La proposta programmatica della FLC e della CGIL sulla conoscenza
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13:20
È Fulvio Fammoni, segretario nazionale della CGIL, a concludere i lavori della giornata.
Evidenzia che negli interventi, così come nel programma presentato nella relazione introduttiva da Enrico Panini, numerosi sono i punti importanti e di grande interesse.
Avevamo deciso, prosegue Fammoni, di analizzare il programma della conoscenza preparato tre anni fa per verificarne lo stato di attuazione e per rilanciarne i punti principali. Siamo stati costretti dalla situazione politica ad una accelerazione. Abbiamo quindi scelto di essere anche questa volta presenti nella campagna elettorale, perché non vogliamo certo che si torni indietro sui temi della conoscenza ma anche perché non consideriamo che tutto sia già stato fatto.
Questo è anche il modo di dimostrare nel concreto il nostro senso di autonomia: prima di tutto il voler esercitare il diritto di proposta, anche se questa è una scelta rischiosa.
I due aspetti fondamentali che sottendono ai nostri obiettivi programmatici sono l’uguaglianza, o meglio le pari opportunità sociali per tutti, e ciò che li rende perseguibili, cioè l’aumento del livello di formazione e di sapere.
Purtroppo su questo piano l’obiettivo Europa è ancora molto lontano, anche se l’Italia ne è uno dei paesi fondatori.
Se, ad esempio, guardiamo all’immigrazione da questo punto di vista, vediamo che gli immigrati sono molto spesso più formati della media dei cittadini italiani, ma ai figli degli immigrati non diamo la stessa opportunità di formazione che esiste per i cittadini italiani.
Parlando di futuro, continua Fammoni, il primo punto riguarda il metodo: forse il metodo del "cacciavite"
ha dimostrato di dare maggiori risultati di quello drastico delle modifiche globali, anche perché con tempi ridotti non si è riusciti a farle. Si veda come esempio la non abrogazione né modifica sostanziale della Bossi-Fini.
E’ però necessario che i soggetti che devono operare i cambiamenti siano coinvolti costantemente e sia chiaro a loro ed alla società il percorso complessivo. Questo non è successo nel passato. Un esempio è il faticoso arrivo al Memorandum della Conoscenza, di cui diamo un giudizio positivo, che però non si è attuato in nessuna sua parte anche perché è mancato ogni livello di coinvolgimento.
Sicuramente nel prossimo futuro noi:
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non permetteremo che si torni indietro;
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chiederemo con forza il completamento di ciò che è stato solo iniziato.
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ci batteremo perché le deleghe non siano utilizzate in direzioni diverse da quelle per cui sono state pensate e definite.
Per un sindacato che si basa sul valore della solidarietà è chiaro che non possiamo permettere attacchi alle persone, ai loro diritti, alla loro professionalità. Questo è il modo di esprimere la cultura del fare.
Altri elementi importanti riguardano i contenuti da attuare.
Il Titolo V che richiede un approfondimento perché si vada avanti in modo spedito, ma non divaricante tra un territorio ed un altro.
Ma anche il futuro professionale dei giovani laureati: troppo spesso non hanno più occasioni rispetto a chi non ha studiato: ci sono troppi precari.
Infine, Fammoni ricorda che quando parliamo di conoscenza parliamo anche della vita democratica del paese: una democrazia infatti ha bisogno di una informazione libera, ma anche di cittadini che abbiano senso critico.
Anche per questi motivi il sapere deve crescere perché è l’elemento centrale per lo sviluppo culturale, sociale, economico e democratico.
Noi, CGIL e FLC, saremo in campo per questi obiettivi.
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13:10
Amalia De Sanctis, segreteria CGIL Lazio, apre il suo intervento proponendo di dare una breve lettura territoriale delle proposte che oggi sono state presentate; partendo dal ruolo che “nell’economia della conoscenza” è rappresentato dal territorio.
Il ruolo del territorio è fondamentale: perché è il luogo della programmazione dell’offerta formativa, della raccolta della domanda, nell’organizzazione dei sistemi formativi locali.
Ha funzioni che gli derivano dal titolo V e anche poteri legislativi a livelli territoriali (ricerca e innovazione, infanzia, lavoro). Nel territorio si esercita la contrattazione e la concertazione sulle politiche formative, quindi molti dei risultati dipendono dall’interlocutore istituzionale di riferimento (Regioni e Province) ma anche, per alcuni aspetti, dalle associazioni datoriali, dalla loro scelta di competere in qualità e non attraverso l’abbassamento del costo del lavoro. Ma molto dipende dalle leggi, dagli indirizzi nazionali, senza le quali cementano le differenze tra le Regioni, viene meno quell’unitarietà nazionale che per noi è irrinunciabile, si rischia che il diritto al sapere diventi un diritto riconosciuto in modo diverso nel nostro Paese.
Quindi, legge sull’apprendimento permanente e legge sul diritto allo studio per tutti e tutto l’arco della vita.
Ripensiamo a quale scuola serve a questo Paese, prosegue De Sanctis, anche rispetto ai mutamenti che sono avvenuti nella nostra società - si riferisce, in particolare, alla presenza di alunni figli di immigrati (49mila solo nel Lazio). Cambiamenti che riguardano il livello di sistema formativo nazionale e, a seguire, il livello territoriale (per interventi di sostegno alle famiglie, ai servizi, ecc….).
Un ruolo più forte lo debbono svolgere anche alcuni sistemi formativi a partire dalle Università che (ad esempio nel Lazio) sono poco interessate e partecipi alla costruzione di quell’economia della conoscenza di cui oggi tutti parliamo.
Infine, conclude De Sanctis, sulla formazione continua. L’aumento in quantità e qualità della formazione dei lavoratori deve restare un nostro obiettivo. Oggi il lavoro è formazione, il sapere è parte fondante e non aggiuntiva del lavoro.
Le forze politiche debbono farsi carico di tale tema e favorire l’utilizzo e la scelta della parte datoriale al fine di un vero sviluppo di qualità.
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13:00
Pietro Lucisano , Docente di Pedagogia generale Facoltà di Filosofia - Roma 3, esordisce affermando che per produrre conoscenza bisogna mettere in campo uno sforzo cooperativo, solo in questo modo la conoscenza si rigenera e questo avviene solo quando si apprende veramente.
Fondamentale è partire dalla Costituzione e tenere insieme i valori del diritto all’istruzione e al lavoro. Bisogna rompere la barriera tra la conoscenza che si produce nelle scuole dall’altra conoscenza che nasce nei luoghi di lavoro, ecco perché i due valori vanno tenuti insieme.
La necessaria coerenza tra mezzi e fini per quanto riguarda la conoscenza non risponde alla realtà che viviamo. Occorre una conduzione competente, una linea e una guida che non seguano il vento del momento e delle emergenze. Inseguire le emergenze e cercare gli “untori” del momento e non indagare le ragioni ed i fenomeni che generano l’emergenza è negare la possibilità della soluzione dei problemi.
Il nostro è un Paese ricco ma la contraddizione forte è che a questa ricchezza corrisponde invece il maggiore ritardo sull’istruzione a livello internazionale. Non si possono prevedere solo politiche di tagli con la scusa di trovare soluzione agli sprechi, invece le risorse occorrono anche per poter programmare quelle iniziative utili ad evitare lo spreco delle risorse pubbliche.
La scuola, come l’università, vive una grande sofferenza perché grave è la crisi sociale che attraversa tutto il sistema. La fiducia nelle istituzioni è incrinata, non c’è corrispondenza tra chi governa il sistema e chi vi opera. Occorrono interventi strutturali e non a scadenza. Tra i più importanti: l’innalzamento dell’obbligo a 18 anni; la dovuta attenzione all’edilizia scolastica sia in termini della dovuta sicurezza, ma anche come offerta di luoghi e spazi adeguati per “stare bene a scuola”; un sistema di valutazione che guardi ai curricoli nazionali e non, o non solo a quelli internazionali, non si può ridurre tutto al saper leggere, scrivere e far di conto. Non si può ragionare in termini di sole abilità ma occorre soprattutto riflettere sul versante dei contenuti. Non servono formule gestionali ma interventi e riflessioni sui processi di conoscenza. Altro punto importante è il tema dell’autonomia e del centralismo, anche qui la contraddizione è forte: centralmente si afferma che il personale deve liberamente operare pensando in proprio e poi si fa di tutto per impedirlo.
Una vera autonomia presuppone che si possa davvero scegliere, anche se con poche risorse, e correggersi senza che qualcun altro ci dica, nella scuola come nell’università, come cambiare.
E’ necessario oggi, conclude Lucisano, ritrovare dei luoghi collettivi dove la comunità dei lavoratori della conoscenza possa ritrovarsi per riconoscersi e ricostruire dal basso gli elementi comuni a favore dello sviluppo della conoscenza ed avere la forza per forzare le scelte della politica.
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12:45
Daniela Di Giangirolamo, FLC Cgil di Bologna, nel suo intervento ha ricordato come tutti i settori della conoscenza sono da anni fortemente penalizzati da una precarizzazione selvaggia che non consente di farne né un sistema inclusivo né di innovazione i livelli di qualità.
La condizione di precario non consente l’aggiornamento costante, la programmazione a medio-lungo termine, la valutazione dei risultati, ovvero limita fortemente la crescita professionale.
Difendere il lavoro e i diritti dei lavoratori nei settori della conoscenza significa rilanciare la crescita culturale e l’innovazione del nostro Paese.
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12:35
Franca Cecchini, segreteria CGIL della Toscana, ha esordito ricordando che in Toscana negli ultimi 5 anni è crollato il tasso di dispersione scolastica (-10%).
C’è una propensione forte dei toscani verso percorsi formativi sempre più specializzati ma spesso si lasciano indietro le fasce più deboli.
Educazione permanente: meno del 7% degli adulti toscani fa attività di ogni tipo. Le attività degli adulti sono finalizzate al reimpiego (fascia debole 45-55).
Formazione erogata di indiscussa qualità. Manca il raccordo con il sistema delle imprese, molto polverizzato, poco propenso - date le diminuzioni delle aziende – ad investire in formazione. Infatti in Toscana è stato concentrato un incentivo alle imprese per l’assunzione a tempo indeterminato di giovani laureati.
I poli della Ricerca (finanziata per lo più dal pubblico) sono eccellenti (3 università più 2 grandi CNR) ma produce cervelli e talenti che emigrano, poiché manca il passaggio delicato relativo al trasferimento tecnologico.
Col nuovo FSE 2007-2008 indirizzeremo con veri posti per l’occupazione e lo sviluppo le risorse verso questi assi.
Irrompere nel sistema produttivo con la formazione significa leggere i territori per anticipare le crisi e anticipare le tendenze della crescita per costruire un lavoro migliore, un Paese più equo.
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12:20
Francesco Lenci, ricercatore del CNR di Pisa nonché rappresentante eletto dai ricercatori nel Consiglio scientifico generale, ricorda che per anni si è detto che la conoscenza era il volano dello sviluppo del paese pur senza dare più risorse né umane né finanziarie.
Malgrado ciò i ricercatori italiani hanno continuato a produrre risultati. Ciò che è fondamentale anche per lo sviluppo del Paese è la ricerca di base, quella libera finalizzata all’avanzamento della conoscenza.
Questo è stato da tempo compreso negli altri paesi. In Italia si sceglie invece di privilegiare con pochi soldi la ricerca per progetti: ciò porta ad un depauperamento culturale dei ricercatori e alla crescita dei giovani.
La politica deve saper fare delle scelte. La comunità scientifica deve saper assumere un ruolo forte: di collaborazione, di apertura al di la delle lobbies e dei poteri, di una valutazione scientifica, ma anche etica.
Qualunque sistema basato sulle logiche utilitaristiche e mercantili porta a disuguaglianze, emarginazioni di una cultura di solidarietà e della pace.
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12:10
Gabriella Refuto, segretaria generale della FLC Cgil di Napoli, nel suo intervento è partita da una grande speranza di sognare per poi analizzare le gravi difficoltà del sistema formativo in particolare nel Mezzogiorno.
Ha evidenziato quali debbano essere gli indicatori di qualità e ha sottolineato i limiti anche strutturali dell'attuale sistema di istruzione a Napoli e in Campania.
Ha chiuso il suo intervento con un caloroso invito a poter continuare a sognare.
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12:00
Il prof. Nicola Colaianni, docente di Diritto costituzionale, non ha potuto partecipare ai lavori. Pertanto, abbiamo deciso di leggere un suo contributo sul tema scritto per Rassegna Sindacale che è stato letto da Gianna Cioni, segretaria nazionale della FLC Cgil.
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11:50
Paola Verrucchi, ricercatrice INFM-CNR Genova, affronta la questione della valorizzazione degli investimenti nel settore della ricerca.
A partire da un approccio “micro” afferma che lo stato italiano spende ed investe nella ricerca e nello sviluppo professionale dei ricercatori.
Nei suoi 14 anni di precariato – che lei però definisce carriera ed esperienza personale vissuta in diverse istituzioni italiane ed europee, oltre 500.000 € sono state le sue retribuzioni lorde.
La condizione di precarietà e/o flessibilità di prestazione del suo lavoro, nel combinato disposto dall’approccio tutto italiano alla valorizzazione dei ricercatori, impedire “de facto” la piena efficienza ed efficacia del loro lavoro e quindi dell’investimento fatto sui ricercatori. Nello specifico, la Verrucchi, richiama la natura del lavoro di ricerca e il modo in cui esso ha storicamente prodotto risultati scientifici e progresso umano, denunciando il dato che in Italia tutto tende a mortificare tale natura e la libertà necessaria e garantirla.
Alla politica la Verrucchi chiede:
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un dialogo più stretto con gli addetti alla ricerca per prendere decisioni “informate”;
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considerare i ricercatori a tutto campo eliminando steccati istituzionali (EPR vs Università ad esempio) favorendo la mobilità più estesa;
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valorizzare gli organi scientifici nella gestione degli enti;
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ispirarsi quanto più possibile alle indicazioni del Consiglio Europeo della Ricerca.
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11:30
Il primo intervento è del Prof. Mario Giovanni Garofalo, Docente di diritto del lavoro e preside della Facoltà di Giurisprudenza di Bari.
Garofalo mette in evidenza il difficile rapporto tra il mondo politico ed il sistema universitario.
Disinteresse per i problemi di struttura degli Atenei e scarsità di finanziamenti, nettamente al di sotto degli altri Paesi, hanno accompagnato i mutamenti di sistema che hanno portato da un’Università di elite ad un’Università di massa.
E’ sbagliato puntare, come ad esempio si è fatto nella passata esperienza del Governo di centro-destra e come pare sostenuto dalle recenti posizioni espresse da alcuni Atenei del centro-nord, alla distinzione tra Università di ricerca ed Università di insegnamento. L’insegnamento universitario è, per definizione, intreccio inscindibile tra ricerca ed insegnamento; se non c’è la prima, non è vera Università. La proposta, dunque, significa, nei fatti, tornare all’Università d’élite. Serve invece un sistema che accompagni il crescere di una società della conoscenza con un livello qualitativo sufficientemente alto del sistema complessivo.
Occorre un sistema di autogoverno che non può essere che un Consiglio Universitario Nazionale (CUN) riformato nei compiti e soprattutto nei meccanismi elettorali che ne modifichino l’attuale composizione di tipo corporativa.
Il sistema di valutazione, corollario per una Autonomia efficace ed utile per il Paese, deve essere di sistema ed anche di singolo Ateneo, ma non per individuare “i bravi” ma per valutare la corrispondenza tra obiettivi assegnati e risultati raggiunti.
Indispensabile è però che la valutazione sia fatta da un soggetto indipendente dal potere politico.
Dovremo chiedere alla politica un piano di reclutamento straordinario di ricercatori ed una valutazione attenta dei risultati prodotti dal cosiddetto 3+2. Va separato nettamente l’accesso alla docenza universitaria (con ruolo unico e progressione per merito scientifico), dalla progressione di carriera. Per il personale tecnico-amministrativo, oltre ai problemi che affliggono tutto il Pubblico Impiego, si aggiunge in qualche caso “l’invadenza” del personale docente. Va separata con nettezza la gestione dalla funzione di indirizzo politico e controllo, la didattica/ricerca dalla gestione amministrativa.