con l’amministrazione che mantiene la gestione del rapporto di lavoro del personale, riterrei importante affiancare a queste due forme, anche un coordinamentodei dirigenti per gli aspetti connessi alla gestione amministrativa , recuperando in parte l’esperienza dei collegi dei direttori.
Potremmo così definire meglio il terreno più politico delle associazioni stesse al quale devono partecipare le scuole nel suo insieme.
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Gabriella Mortarotto, Dirigente scolastico Istituto Comprensivo Di Nanni Grugliasco (Torino).
Come socio fondatore della nostra associazione Piemontese ASAPI, mi pare opportuno segnalare qui alcuni degli errori compiuti ovvero alcuni suggerimenti per coloro che vorranno avviare nelle diverse realtà un’associazione.
Quando iniziammo in Piemonte facevamo riferimento all’ANCI associazione dei comuni, anche perché molti di noi erano stati amministratori.
Non sembra opportuno avviare l’associazione dalla dimensione regionale,molto meglio partire dalla realtà provinciale, più coerente con i problemi del territorio.
Infatti la nostra associazione regionale, pur articolata in coordinamentiprovinciali, risente del ‘peso’ di Torino e le realtà provinciali ‘soffrono’ dell’eccessivo peso di Torino.
La motivazione della ‘nascita’ regionale fu allora data dalla condizione di contrasto con la Regione Piemonte che stava approvando una legge contestata del ‘buono scuola’.
E’opportuno non perdere troppo tempo nella formulazione dello statuto, che deve essere molto leggero, rinviando ai regolamenti attuativi, molto più facili da modificare. Modificare uno statuto è costoso e complesso.
L’impegno dei dirigenti - soprattutto della FLC Cgil - nell’Associazione è altissimo. Anche con una modesta struttura amministrativa, il tempo da dedicare all’associazioneè impegnativo: incontri, tavoli interistituzionali, scrittura di documenti, risposte agli infiniti, legittimi, ma non sempre coerenti, quesiti che ci vengono mandati… Occorre un volontariato molto impegnato…
Nell’intervento di De Vita posso condividere l’aspetto ‘formale’ dell’opportunità di due rappresentanti presso l’Associazione, DS e delegato dal Consiglio, ma non sarà questa la formalità che risolve il problema della rappresentanza.
Si dovrà invece molto studiarele forme dell’istituzionalizzazione delle associazioni,nell’ambito delle nuove strutture delle conferenze delle autonomie, che si stanno attuando.
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Franco Buccino, Segretario generale FLC Campania.
Le singole scuole devono trovare nell’autonomia la forza della loro rappresentanza, e quindi la rappresentanza non la devono delegare né all’amministrazione scolastica, né ai governi locali, e neppure alle associazioni di scuole. Le associazioni non aggiungono un briciolo all’autonomia delle singole scuole, e però sono un supporto importante anzi fondamentale, che favorisce reti e sinergie, e aiuta a interloquire con tutti i soggetti istituzionali.
Il vero problema è oggi l’esercizio dell’autonomia da parte delle scuole. I nodi sono parecchi come la natura della dirigenza scolastica e il contratto tra Dirigenti scolastici e componenti scolastiche. Il nodo principale rimane la mancata riforma degli Organi Collegiali. Un gruppo, anche ben preparato e motivato, di operatori scolastici, non può realizzare da solo l’autonomia scolastica.
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Antonio Giacobbi, Segretario generale FLC Veneto.
Credo sia necessario che le istituzioni scolastiche autonome si diano una loro rappresentanza “politica”sul territorio, a partire da una dimensione non troppo ampia, non solo per ragioni di funzionalità ma anche per essere meglio in grado di interpretarne i bisogni. Penso sia questo il senso delle associazioni di cui stiamo parlando e su questo terreno l’elaborazione di questo convegno, che si colloca in une linea di pensiero sulla quale da tempo stiamo lavorando,dovrebbe diventare la nostra posizione. Una rappresentanza “politica“ è cosa diversa da un collegio di dirigenti ma anche dalla “rete di scuole”, che risponde invece ad uno “scopo”e può essere più o meno radicata sul territorio, perché si fonda sui bisogni e sulle priorità che le scuole individuano e che possono essere condivise anche al di fuori dello stesso ambito territoriale. Su questa strada le istituzioni scolastiche autonome devono legittimarsi conquistando un riconoscimento politico per diventare interlocutori di tutti coloro, comprese le istituzioni, che operano su quello stesso territorio.
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Cosimo Forleo, Docente Scuola Superiore di Nettuno.
Riguardo alle Associazioni, temo, per la mia esperienza, pur se limitata, i rischi di eventuali strumentalizzazioni politiche e per questo credo che passo da compiere sia quello della loro istituzionalizzazione. In questo modo considerati i temi e gli obiettivi in gioco si potrà intervenire in maniera più incisiva sul territorio. Un esempio su tutti: si porrà una maggiore attenzione ai sistemi integrati che siano effettivamente finalizzati all’interesse dello studente portatore di un disagio e in difficoltà.
Invito comunque a riflettere e che non si abusi dei corsi integrati, primo perché credo sia importante che l’obbligo scolastico a 16 anni venga assolto nella scuola pubblica; secondo perché il “disagio” si risolve con politiche efficaci di tutti i protagonisti che intervengono direttamente sul territorio.
In questo quadro l’Associazione con la sua capacità di interloquire in maniera paritaria con gli Enti Locali e con le realtà produttive può intervenire sulle scelte il più possibile vicine ai bisogni delle realtà giovanili; scelte non estemporanee ma realmente proiettate, in un futuro prossimo, al successo formativo. Non disgiunto da questo tema ritengo che ogni riforma sugli organi collegiali, deve avere come obiettivo irrinunciabile un rapporto assolutamente paritario e di rispetto reciproco fra tutte le componenti ognuna con le proprie, distinte e chiare, prerogative e funzioni. In particolare non deve nascere alcuna contrapposizione tra collegio di docenti, a cui spetteranno le responsabilità pedagogico-didattiche e la Dirigenza che avrà invece la responsabilità di attuazione alle delibere collegiali e di gestione delle risorse.
Soltanto con una visione dei problemi, la più ampia possibile, si potranno sviluppare politiche scolastiche consapevoli, partecipate e quindi produttive, e questo obiettivo lo si attua in una scuola non rigidamente strutturata.
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17:00
La relazione di Antonio Valentino, componente Struttura di comparto Dirigenti scolastici FLC Cgil, parte dalla presentazione di dati raccolti in risposta ad un questionario inviato a Presidenti regionali e provinciali di alcune realtà del Nord Italia.
La scelta geografica è dettata essenzialmente dalla presenza di esperienze più note da cui derivano elementi di riflessione che valgano a rilanciare l’associazionismo delle scuole autonome a livello nazionale.
I dati raccolti non hanno nessuna pretesa se non quella di cogliere linee di tendenza prevalenti e le criticità, e quindi le parole d’ordine da mettere alla base del nostro impegno di Dirigenti scolastici legati alla FLC Cgil.
I dati considerati permettono di evidenziare i fattori di successo, riconducibili in primo luogo al riconoscimento delle Associazioni da parte di altri soggetti istituzionali e soprattutto delle Direzioni Scolastiche regionali e quindi degli USP; ma anche da una diffusa cultura delle reti e quindi del “coordinarsi”, da una struttura amministrativa di supporto e di riferimento e dalla presenza di Presidenti autorevoli e “attrezzati”.
Un altro aspetto considerato in questa mini-indagine è stato quello delle strutture organizzative e dei livelli di coordinamento messi in campo. Coordinamento come funzione, come “potere” e come modalità operativa. I miglioramenti anticipati - questo ultimo aspetto considerato - rinviano alle condizioni di successo precedentemente evidenziati.
E’ emerso anche, come fattore fondamentale, l’opportunità-necessità di istituzionalizzare le ASA, ridimensionando gli USP.
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16:00
La giornata continua con la seconda sessione di lavoro “Reti e Associazioni - Le esperienze”.
Adriana Querzè, Assessore Comune di Modena istruzione politiche per l’infanzia, autonomia scolastica e rapporti con l’Università, presenta la sua relazione “Autonomie locali e autonomie scolastiche” articolata in quattro punti:
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Policentrismo istituzionale e dislocazione dei poteri.
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Elementi di criticità nel rapporto fra autonomie scolastiche e locali.
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Elementi di forza nel rapporto fra autonomie scolastiche e locali.
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Il Patto per la scuola: strumento delle politiche scolastiche.
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13:15
La sessione di lavoro prosegue con gli interventi di Mauro Murino, Dirigente scolastico di Torino e Antonio Giacobbi, Segretario generale della FLC Cgil Veneto. Dopo le repliche dei relatori i lavori vengono sospesi per la pausa pranzo.
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12:15
Gianfranco D'Alessio, Docente Ordinario di Diritto Aministrativo, Università Roma Tre, inizia con il ricordo di Massimo D'Antona del quale ricorre tra pochi giorni l'anniversario della morte.
Passa poi a ricordare che all'inizio c'era un modello centralistico ministeriale nel quale, prima del riforme degli anni '90, le uniche "crepe" erano costituite dai decreti delegati del 1974 e dal processo di regionalizzazione degli anni '70 con l'attribuzione della competenza sulla formazione professionale alle regioni. Anche la legge del 1993 sulla autonomia finanziaria è ancora espressione di un disagio, della crisi del vecchio modello centralistico che espressione di una soluzione.
Il vero fatto nuovo arriva con la legge 59 e con la decretazione relativa, che connettono la riforma del sistema di istruzione con la trasformazione più generale del sistema istituzionale nella direzione del decentramento, del regionalismo e del federativismo.
Non sono mancate grandi resistenze che negli anni successivi hanno contrastato il pieno esplicitarsi dei principi contenuti nella riforma Bassanini. Basti pensare al decreto 300 e al fatto che i provveditorati di vecchia memoria continuino a sopravvivere negli anni, anche con nome cambiato.
Anche la stessa Agenzia per lo sviluppo dell'autonomia prevista dalla recente legge finanziaria rischia di configurarsi come un vincolo per l’autonomia delle scuole, configurandosi coma aggiuntiva e non sostitutiva delle competenze ministeriali.
Tutti segnali di resistenza di rivedere l'organizzazione del ministero dell'istruzione nell'ottica della Bassanini.
Con la riforma del Titolo quinto della Costituzione, lo Stato perde il monopolio legislativo nel settore dell'istruzione pur mantenendo una serie di poteri normativi (fissazione dei livelli essenziali, emanazione di regolamenti e fissazioni di principi generali). Sono le regioni ad acquisire il potere legislativo concorrente, e in alcuni casi esclusivo, nelle materie relative alla formazione, con ampià potestà regolamentare sulle questioni connesse. I Comuni vedono riconosciuto un ruolo centrale di potere amministrativo.
Il punto centrale è la costituzionalizzazione dell'autonomia scolastica. La giurisprudenza costituzionale di questi anni è intervenuta con numerose sentenza in materia di rapporti tra Stato, regioni e scuole autonome. Il relatore ricorda la sentenza 13/2004, le sentenze 33, 34, 37 e 120 del 2005, e, la più ponderosa, la sentenza 279, sempre del 95.
Dal complesso di queste pronunce della Corte Costituzione si può ricavare:
a) il forte il ruolo delle Regioni nel campo della programmazione e della gestione del servizio, compresa l’assegnazione alle scuole delle risorse finanziarie e di personale;
b) che la fissazione di standard qualitative strutturali è materia legislazione concorrente Stato - Regioni;
c) la distinzione logica tra norme generali e principi fondamentali;
d) che le Regioni non possono porsi come “paladine” delle Scuole autonome e investire la Corte a loro nome;
e) che autonomia scolastica costituzionalizzata è limite sia per il legislatore statale che per quello regionale e che l’autonomia della scuola non è assoluta, ma si muove nello spazio lasciato dalle leggi regionale e statali;
f) che i criteri per il riconoscimento della parità sono materia di concertazione tra Stato e Regioni;
g) che il dimensionamento delle scuole rientra nella potestà legislativa e normativa delle regioni;
h) che il personale della scuola mantiene una dipendenza giuridica ed economica dalla Stato, anche se ha una dipendenza funzionale dalla Regioni.
Le pronunce giurisprudenziali lasciano aperti alcuni problemi, in particolare per quanto riguarda la “doppia dipendenza” del personale. Hanno inoltre evidenziato il fatto che le scuole autonome sono state assenti dal dibattito, che è stato tutto appannaggio di Stato e Regioni.
Questo rimanda al problema della rappresentanza delle scuole autonome: l’autonomia funzionale non può esser chiusa in sé stesa, autoreferenziale. Le scuole autonome non possono essere nomadi isolate. La strada da imboccare deve essere quella delle reti associative e delle forme di rappresentanza.
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11:30
Anna Maria Poggi, docente di Diritto Costituzionale e Regionale e Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino, interviene sulle autonomie funzionali in un sistema di sussidiarietà articolando il suo intervento su alcune questioni fondamentali:
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il contenuto dell’autonomia funzionale delle scuole e il suo modello di riferimento;
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gli sviluppi successivi di questo modello;
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le implicazioni/complicazioni successive alla riforma del Titolo V della Costituzione;
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le prospettive per il futuro, dopo un quinquennio nel quale non ci si è occupati dell’autonomia, anche se della scuola sì, e con interventi non guidati dall’idea della autonomia scolastica.
Riguardo al primo punto, Anna Maria Poggi sottolinea come il modello che si afferma con la legge 59/97 sia un modello di autonomia funzionale ispirato alla natura comunitaria e sociale della scuola che si distacca fortemente dal modello dettato dalla legge delega del 1993 con la quale era previsto un semplice passaggio di funzioni dallo stato alle scuole (decentramento amministrativo e attribuzione della personalità giuridica).
Con l’autonomia funzionale si introduce infatti un modello che fa riferimento ad un processo di distacco e di “alterità” che, senza togliere nulla al carattere pubblicistico del sistema scolastico e nel pieno rispetto del principio di uguaglianza previsto dall’art. 21 della legge 59/97, è funzionale al raggiungimento delle finalità del sistema nazionale di istruzione. In questo senso l’autonomia funzionale viene rafforzata dal principio di sussidiarietà orizzontale e verticale introdotto dalla riforma costituzionale e si impone una idea di funzioni pubbliche diffuse sul territorio.
Soffermandosi sugli sviluppi seguiti negli anni da questo modello, ritiene che la legislazione successiva abbia seguito un iter controverso. Non si è scelto di definire le competenze dell’autonomia funzionale nel sistema scolastico e quelle residuali di Stato e Regioni ma si è proceduto in senso inverso, determinando prima i limiti esterni di queste competenze. Sarebbe stato necessario inoltre intervenire a ridefinire gli ordinamenti (nei quali si concretizza la funzione sociale della scuola), rivedere gli Organi Collegiali e favorire lo sviluppo dell’autonomia finanziaria e organizzativa.
Facendo riferimento alle diverse articolazioni dell’autonomia presenti nel DPR 275/99, la Poggi richiama la parte del decreto che, definendole percentuali nazionali del curricolo riservate allo Stato, ha offerto una delega in bianco al Governo, depotenziando l’autonomia didattica. Sul versante delle risorse la relatrice richiama le recenti norme previste dalla finanziaria e sottolinea che la semplice attribuzione diretta dei finanziamenti alle scuole non realizza l’obiettivo dell’autonomia finanziaria che era invece quello di attribuirealle scuole una dotazione finanziaria in grado di consentire alle scuole di svolgere le loro funzioni. Se le scuole debbono garantire, con l’esercizio della autonomia funzionale, i diritti sul territorio, possono reperire ulteriori risorse ma non debbono essere costrette al loro reperimento. Le risorse non vincolate attualmente assegnate alle scuole dal decreto del ministero sono basse rispetto al totale, il trasferimento non è sufficiente, si continua a richiedere alle scuole che l’ampliamento dell’Offerta Formativa sia senza oneri per lo Stato.
L’elemento che maggiormente stride con l’autonomia organizzativa, prevista dal Regolamento dell’Autonomia, è però la mancanza di una rappresentanza delle scuole all’interno degli ambiti decisionali delle autonomie locali, con il rischio di un ruolo subalterno alle altre autonomie e l’instaurarsi di un”doppia dipendenza”. In relazione all'attuazione del Masterplan Poggi sottolinea la necessità di costituire, come è avvenuto per le Università e le Camere di Commercio, (altre autonomie costituzionalizzate dalla riforma costituzionale) organi di rappresentanza che diano voce alle scuole nel rapporto con lo Stato e con gli Enti Locali. Proprio per la possibilità che in tempi brevi si proceda alla definizione di leggi regionali sulla scuola, oltre che di quelle nazionali, e che si sviluppino processi di concertazione che coinvolgeranno le scuole, è urgente continuare a ragionare sul modello istituzionale dell’autonomia scolastica e costruire strumenti che superino il limite dato dal fatto che l’autonomia delle scuole non può essere difesa dalle scuole stesse (non possono ricorrere alla Corte Costituzionale) e dipende dalle scelte dei soggetti che in modo concorrente (Stato e Regioni) intervengono a dettare norme e principi.
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10:45
Dopo aver salutato i convegnisti e aver ringraziato gli ospiti che svolgeranno le relazioni sulle tematiche del Convegno, Armando Catalano, Responsabile nazionale dei Dirigenti Scolastici della FLC Cgil, ha sottolineato che, come nei Convegni degli anni passati, sia pur diversamente declinato, il tema rimane l’autonomia della scuola e il suo sviluppo.
Tutti fanno pubblici riconoscimenti all’autonomia ma poi agiscono contro l’autonomia. L’esempio dei Direttori generali, degli Enti locali, della autorità più varie, che pretendono di dettare regole di comportamento o di ingerirsi negli affari delle singole scuole, è lì a dimostrarlo.
Ora le Scuole Autonome hanno di fronte a sé una importante sfida lanciata con il Master Plan dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome: entro il 1 settembre 2009, forti della sentenza della Corte Costituzionale N. 13 del 2004, le Regioni intendono gestire e programmare la provvista di personale e gestire anche le relazioni sindacali. Il rischio non è solo la diversa esigibilità del diritto all’istruzione nelle diversi parti d’Italia, ma è anche lo spostamento di poteri ad un altro livello, quello regionale, che non è detto dia spazi maggiori all’autonomia delle scuole.
Le Scuole Autonome allora non solo devono riscoprire il valore delle reti che pure sono nate nel corso di questi anni e che vanno incoraggiate, ma debbono anche misurarsi con la possibilità di costituire in territori omogenei delle vere e proprie associazioni di scuola che, su contenuti specifici, diventino interlocutori con le istituzioni e i cittadini. Non eludendo il nodo della rappresentanza dentro queste forme associative. A partire dalla considerazione che le scuole non sono più emanazioni statali ma soggetti che traggono la loro esistenza dauna comunità specifica locale di cui sono espressione.
Le comunicazioni della prof.ssa Annamaria Poggi e del prof. Gianfranco D’Alessio ci daranno strumenti utili di comprensione su tali tematiche, sulle competenze dei soggetti come sui livelli essenziali delle prestazioni, a partire dall’approvazione del nuovo titolo V della Costituzione.
Le esperienze maturate sulle varie forme associative, portate qui dagli altri ospiti, potranno darci motivo di riflessione ma anche opportune indicazioni operative.
Nell’ambito di queste tematiche vanno rivisitati, finalmente, gli Organi Collegiali, di scuola e di territorio, e su questo le esperienze dei Dirigenti Scolastici e la relazione dell’Onorevole Alba Sasso potranno consentirci di approfondire la questione. I principi a cui attenersi sono comunque quelli disegnati dalla Legge Bassanini: la separazione delle competenze degli organi di indirizzo, organi operativo-professionali e organi di gestione. Così come rimane ineludibile il potenziamento della partecipazione come fattore di democrazia e di efficienza.
L’intervento si conclude richiamando la situazione politico-sindacale e l’impegno della CGIL e della FLC Cgil sui Contratti e in particolare sul Contratto della Dirigenza Scolastica, nell’ambito della rivendicazione più generale, anche di carattere politico culturale, riguardante il cosiddetto “memorandum” sulla conoscenza. La piattaforma dell’Area V della Dirigenza Scolastica è in discussione presso la categoria e per la fine di maggio sarà formalizzata alle controparti. Essa continua ad avere al centro l’equiparazione retributiva alle altre Dirigenze di Stato, accolta come raccomandazione, su nostra iniziativa, dal Governo nell’ambito di un ordine del giorno presentato il 19 novembre all’atto della discussione della Finanziaria 2007.
L’azione governativa sta mostrando forti ritardi se non vere e proprie falle sul piano anche della gestione concreta e della relazione con le istituzioni scolastiche: valga a questo proposito la sordità dell’Amministrazione e del Ministero sulla gravissima situazione delle risorse mancanti sulle supplenze. Cosa che solo di recente ha fatto registrare con gravissimo ritardo una resipiscenza del Ministero. Su questo i Dirigenti Scolastici e la FLC Cgil hanno martellato con le denunce e le proteste e non si fermeranno fino a quando non sarà fatta chiarezza su di un problema, che, se non capito e affrontato, mette in questione lo stesso diritto allo studio.
In questa fase l’impegno della CGIL sui grandi temi del welfare, dello sviluppo e della Pubblica Amministrazione, si intreccia con l’impegno della FLC Cgil sulla priorità, da far vivere al Paese come tale, dei temi della conoscenza che necessitano di investimenti e di lungimiranza.
Grandi maestri del pensiero, da Dewey a Gramsci a Don Milani, per giungere a pensatori contemporanei come E. Severino, hanno segnalato la centralità del sapere nell’evoluzione e nella civiltà umana. La CGIL e la FLC Cgil, richiamandosi a quei pensieri forti, intende coi suoi Dirigenti Scolastici proseguire lungo quella via inverando libertà e laicità, valori oggi fortemente scossi ma comunque alla base di ogni progresso umano.
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10:30
Si apre la prima sessione di lavoro “ Le autonomie”.
Presiede Amedo Zupi, Segretario generale della FLC Cgil dell’Umbria, che saluta tutti i partecipanti dando loro il benvenuto.
Antonio Bettoni, dell’esecutivo nazionale Proteo Fare Sapere, presenta l’iniziativa e spiega le ragioni del Convegno.
Il Convegno di Orvieto è il terzo appuntamento, annuale e consecutivo, che ha al centro il ruolo ed il profilo del Dirigente Scolastico dentro la scuola dell’Autonomia. Chiarisce che il Dirigente Scolastico svolge oggi un ruolo sempre più complesso e difficile, pressato tra doveri istituzionali e costituzionali, tra il dovere di organizzare e garantire il servizio scolastico e la difficoltà di far fronte a ciò per la mancanza di risorse adeguate. Lancia quindi quattro messaggi al mondo della scuola in generale, a chi ha a cuore la difesa della scuola pubblica e laica.
1) Autonomia e della libertà di insegnamento.
Per sottolineare il nesso esistente tra libertà di insegnamento, pluralismo culturale e organi collegiali. Non è più rinviabile il problema della riforma degli organi collegiali sia per adeguare le competenze del collegio dei docenti e del consiglio di istituto al nuovo modello delle scuole autonome, sia per dare vigore ad una nuova idea di partecipazione come condivisione educativa. E’ necessario poi che la libertà di insegnamento non sia usata come arma contro l’introduzione di novità.
2) Formazione aggiornamento.
L’autonomia va supportata con momenti di formazione di tutto il personale, in particolare del personale docente ed Ata. La scuola dell’Autonomia deve diventare luogo della formazione continua, dell’aggiornamento.
3) Valutazione.
E’ necessario diffondere la cultura della valutazione perché essa aumenta il radicamento dell’autonomia scolastica, perché porta alla valorizzazione. Mettere in pratica la cultura della valutazione significa anche dare un grande segnale alla società civile che spesso accusa la scuola di non volersi confrontare con giudizi dall’esterno. E’ giunto il momento di mettere in atto coerenti processi di valutazione e di autovalutazione.
4) Etica delle responsabilità.
E’ la responsabilità di tipo sociale; bisogna infatti legare l’autonomia all’etica della responsabilità per saper rispondere agli interessi ed alle aspettative degli altri, della società civile.
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10:15
È il duecentesco Palazzo del Popolo di Orvieto ad ospitare il Convegno nazionale su “ Autonomia scolastica: reti, associazioni, organi collegiali ” , promosso dalla FLC Cgil e dall’associazione Proteo Fare Sapere.
Le difficoltà delle scuole autonome ad esprimere compiutamente la loro identità culturale e progettuale nonché a realizzare la necessaria flessibilità organizzativa, didattica e di ricerca ha certamente varie cause, interne ed esterne. Ed è sul versante ministeriale e politico che vanno individuate sicuramente le maggiori responsabilità.
Il Convegno si articola in tre sessioni di lavoro nelle quali verranno esaminate ed approfondite le problematiche delle autonomie funzionali, dell’autorganizzazione delle scuole e dell’autogoverno di istituto. Ne discuteranno docenti universitari, dirigenti scolastici, rappresentanti delle istituzioni e delle scuole.
I lavori si chiuderanno nella giornata di domani con le conclusioni di Enrico Panini, segretario generale della FLC Cgil.