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Marina De Somma è un'insegnante precaria presso l'ISA San Leucio di Caserta e porta il suo contributo alla discussione.

"Carissime compagne e compagni, buongiorno. Mi chiamo Marina De Somma e sono un'insegnante di materie letterarie, precaria. Ho dieci anni di esperienze didattiche diversificate, maturata su un territorio “difficile” come quello Casertano, un territorio dove il 30% degli adulti in età lavorativa ha difficoltà a leggere e decodificare un testo breve e dove la dispersione scolastica, soprattutto negli istituti superiori, arriva a punte del 15-20%

Nell'ultima newsletter che il MIUR ci ha inviato in posta elettronica, si celebra la Riforma della secondaria di secondo grado, in vigore già dal prossimo 01 settembre 2010, adottata nelle prime classi: si sbandiera una nuova scuola, al passo coi tempi, caratterizzata da qualità e modernizzazione, realizzata perfino con una diminuzione generalizzata del carico orario e del numero di materie.

Per gli Istituti Tecnici, in particolare, l'intervento “riformatore”, di riordino e riorganizzazione sarebbe motivato dall'acquisizione di una nuova identità, fondata sulla cultura tecnica e scientifico-tecnologica, che in teoria ne dovrebbe esaltare il ruolo, all'interno del sistema nazionale di pubblica istruzione.

La pratica ci consegna una realtà ben diversa: sono 66 le ore frontali di lezioni in meno al biennio e ben 132 per il triennio. Si fa tabula rasa di esperienze pluriennali di sperimentazione pedagogica e didattica, che avrebbero meritato un attento esame dei risultati ottenuti, teso a generalizzarne le positività riscontrate. Ma la fretta riformatrice, sostenuta da innegabili motivazioni di risparmio economico e di riduzione del personale, non ha consentito di soffermarsi a riflettere.

Che esista una necessità strutturale nella secondaria di secondo grado e nei tecnici in particolare, di una rivisitazione del progetto didattico e formativo è cosa nota, ma la tanto pubblicizzata modernizzazione parrebbe non emergere dai regolamenti appena approvati; basti per tutto osservare la struttura delle due macro aree previste, settore economico e settore tecnologico, con 11 indirizzi totali, a fronte dei 39 precedenti, che sollevano una rilevante perplessità rispetto alla capacità di rappresentare fattivamente le richieste del mondo del lavoro, sempre più complesso, con una offerta formativa di fatto più debole e generalista.

Ad esempio proviamo a calarci nelle previsioni normative ministeriali e immaginare cosa succederà, a breve, alle sperimentazioni PACLE ed ERICA, tra le realtà più avanzate di sperimentazione pedagogico-didattica negli istituti tecnici. Nei quadri orari di questi due indirizzi, sono centrali le materie tecniche e le lingue straniere, due nel Pacle e tre nell'Erica, studio realizzato con l'ausilio del laboratorio linguistico e con la collaborazione di insegnanti di madre lingua, docenti di conversazione nonché attività laboratoriali di informatica. Un' offerta formativa competitiva, in grado di fornire strumenti adeguati per una formazione tecnico-professionale caratterizzata da duttilità, polivalenza e sviluppo di abilità trasversali che preparano a diversificati contesti professionali e occupazionali: i giovani imparano non solo a conoscere l'universo-azienda dal punto di vista economico, giuridico, organizzativo e informatico, ma raggiungono una solida cultura generale, competenze linguistiche e capacità logiche, patrimonio indispensabile per il successo formativo e per la spendibilità professionale del titolo.

Alla luce del regolamento targato Gelmini, queste sperimentazioni confluiranno nel settore “economico”, nell'indirizzo Amministrativo, finanza e marketing, con un quadro orario certamente più povero: solo due discipline linguistiche e per giunta senza l'ausilio degli insegnanti di lingua madre, azzeramento delle attività laboratoriali. Diminuisce anche l'insegnamento del Diritto e scompare Trattamento testi e dati.

Si butta quindi, il bambino con l'acqua sporca e si rischia di non capitalizzare anni di risorse investite in ricerca e sperimentazione, sacrificando queste positive esperienze sull'altare della sbandierata razionalizzazione - che di razionale ha davvero poco – di fatto semplice sottrazione di risorse ala scuola pubblica.

Tra le disposizioni ulteriori che emergono dai regolamenti, relativamente all'articolazione dei piani di studio, nello specifico due bienni e un quinto anno conclusivo, si pongono problematiche, al momento non chiarite dalla norma, rispetto alla concreta possibilità di iscrizione a tutte le facoltà universitarie con il titolo conseguito e inoltre, esistendo la possibilità che le competenze potranno essere certificate anche da esperti esterni (aziende e industrie), si potrà consentire ai giovani, dopo il biennio iniziale, di concludere l'obbligo formativo di legge con un anno di apprendistato, il cui curricolo sarà probabilmente concertato a livello regionale: c'è il grosso rischio, dunque, di favorire indirettamente fenomeni di dispersione scolastica, abbassando l'obbligo de facto di nuovo a quindici anni, e registrare diversificate offerte professionalizzanti a seconda delle realtà regionali che le proporranno.

Tanti sono i dubbi e le perplessità di tutto il personale docente, tecnico e amministrativo alla lettura dei regolamenti per la secondaria di secondo grado, ma è difficile davvero dare torto a chi, come la nostra Organizzazione, stigmatizza l'unico fattore comune di questo intervento riformatore: tagliare, ridurre, risparmiare.

Efficacia, efficienza e qualità, a nostro parere, richiederebbero investimenti certi e lungimiranti, al passo con la complessità del mercato del lavoro, soprattutto in una fase di crisi economica travolgente e sistemica come quella attuale: investire in conoscenza è senza dubbio l'argine più concreto ai processi negativi della globalizzazione economica.

Non meno preoccupante è il risvolto occupazionale che emergerà, in tutta la sua gravità, all'entrata in vigore dei regolamenti. Stime al ribasso ci consegnano numeri a cinque cifre di professionisti della conoscenza che usciranno dal solo settore della secondaria di secondo grado, mentre altrettanto lunga è la lista di coloro, che come me, da più di due lustri, vengono di anno in anno riconfermati. Per noi la strada è sicuramente in salita e, nonostante anni di formazione e professionalizzazione, di adattamento forzato alle più diversificate realtà sociali e formative, probabilmente saremo i primi a pagare il prezzo di questa razionalizzazione. Il nostro futuro lavorativo è a tinte fosche e i provvedimenti di welfare nei nostri confronti si sono dimostrati, già in questo anno scolastico, inconsistenti e di basso impatto. Il cosiddetto salva-precari, infatti, sembra più un provvedimento di accompagnamento all'uscita dal mondo del lavoro che un sostegno per far fronte ad un momentaneo esubero di personale.

In questo quadro è doveroso il richiamo all'unità della mobilitazione del personale precario, di ruolo e della società civile, affinché i diritti maturati in anni di faticoso lavoro non vengano spazzati via per decreto e l'Italia possa continuare ad avere un sistema di istruzione e formazione pubblico, competitivo e di qualità. Grazie a tutti".