Convegno nazionale dei Dirigenti scolastici "I tempi della scuola nel tempo dell'autonomia" - Prima giornata

  • 17:40

    I lavori proseguono con alcune considerazioni e riflessioni di Enrico Panini, Segretario generale FLC Cgil, al termine delle quali inizia il dibattito con gli interventi dei partecipanti.

    Sono intervenuti i Dirigenti scolastici: Pino Greco - Umbria, Antonio Giacobbi - Veneto, Addolorata Zingarello - Puglia, Giulio Pavanini - Veneto, Riccardo Badino - Liguria.

  • 17:15

    Nel suo intervento Leo Stilo, Dirigente scolastico, ci ricorda che la scuola superiore italiana registra oggi un alto numero di insuccessi. Occorre cercare soluzioni adeguate per risolvere il problema, superando il tradizionale rapporto docente - classe ed il luogo comune che considerala qualità dell'apprendimento come una variabile dipendente quasi esclusivamente dalla volontà dello studente. Fino ad ora la politica non ha investito nella ricerca, nella formazione del personale e nella qualità delle strutture; viceversa, il nostro Sindacato ha messo in atto azioni concrete ed ha posto al centro delle sue politiche rivendicative la Conoscenza e i saperi; le nostre proposte e quelle delle associazioni professionali democratiche hanno inoltre favorito l’introduzione dell’obbligo di istruzione a 16 anni.

    Per Stilo risulta essenziale analizzare le ragioni dell'insuccesso per proporre strategie di recupero e di sostegno adeguati alle esigenze degli studenti più deboli, in cui il ruolo dell’insegnante diventa determinante per il successo formativo di ogni studente. Solo ribaltando l’ottica di lettura del problema, mettendosi dalla parte dello studente potrà essere adeguatamente indagato il complesso rapporto insegnamento/apprendimento come luogo istituzionale ma anche e soprattutto, luogo di relazione individualizzata.

    Il nodo della questione, pertanto, è la capacità dell’insegnante di indagare le cause che abbiano determinato nell’allievo le eventuali difficoltà di apprendimento e utilizzare il momento della valutazione, in funzione diagnostica, ai fini della costruzione di un percorso di sostegno e rimotivazione allo studio.

    In questo senso, prosegue Stilo, la normativa fissa alcuni punti chiave in base ai quali le istituzioni scolastiche secondarie possono attivare le attività di recupero e di sostegno. Sul piano normativo, con la legge 8 agosto 1995 n. 352., il Dm 80/07 e l’OM 92/07 le attività di recupero e di sostegno sono diventate parte ordinaria e integrante del POF.

    Sul piano strettamente didattico, ogni istituzione scolastica dovrà riallineare gli apprendimenti, rimotivare ed eventualmente riorientare allo studio; dovrà trovare nuovi luoghi per nuove relazioni individualizzate e costruire un progetto formativo individualizzato finalizzato ad adattare le risposte formative alle caratteristiche degli studenti ed ai contesti di apprendimento, assumendo principi pedagogici confermati dalla ricerca degli ultimi decenni.

    Resta da chiedersi quali siano le reali condizioni di fattibilità e, non ultimi i fattori di successo. Per le prime importanti sono:

    • l’essenzializzazione dei programmi per indirizzare l’insegnamento sui nuclei fondanti delle discipline;

    • l’utilizzo della quota di flessibilità del 20% per potenziare le ore di insegnamento nelle discipline a rischio debiti e/o per percorsi di eccellenza;

    • la progettazione di un orario delle lezioni che consenta di attivare modalità organizzative della didattica più efficaci (classi aperte, gruppi di livello, ecc.).

    Per le seconde, sul piano più strettamente strutturale, non si può prescindere da una formazione pedagogico didattica dei docenti , da una valutazione del modo in cui essi lavorano e dall’organico funzionale.

    A queste condizioni, conclude Stilo, è possibile parlare di fattori di successo che risultino davvero determinanti e, fra questi direi, innanzitutto: il coinvolgimento collegiale, l’innovazione del sistema di reclutamento, la costruzione di migliori prospettive di progressione retributiva legate all’impegno e al merito, il rafforzamento della formazione in servizio funzionale ai bisogni formativi, l’incontro fra competenze e aspirazioni degli insegnati e le esigenze delle scuola.

    Vai alla versione integrale e alle slide di presentazione della comunicazione.

  • 16:30

    Antonio Valentino, Dirigente scolastico, apre il suo intervento con alcune osservazioni di fondo:

    • Il tempo scuola non è un contenitore neutro; la sua articolazione interna alla giornata o all'anno scolastico rinvia a diverse idee di scuola e a diversi modelli organizzativi.

    • Nei vari ordini di scuola abbiamo diversi regimi orari e diversi modelli in alternativa, ma non abbiamo studi e ricerche in grado di darci informazioni sulle ricadute e valore delle diverse scelte.

    • Col termine TS ci si riferisce generalmente all'orario scolastico delle lezioni (le ore del Piano studi) e quindi al tempo dell'insegnamento, non comprendendo a. attività funzionali, b. attività di scuola aperta.

    Nel dettaglio, individua alcuni punti.
    I tempi delle attività funzionali all’insegnamento, piuttosto che come tempi del confronto, della condivisione, delle decisioni obbliganti sulla gestione del PFC sono vissuti con fastidio, peso oppure come rito obbligato. Colpa di norme contrattuali ambigue o sbagliate, che incoraggiano comportamenti deresponsabilizzanti.

    Mancano, poi, totalmente lo spazio e le forme di riconoscimento per la formazione e la ricerca, lasciate alla libera iniziativa dei singoli e spesso ignorate.

    I tempi della scuola aperta si configurano generalmente fuori da un progetto unitario, come tempo scuola accessorio, non certo come luogo degli apprendimenti sensati e condivisi, dello studio, della crescita guidata, della responsabilità.

    Nel concludere il suo intervento, Valentino individua gli obiettivi di fondo del convegno, che saranno quelli di verificare e affinare:

    1. la nostra idea di scuola a partire da questa nostra riflessione, privilegiando l'idea di scuola come luogo dell'apprendimento guidato;

    2. la possibilità di prospettare qualche correttivo nelle politiche sindacali (con riferimento ai tempi delle attività funzionali, della formazione e della ricerca) a partire da obiettivi di miglioramento della struttura organizzativa e della sua coerenza con obiettivi di miglioramento del fare scuola;

    3. proposte organizzative riguardanti la gestione di alcuni tempi che, a quadro normativo invariato, ci facciano fare qualche passo (ad esempio, includendo tra i momenti formativi anche i tempi per le attività funzionali canonici).

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  • 15:45

    La giornata prosegue con la seconda sessione di lavoro " Oltre il tempo della didattica: le attività funzionali, la relazione educativa, il sostegno personalizzato", introdotta da Saverio Lasorsa, Presidente regionale Proteo Fare Sapere Umbria.

    La prima comunicazione del pomeriggio " Riflettere sull’uso del tempo un dispositivo di analisi per contesti educativi di diverso ordine e grado" è quella di Monica Ferrari, Docente di Pedagogia generale e sociale all'Università di Pavia, di cui pubblichiamo una sintesi e in allegato il testo integrale.

    "Partendo dal tema della riflessione come aspetto centrale del processo di apprendimento e della relazione educativa, ci si soffermerà qui soprattutto sul problema delle competenze di un insegnante riflessivo che non prescinde dalla valutazione del contesto in cui egli stesso è un attore ed in cui l’uso del tempo ha grande rilevanza. Chi lavora a scuola fa i conti con un tempo predeterminato, grande contenitore che sembra inibire talora la possibilità di decidere azioni pedagogicamente orientate, nello scontrarsi con una serie di circostanze. Infatti l’insegnante, schiacciato tra il tempo dell’istituzione, il tempo dei singoli con le loro esigenze e i loro problemi imprevedibili, il tempo del gruppo in apprendimento, attraversato da complesse dinamiche interpersonali, fa spesso fatica a modulare un’azione didattica mirata ed efficace che ricomponga il tempo dei singoli e quello del gruppo nei contesti istituzionali. Il tempo è uno dei elementi che maggiormente condizionano il fare a scuola e che, unito allo spazio, [1], costituisce quella serie di elementi pedagogici “latenti” [2] sottesi al fare di adulti e bambini sulla scena educativa. Nel complesso circuito della comunicazione umana, proprio di questi elementi latenti della comunicazione educativa si nutre la scelta formativa quotidiana che lascia una traccia nel processo di individuazione degli allievi e nel costituirsi dell’identità professionale degli adulti che si occupano di loro.

    Tra gli strumenti di valutazione formativa della qualità dei contesti educativi messi a punto da un gruppo di ricercatori pavesi negli ultimi anni [3], comunque mirati ad incentivare occasioni di crescita in consapevolezza dei docenti, l’osservazione della giornata educativa - cui si è fatto ricorso in diversi contesti dal nido alla secondaria a partire dai primi anni Novanta [4] - è particolarmente utile ai fini di una discussione sull’impiego del tempo. Si tratta di un metodo osservativo fortemente influenzato da suggestioni goffmaniane [5] e da una costante attenzione alla serie di impegni diretti che vincola tra loro i partecipanti ad una riunione in un contesto “istituzionale”.Questo percorso osservativo, che giunge fino alla messa a punto di una griglia riassuntiva degli eventi sociali esperiti dai gruppi, diviene un’occasione di training del docente all’analisi intersoggettiva della qualità dei contesti formativi, alla sistematicità dell’indagine, alla conoscenza del proprio operare in situazione, alla consapevolezza di una proposta pedagogica che gli allievi vivono - e che altri adulti colgono nel suo farsi in un dato momento nel tempo e nello spazio-, alla imprevedibilità del quotidiano e alla decisione nel corso dell’azione. È qui che osservazione e riflessione sull’impiego del tempo divengono un dispositivo formativo per gli insegnanti – in servizio e in pre-service training -, per il ricercatore. Sappiamo poco circa il farsi degli eventi sociali nel corso delle giornate a scuola nel succedersi di situazioni spesso non allestite consapevolmente con finalità educative, ma dettate dall’”urgenza dell’azione” [6]. Osservare il quotidiano vuole dire anche raccogliere informazioni per attivare un dispositivo di analisi intersoggettivo degli eventi sociali, per conoscere e per conoscersi nel mentre dell’azione. Su queste spie del gioco sociale dovremmo concentrare maggiormente l’attività di ricerca con gli insegnanti per cogliere, tra osservazione del contesto e valutazione formativa, gli indizi delle “mosse” che costruiscono e sostengono, nella pratica e nel tempo quotidiano oltre che con il passare degli anni, la riflessività docente all’uso del tempo e dunque anche la riflessività dei gruppi umani in apprendimento.

    [1] Cfr. A. Bondioli, a cura di, Il tempo nella quotidianità infantile, Azzano San Paolo, Bergamo, 2002; A. Bondioli, G. Nigito, a cura di, Tempi, spazi, raggruppamenti, Azzano San Paolo, Bergamo, 2008; M. Ferrari, “L’impiego del tempo nella scuola secondaria. Una proposta di analisi”, in A. Bondioli, M. Ferrari, M. Marsilio, I. Tacchini, a cura di, I saperi del tirocinio, Milano, Franco Angeli, 2006.

    [2] Cfr. E. Becchi, “Pedagogia latente. Una nota” , in Quaderni di didattica della scrittura,3,2005,pp.105-113.

    [3] Per una rassegna dei diversi strumenti cfr. A. Bondioli, M. Ferrari, a cura di, Verso un modello di valutazione formativa, Azzano San Paolo, Bergamo, Junior, 2004.

    [4] Cfr. Insegnamenti Pedagogici del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia, La giornata educativa nella scuola dell’infanzia, Bergamo, Junior, 1993; M. Ferrari, a cura di, Insegnare riflettendo, Milano, Franco Angeli, 2003.

    [5] E. Goffman (1963), Il comportamento in pubblico, trad. it. Torino Einaudi, 1971.

    [6] D. A. Schön (1983), Il professionista riflessivo, trad .it. Bari, Dedalo, 1993.

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  • 13:15

    I lavori di questa prima sessione di lavori sono sospesi e riprenderanno questo pomeriggio con la prosecuzione delle comunicazioni previste e il dibattito.

  • 12:40

    Tra le comunicazioni di questa mattina era prevista quella di Silvano Tagliagambe, prof. Ordinario di Filosofia della Scienza e Psicologia dinamica dell'Università di Sassari. Al prof. Tagliagambe, che non potrà essere presente per ragioni di salute, facciamo i nostri migliori auguri per una pronta guarigione.

    Una sintesi della sua comunicazione viene fatta da Antonio Valentino che lo stesso Tagliagambe cita in apertura del suo contributo pubblicato integralmente in allegato.

    "Antonio Valentino identifica la causa primaria della scarsa qualità del nostro sistema scolastico col modello di scuola ancora imperante (centrato su aula, lezione frontale, interrogazione senza attenzione formativa, contenuti disciplinari spesso scoordinati e accademici di cui non si esplicita il senso e la ragione e di cui non si colgono gli intrecci, gruppo classe come unità indistinta ecc.).

    Analisi condivisibile perché evidenzia il ruolo che ha, nell’ostacolare un serio ripensamento dell’impianto del lavoro scolastico, l’immutabile (e mitico) riferimento al gruppo classe e l’attribuzione a esso di una funzione educativa. È stata questa convinzione a impedire, in concreto, di trovare serie alternative alla lezione frontale e di individuare modalità di organizzazione della didattica capaci di offrire una pluralità di contesti e di situazioni di lavoro pertinenti con il loro progetto di formazione.

    Ciò premesso, quattro sono i fattori essenziali ai fini di un autentico ed efficace cambiamento dei processi d’insegnamento / apprendimento:

    Il primo - Spazi/tempi di nuova concezione, aperti e flessibili
    Intesi per stimolare e consentire uno stile di effettiva cooperazione, essi devono prevedere anche il collegamento programmatico tra insegnamenti teorici e tecnico/pratici (centrando, così, il duplice obiettivo di ridurre l’eccessiva frammentazione disciplinare e di favorire la valorizzazione delle competenze che derivano dal saper fare).

    Il secondo - Una didattica basata su un “clima di laboratorio”
    Per costruire un solido nucleo di competenze “trasversali” e di cittadinanza (con particolare attenzione all'area tematica che potremmo denominare "teoria del ragionamento"), è fondamentale

    - puntare su una a metodologia didattica capace

    • di servirsi di tutti gli strumenti di cui disponiamo per pensare,

    • di insegnare a distinguerne e a padroneggiarne le specificità,

    • di promuovere negli studenti la capacità di autoregolazione e di autorganizzazione;

    - favorire lo sviluppo di un“clima di laboratorio” (più che la distinzione rigida e fisica tra aula e laboratorio), dove lo studente sia attivo con la testa e con le mani, sia coinvolto emotivamente in quello che fa e impari a pensare per modelli.

    Il terzo - L’operativizzazione della conoscenza
    La conoscenza non può essere pensata come l’apprendimento di regole e concetti che descrivono il mondo:“comprendere una formula generale” significa saperla applicare in modo corretto.

    Secondo il Quadro Europeo delle Qualifiche (QEQ), la competenza è la capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale”; definizione che valorizzata fortemente la dimensione operativa (autonoma e responsabile) della conoscenza. L’insufficiente propensione della scuola italiana a tenere adeguatamente conto di questa componente è una delle cause (e certo non la più trascurabile) dei risultati, tutt’altro che brillanti, ottenuti dai suoi studenti.

    Il quarto - La scuola come sistema aperto
    La reciprocità dei processi di “pensare” e “fare”, visti come complementari e non separati, rende necessario ricorrere a esperienze di soggetti qualificati esterni al sistema scolastico - per esempio a centri professionali qualificati e all’alternanza scuola/lavoro - per variare gli approcci, diversificare i contesti, ampliare il quadro di riferimento; significa superare il modello della scuola come sistema chiuso e aderire pienamente a un modello aperto di organizzazione a rete.

    Ciò comporta, per quanto riguarda i processi di insegnamento/apprendimento, una differente impostazione rispetto alle pratiche tradizionali: questi processi devono essere progettati, realizzati e valutati non da singoli docenti o esperti che procedano in modo del tutto autonomo, ma da soggetti collettivi, che siano, possibilmente, ben strutturati al loro interno in modo da costituire, a tutti gli effetti, un’organizzazione".

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  • 12:00

    " Il tempo scuola nella legislazione di alcuni paesi europei" è il tema della comunicazione di Antonella Turchi, Unità italiana di Eurydice. Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica.

    Vai alla versione integrale e alle slide di presentazione della comunicazione.

  • 11:25

    L’intervento di Gianni Carlini, Dirigente scolastico, si apre con la preoccupazione che il nuovo contesto politico, venutosi a creare dopo le elezioni del 13/14 aprile, possa rappresentare un ulteriore ostacolo alla piena realizzazione dell’autonomia scolastica. Anche se non si conoscono ancora le linee programmatiche del nuovo Ministro, sulla base delle intenzioni espresse durante la campagna elettorale, si può infatti prevedere una ripresa degli indirizzi e delle scelte che hanno caratterizzato l’era Moratti. Ancora dunque un’autonomia “bloccata” che stenta a prendere il volo a un decennio dalla sua istituzione e che non è stata valorizzata e “rispettata” del tutto neanche dal Governo che conclude in questi giorni il suo mandato, basti pensare al controverso decreto sul recupero dei debiti scolastici che interviene pesantemente sull’autonomia delle scuole, costringendole a rivedere ad anno scolastico iniziato il loro assetto organizzativo e definendo la durata degli interventi, la loro collocazione temporale e gli strumenti di supporto alla progettazione e alla realizzazione delle attività.

    Quale dunque la flessibilità possibile?

    Certamente non più e non solo quella necessaria agli adempimenti richiesti da qualcun altro e un “pozzo senza fondo” dal quale “pescare” i tempi e gli spazi per le varie “educazioni” e i mille progetti richiesti continuamente alle scuole,ma soprattutto una flessibilità che restituisca alle istituzioni scolastiche tempi distesi e compatibili con le necessità di riflessione sulle esperienze, con le esigenze di adeguamento e sviluppo delle professionalità del personale e con i tempi per una progettazione e pianificazione delle attività e per la loro valutazione; una flessibilità “arricchita” da risorse economiche e tempo di lavoro dei docenti adeguati alle esigenze formative degli alunni e degli studenti; una flessibilità che consenta infine alla scuola di riflettere sui processi di insegnamento apprendimento, profondamente cambiati rispetto al passato.

    Alla realizzazione di queste condizioni, prosegue Carlini, è decisivo lo scenario nel quale si lavorerà nei prossimi anni: la scuola non cesserà certo di fare il suo lavoro, potrà farlo meglio o peggio,ma se saranno di nuovo bloccati i processi di valorizzazione dell’autonomia, si correrà il rischio di bloccare di nuovo, come è già avvenuto nel passato, il percorso dell’autonomia.

    Le scuole autonome possono però contribuire a scongiurare questo rischio, consolidando la capacità di condividere e di rappresentarsi, per modificare lo scenario nel quale operano.

    Occorre perciò, conclude Carlini, che le scuole non smettano di “parlarsi” e di “guardare dentro le altre scuole”, di costruire alleanze e di farsi riconoscere dalle altre autonomie del territorio per la loro funzione e il loro valore, anche attraverso l’ampliamento e il rafforzamento delle reti.

    Vai alla comunicazione integrale.

  • 10:45

    La prima delle tre comunicazioni previste per la sessione di questa mattina è di Dario Missaglia, responsabile “education” della Fondazione Di Vittorio.

    Ecco una breve sintesi del suo intervento.

    "La pesante sconfitta elettorale rende necessaria una riflessione chiara, profonda e partecipata sulle ragioni di una sconfitta che non trova le sue origini più profonde in Berlusconi ma nei processi di cambiamento della nostra società che non abbiamo saputo interpretare e rappresentare.

    Non è allora forse inutile chiedersi, con tutta la provvisorietà di tesi da riscontrare, quali possono essere alcuni nodi di natura più generale che potremo trovarci di fronte. In particolare, i provvedimenti del Ministro Moratti si erano mossi sul filo rosso di un nodo molto esplicito: il rapporto tra autonomia scolastica e nuovo ruolo delle famiglie. Una invenzione ideologica smentita dai fatti che tuttavia ha impedito di farci leggere ciò che in realtà stava radicalmente mutando: la crescente divaricazione anche conflittuale tra scuola e famiglie. Il rischio che liberismo educativo e familismo tornino prepotentemente, è molto alto. Questo scenario ha effetti sul tempo della scuola, erode quel tempo largo della scuola sul quale è cresciuta la scuola pubblica, il suo ruolo sociale. Mette in discussione le ragioni di fondo del Pof che suppone una centralità dell’offerta e non della domanda. Per questo abbiamo bisogno di avviare nuove e forti politiche territoriali, valorizzando le reti di scuole e perseguire l’associazione delle scuole autonome per sollecitare una crescita anche culturale delle autonomie locali.

    Solo se crescerà il tempo largo della scuola, crescerà anche il tempo interno alla scuola, il suo modello organizzativo, una divisione del lavoro sempre più forte nella articolazione di competenze lavorative e responsabilità definite. Per questo la scelta strategica dell’autonomia va confermata sapendo che il tentativo di spostare la scuola verso un nuovo patto corporativo con l’amministrazione, sarà prevedibilmente forte".

  • 10:15

    Armando Catalano, Responsabile nazionale Dirigenti scolastici FLC Cgil, ci introduce ai lavori della sessione " Il tempo scuola come variabile dipendente". Questa la sintesi del sua relazione che pubblichiamo anche in versione integrale.

    "Il tema di quest'anno vuole parlare in modo diretto e approfondito alle "corde professionali" dei Dirigenti scolastici. "Il tempo della scuola nel tempo dell'autonomia" vuole richiamare, infatti, l'attenzione sulle ipotesi di lavoro nell'uso del tempo e dell'organizzazione scolastica per cogliere il massimo delle opportunità offerte dall'autonomia.

    Il tempo della scuola non è il tempo dell'economia, non è il tempo del consumo che pervade ormai in maniera onnivora e ossessiva la nostra società, non è nemmeno il tempo della politica.

    Il tempo della scuola è nient'altro che il tempo della crescita culturale e civile dei bambini e degli adolescenti del nostro tempo. Bambini e adolescenti "diversi" dagli infanti e adolescenti del passato con cui avere un rapporto più qualificato che faccia i conti con la "insufficienza" della società e della famiglia sullo stessoterreno dell'educazione.

    Quali pratiche mettere in atto sul piano organizzativo, come uscire da una stanca ritualizzazione della collegialità, come ricavare spazi diversi e interpersonali fra docente e discente, come gestire la flessibilità. Questi i temi da mettere sotto osservazione. Così come da indagare e far crescere è la dimensione della ricerca e sperimentazione che manca nella pratica della scuola italiana.

    Tutti abbiamo dei compiti da assolvere. In primo luogo noi, operatori scolastici, non aiutati da nessuno (e ne dobbiamo prendere atto) dobbiamo autoinventarci le nostre buone pratiche dentro gli spazi aperti dell'autonomia. Ma anche le Organizzazioni sindacali devono, tramite il Contratto, rivedere gli spazi del lavoro funzionale e gli obblighi della formazione in servizio. Mentre la politica dovrebbe non solo portare a termine un cammino interrotto, con la riforma degli Organi collegiali ad esempio, ma dovrebbe dare il suo contributo decisivo in termini di investimento sulla scuola e soprattutto in termini di "disintervento" e comportamento "recessivo" da parte del Ministero. Nel senso che sulle questioni di gestione scolastica il Ministero deve "recedere" dalle sue intromissioni costanti sulla vita della scuola (vedi i progettini alla "scuole aperte" o le intromissioni sul recupero dei debiliti scolastici) limitandosi a dare risorse certe al 1 settembre di ogni anno, fissare gli obiettivi e fare verifiche sui risultati. Alla scuola il compito di raggiungerli con i suoi liberi percorsi attuativi.

    Altro indispensabile passo è per noi la liberazione delle scuole da incombenze amministrative improprie, non specifiche, perché non finalizzate allo specifico scolastico: ricostruzioni di carriera e pratiche pensionistiche del personale, confezione delle graduatorie di istituto, trattamento cartaceo delle pratiche ecc.

    In questo contesto noi vediamo una leadership dei Dirigenti scolastici assai cresciuta in questi anni. Vediamo una considerazione sociale e nell'ambito dell'Amministrazione che prima era carente. Da questo punto di vista suona ancor più inaccettabile che a 30 mesi dalla scadenza del Contratto 2006-2009 non si siano ancora avviate le trattative contrattuali e che non sia ripreso il cammino che porti a termine l'ormai annosa questione dell'equiparazione retributiva alle altre dirigenze di stato. Ma per questo non manche ranno le conseguenti e coerenti iniziative unitarie di lotta".

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

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