Convegno nazionale "C'è ancora la dispersione scolastica?" - Seconda giornata

  • 15.40

    Siamo giunti alle battute finali del Convegno. A Domenico Pantaleo, Segretario generale della FLC CGIL, il compito di trarre le conclusioni di queste due intense giornate e di definire le finalità e i prossimi obiettivi che impegneranno la nostra organizzazione sul tema della dispersione scolastica.

    Nei prossimi giorni proseguiremo con l'aggiornamento della web-cronaca pubblicando i documenti integrali e le slide di presentazione che riceveremo dai relatori che hanno partecipato al Convegno.

    La conoscenza è oggi il più grande bene: ogni abbandono, ogni dispersione, produce una ferita

    Domenico Pantaleo, segretario generale FLC CGIL, si appresta a tirare le conclusioni del convegno.
    Dopo aver ringraziato Lara Ghiglione, Segretaria generale FLC CGIL La Spezia, Adriano Bertolini Segretario regionale della FLC CGIL Liguria, Marino Alberi Presidente di Proteo Fare Sapere Liguria, Salvatore Tripodi del Centro Nazionale FLC e Lorenzo Cimino, Segretario Generale della Camera del Lavoro di La Spezia per la bella iniziativa realizzata, entra subito nel vivo delle questioni sul tappeto.

    "Questi temi hanno bisogno di diventare senso comune nel Paese", esordisce. Devono essere parte integrante della vertenzialità generale della CGIL; anche al di là delle questioni relative all'immigrazione. Bisogna far circolare in rete e nelle nostre strutture le esperienze qui riportate che sono importanti, di qualità e hanno tutte le caratteristiche per essere punti di riferimento per la CGIL e per la FLC.

    Dobbiamo guardare con lucidità a quanto sta avvenendo nel Paese. Oggi si sta tentando di svuotare e di stravolgere le finalità stesse dell'istruzione. A questo mirano le politiche scolastiche di questo governo. Ma bisogna dire che mai in Italia si è tentato di mettere in campo politiche idonee a perseguire gli obiettivi di Lisbona. Se poi pensiamo agli obiettivi di Europa 2020, è evidente che in assenza di un radicale cambiamento saranno mere chimere.
    In Italia si va in direzione contraria. Invece di promuovere e rinnovare la mission della scuola come luogo di pari opportunità e di esercizio della democrazia, si attacca la scuola di massa che costerebbe troppo e sarebbe fallita, si scinde il sapere dal saper fare, si rende possibile completare l'obbligo entrando in apprendistato a 15 anni, addirittura a 14 anni in Lombardia.
    È un'idea di società che avanza e che non riguarda solo la scuola. Un'idea dove le disuguaglianze non sono viste come disvalore, ma come una sorta di selezione naturale. L'esclusione sociale viene vista come un fatto "naturale". A scuola, le bocciature sarebbero una dimostrazione di valore, di rigore, di serietà. Altro che valutazione come processo pedagogico! E infatti l'anno scorso le maggiori bocciature ci sono state nei professionali, al Sud, tra gli immigrati: eccola l'esclusione sociale!

    Avanza un'idea di società intesa come società di consumatori. Gli immigrati consumano il meno possibile, per questo vengono emarginati. Anche così si va contro un'idea di solidarietà.
    Il nostro è un Paese in preda alla paura, alla diffidenza, che ha bisogno continuamente di costruirsi un nemico. Ne è esempio eclatante il costrutto proposto e diffuso dal sistema mediatico che associa immigrazione e criminalità. E alimenta l'insicurezza.
    Bisogna cambiare il modello culturale e civile del Paese.

    Le esperienze presentate in questo convegno devono potersi "fare sistema".
    Oggi c'è bisogno di valori forti, il nostro riferimento alla Costituzione si rinnova confrontandosi con le sfide attuali per sviluppare democrazia, cittadinanza, intercultura.
    Le politiche dell'immigrazione poste in atto, invece, negano i grandi diritti costituzionali.
    Ma bisogna dire che il nostro Paese ha difficoltà a guardare all'immigrazione come a un fatto normale, strutturale. Ha faticato anche quando sul versante legislativo sono state fatte cose buone. È  come se fosse mancata l'anima di una vera politica di integrazione.

    La scuola per poter essere avamposto di integrazione deve essere a sua volta integrata. Essere parte di una rete territoriale. Ma il territorio deve essere luogo di sperimentazione di buone forme di socialità e di convivenza nelle quali si superano stereotipi e pregiudizi non il luogo in cui si applicano risposte univoche a situazioni diverse.

    Invece c'è la tendenza a rinchiudersi in ghetti. Sempre più spesso si formano quartieri di rumeni, di cinesi… Non è opera del caso. E' il frutto di chiusure identitarie.
    Anche a scuola bisogna evitare di avere classi monoetniche.
    È un problema di governo territoriale.
    "Non sto sostenendo il tetto del 30 %, ovviamente - precisa il segretario generale - sto dicendo che, tautologicamente, l'intercultura non si fa nella omogeneità culturale, bensì nella pluralità".

    In Italia la dispersione era forte anche prima dei flussi migratori.
    Il guaio è che non si favorisce una azione preventiva.
    La dispersione è anche perdita di senso e di motivazione. La scuola italiana fa fatica. Ma questo non dipende dai docenti. Ho avuto modo, ad esempio, di vedere che in Germania la dispersione viene affrontata con interventi formativi sia per i docenti che per le famiglie degli alunni e degli studenti.

    Non è solo per ragioni linguistiche che i ragazzi e le ragazze immigrati hanno difficoltà a relazionarsi. L'apprendimento dell'italiano L2 non ha senso se il clima della classe, della scuola, del quartiere non è un clima comunicativo.

    C'è bisogno di rete, di superamento delle nicchie identitarie.
    E ci vuole una scuola che si rapporti al vissuto e alle diversità.
    L'interculturalità è il terreno principe del cambiamento necessario della scuola.
    Una interculturalità fatta di rispetto, di capacità di connettere dimensione locale e dimensione globale, identità e diversità, convivenza e confronto.
    Così il diritto all'istruzione diventa un diritto esigibile anche per i ragazzi con cittadinanza non italiana.
    Ma se quei ragazzi si iscrivono in stragrande maggioranza ai professionali significa che in questo Paese gli immigrati esistono e valgono solo in quanto lavoratori.
    Ma l'identità di una persona non è limitata al lavoro.
    Dobbiamo capire che oggi le classi dirigenti devono essere multiculturali.
    Non si può precludere agli immigrati la possibilità di diventare classe dirigente e questo è in primis il sistema dell'istruzione che lo deve garantire. Diversamente saremmo (siamo) di fronte a meccanismo di classismo puro.
    Per questo il biennio unitario, in un obbligo scolastico che si concluda per tutti a 16 anni è fondamentale.
    Non è per caso che la maggior parte degli abbandoni avviene tra i 14 e i 17 anni. Serve un'azione di orientamento e sostegno. Bisogna offrire le condizioni che consentono ai ragazzi una scelta libera.
    Per la formazione degli adulti ci vuole un sistema diverso che riconosca e valorizzi saperi e conoscenze.

    Noi abbiamo una grande funzione, conclude Pantaleo: costruire il senso di una missione, contribuire a realizzare un Paese che recupera il senso della sua civiltà.
    In questa ottica le elaborazioni dei convegni devono tradursi in iniziativa, in operatività, in lavoro quotidiano.
    Se la conoscenza è oggi il più grande bene, ogni abbandono, ogni dispersione, produce una ferita.
    Un cittadino che pensa con la propria testa, che esercita la democrazia, che entra in rapporto con gli altri con rispetto e apertura è fondamentale per lo sviluppo del Paese.

  • 15.15

    Come si elimina la dispersione

    Anelia Cassai, Coordinamento nazionale Immigrati FLC CGIL, apre il suo intervento con un bel punto di domanda. Come eliminare la dispersione scolastica?

    Interrogarsi sulla soluzione di un problema comporta vari passaggi importanti: riconoscerlo, farlo emergere dal “non detto”, analizzarlo, identificare e scomporre le variabili, mobilitare le conoscenze e le coscienze per ricercare le soluzioni possibili, lottare contro chi “rema contro”. Questo si è proposto di fare il nostro convegno, dice Cassai.

    Anche in Toscana, parallelamente alla raccolta dei dati e alle statistiche sicuramente ancora lontane dai livelli auspicabili, emergono miriadi di esperienze significative ed eccellenti nei risultati; di solito sono supportate dagli enti locali e in primo luogo della regione Toscana, dalla collaborazione di associazioni del volontariato e di associazioni professionali, Università e ASL; da ricerche di scuole in rete, con partner europei e non solo, perfino scambi fra ragazzi di scuole ed esperienze lontane (Cina, Brasile…)  

    Tutto questo esiste da anni. Ma non è sufficiente a risolvere il problema della dispersione, ad evitare che gli insuccessi accumulati nel percorso scolastico portino inevitabilmente i ragazzi stranieri ad una frequenza molto sporadica, a ritiri, abbandoni e rinunce.

    Inoltre negli ultimi anni ovunque è tangibile per Cassai, l’enorme disagio in cui il ministro Gelmini costringe ad operare, in “tempi sempre più ristretti” e con “risorse sempre più sfuggenti”.

    L’aumento del numero degli alunni nelle classi e l’eterogeneità nella composizione delle stesse in tutti i livelli di scuola, oggi rendono ancora più urgente l’approfondimento della riflessione per la ricerca di strategie efficaci nella gestione delle diversità.

    Cosa fare? Si domanda allora Cassai. Bisogna evidenziare, diffondere e rilanciare le azioni della scuola e della pratica didattica che hanno prodotto risultati positivi e innescato input di cambiamento.

    Dove? Dappertutto, ma a maggior ragione nell’anello più debole, nella fascia della scuola media, punto critico della fase adolescenziale dei ragazzi e della storia della scuola pubblica italiana.

    Come? Col superamento dell’individualismo, con strategie di apprendimento cooperative,sfondo integratore, abilità per la vita (OMS) e ricerca-azione come strumento per avviare cambiamenti educativi fondamentali a partire dal basso, cioè dalle scuole stesse.

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  • 15.00

    Umbria, obiettivo raggiunto?

    Patrizia Epifani, del Coordinamento nazionale Immigrati FLC CGIL, illustra ai partecipanti la situazione dell'Umbria, la regione in cui lavora.

    La scuola italiana è sempre più lontana dall’Europa grazie ad una riforma, quella Gelmini, che  non sviluppa la scuola d’Infanzia, ritorna al maestro unico nella primaria, riporta l’obbligo scolastico a 14 anni, aumenta il numero degli alunni nelle classi, non fa un serio orientamento scolastico, propone modelli rigidi e classisti per l’istruzione secondaria, toglie finanziamenti all’università e alla ricerca, non sostiene le eccellenze, taglia le borse di studio del 90% ai giovani universitari. In Umbria la situazione è sicuramente migliore sia rispetto ai dati nazionali che a quelli relativi al Centro-Nord. Sicuramente ciò è dovuto sia alle dimensioni della regione che alla distribuzione della popolazione in tutto il territorio in modo diffuso, ma anche a scelte politiche che fino ad ora hanno teso a valorizzare l’inclusione e le politiche del welfare.  L’Umbria si pone con la regione Emilia Romagna ai primi posti in percentuale per presenza di cittadini e studenti con cittadinanza non italiana e detiene il primato in Italia per il numero dei diplomati. Se i dati dell’Umbria sono in sintonia con le richieste di Lisbona 2010 non significa che non si debba continuare a lavorare affinchè il successo formativo sia per tutti i giovani.

    I recenti tagli di Tremonti-Gelmini già stanno lavorando a favore dell’abbandono scolastico, disegnandoci un ritorno al passato in una Europa che intanto cresce.

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  • 14.15

    Dispersione in Veneto

    Cristina Paoletti, del Coordinamento nazionale Immigrati FLC CGIL interviene con  l'obiettivo di fornire un quadro del fenomeno della dispersione nel Veneto, focalizzando l'attenzione sugli studenti di cittadinanza non italiana (CNI). A questo fine ricorre ad un monitoraggio regionale realizzato dall'USR Veneto sulla dispersione nelle province venete nell'anno scolastico 2007-2008, ad altre fonti statistiche più recenti e a dati parziali, raccolti da lei stessa, relativi ad un certo numero di scuole secondarie di primo e di secondo grado per gli anni scolastici 2007-2008, 2008-2009, 2009-2010 nella provincia di Venezia.

    Attraverso le fonti, Paoletti ha analizzato, nel loro insieme, gli indicatori di base all'origine del fenomeno, quali il ritardo scolastico, le non ammissioni, le interruzioni della frequenza sino ai veri e propri abbandoni dei percorsi di istruzione e formazione.

    Dal confronto tra tali dati con quelli relativi specificatamente agli alunni di CNI è emersa la condizione di maggiore svantaggio di questi ultimi ed il forte rischio di marginalità sociale o di quella che è stata definita una prospettiva di “integrazione subalterna” cui essi sono esposti.

    Il fenomeno della dispersione è stato quindi inquadrato nel contesto europeo e nazionale prendendo in esame le percentuali dei c.d. “early school leavers” nel Veneto. Infine la relatrice ha indicato i progetti e le azioni, promossi in un'ottica integrata, da istituzioni scolastiche, Regione e Amministrazioni Provinciali al fine di prevenire e contrastare la dispersione.

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  • 14.30

    Anticipando i tempi convenuti, i lavori riprendono.

    Il fenomeno della dispersione nella provincia di La Spezia

    Fabrizio Dei, Presidente Proteo Fare Sapere di La Spezia, interviene per illustrare i dati della dispersione nella provincia di La Spezia e l'attività che Proteo propone nella stessa provincia.

    Riallacciandosi all'intervento di Claudia Nosenghi sulla situazione generale della Liguria in termini di dispersione, lo integra con alcuni dati, riferiti in particolare alla componente di studenti stranieri. Sulla base del 7% di studenti stranieri presenti nelle scuole della provincia spezzina si può osservare che nel 2010, per quanto riguarda il livello medio inferiore, la metà risulta iscritta agli istituti comprensivi ISA2 e ISA3, situati nel centro città, nel quartiere Umbertino e nelle zone limitrofe.

    Mentre, a livello medio superiore, gli studenti stranieri sono quasi tutti negli istituti professionali.
    Questi dati dimostrano che avere come riferimento gli studenti stranieri quando si affronta il tema della dispersione, è utile poiché essi rappresentano un gruppo omogeneo sensibile ai meccanismi di esclusione. Però proprio riguardo questo gruppo omogeneo, mancano dati. E' per questo che Dei, propone la creazione di un Osservatorio sulla dispersione scolastica. Bisogna affinare l'analisi dice, analizzare condizionamenti materiali, culturali, aspettative. Dobbiamo pensare che integrarsi in un territorio significa darne una lettura diversa, scoprirne risorse sorprendenti e interpretarlo con una propria cultura del lavoro e dell'impresa. Alla costituzione di un osservatorio del genere, Proteo è pronta a collaborare continua Dei e, dice, questa iniziativa rappresenta già un ottimo inizio.

    E' necessario migliorare la percezione sociale della scuola intervenendo su più fronti e in questo Proteo è uno strumento a disposizione di insegnanti e ATA e può farsi veicolo di diffusione di didattiche importanti e di buone pratiche. Ma bisogna rivolgere lo sguardo anche ad esperienze fuori dall'Italia, visto che altrove si investe di più. Bisogna fare una riflessione attenta sul "merito" e anche sull'introduzione delle nuove tecnologie nella didattica e nell'amministrazione scolastica; un tema che, prosegue Dei, sicuramente Proteo affronterà. Stiamo impostando, dice, gli strumenti delle battaglie politiche e sindacali che verranno. Società della conoscenza e diritto alla conoscenza, procedono in parallelo.

  • 13.10

    Con l'intervento di Moreno si chiudono i lavori della mattina. Riprenderanno dopo la sosta per il pranzo.

  • 12.25

    Educare nelle periferie delle città e dell'animo

    Cesare Moreno, Maestro di strada di Napoli, propone ai presenti una riflessione intorno ai temi dell'inclusione, ricercando possibili significati e nuovi orizzonti che possano dirigere lo sguardo delle professioni educative e sociali in nuove direzioni.

    Inclusione sociale e cambiamento sociale sono stati vissuti come quasi contrapposti. Vivere alle periferie del sistema educativo, nella precarietà delle condizioni contrattuali, ha aiutato, in realtà molti, a comprendere le ragioni degli esclusi e a ritrovare la strada di un impegno educativo che è politico in quanto rifonda le basi della società.

    In allegato mettiamo a disposizione dei nostri lettori il testo su cui Moreno ha svolto il suo intervento. "Educare nelle periferie delle città e dell'animo creando comunità che sostengano la crescita dei giovani", questo il titolo, è stato pubblicato con qualche variante in Inclusione Sociale e Scolastica Monografia N° 3, settembre 2010 Erikson.

  • 11.45

    Provaci ancora Sam

    Barbara Rivoira, in rappresentanza del Comune di Torino, è particolarmente emozionata nell'aprire il suo intervento perchè il progetto di cui viene a parlarci, Provaci ancora Sam, è nato proprio ad opera di uno degli organizzatori di questo convegno, Salvatore Tripodi.

    Tripodi infatti, ha dato vita nel 1989 a questa iniziativa che si occupa di recupero della dispersione, lasciandola poi in eredità al Comune di Torino nel 1996.

    Da allora un gruppo di persone continua tenacemente a portare avanti questo progetto aggiungendo nel tempo, nuove modalità e nuovi partner per questo progetto. E' stato rafforzato ad esempio, l'aspetto della prevenzione della dispersione.

    Dal 2008 è invece partita la sperimentazione di un percorso per i quindicenni fermi in prima, seconda o terza in accordo con le agenzie formative con un programma che prevede la frequenza ridotta a 3 giorni a scuole e 2 alla formazione professionale. Al termine dell’anno viene sostenuto l’esame di Licenza media (alleggerito) e si possono ottenere crediti per proseguire verso una qualifica. Quest’anno i giovani inseriti in questo percorso sono circa 115.

    Lavorare sulla dispersione vuole recuperare il rapporto con la scuola, rientrare nel circuito formativo. Lavorare sul disagio scolastico vuol dire individuare e rimuovere gli ostacoli sul percorso dell’apprendimento e della socializzazione.

    Tutti i partner di Provaci ancora Sam lavorano con pari dignità, ciascuno con le proprie competenze e nel proprio ruolo: il lavoro di rete è una necessità perché se la dispersione è la malattia del sistema Scuola, la comunità è l’organismo che subisce i danni. Ma è anche la sola capace di contrastare il disagio e trovare le risposte ai bisogni degli allievi. La scuola è un elemento parte di una comunità. Luogo di cultura, conoscenza, formazione, integrazione, maturazione, emancipazione. Il Sam rappresenta invece il collegamento con il territorio e le collaborazioni con le sue risorse.

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  • 11.20

    L'esperienza dell'istituto Comprensivo "L. Sciascia" nell'ambito del progetto "Ingrana la VII"

    Roberta Sbrana, Dirigente Scolastico dell’I.C.S. “L. Sciascia” di Palermo, pisana, ha scelto di svolgere il suo incarico di Dirigente scolastico nel quartiere Zen di Palermo, uno dei quartieri più a rischio del capoluogo siciliano. Il suo stile direttivo si è qualificato, fin dall'inizio, per l'ascolto di tutti, avendo imparato a non procrastinare nulla.
    Nel suo operato grande importanza ha avuto l'aver lavorato all'interno di una Rete territoriale, che comprende gli Enti Locali, l'USP, la ASL, le Associazioni più significative del territorio, la Parrocchia, il CTP, gli Enti di formazione professionale. Grazie a questa collaborazione è stato creato un Tavolo interistituzionale permanente, che si riunisce una volta mese e che ha facilitato di molto la realizzazione di un'azione educativa integrata per migliorare la situazione dei ragazzi dello Zen. Un altro elemento essenziale è stata la collaborazione con le famiglie; particolarmente utile è stata l'operato della mamme-tutor, che, adeguatamente formate, si recano nelle case delle famiglie più a rischio del quartiere e portano loro le comunicazioni della scuola. Esse vengono accettate, perché fanno parte del territorio e non vengono percepite come estranei, al pari degli assistenti sociali. Tutto questo lavoro è entrato a far parte integrante del Progetto “Ingrana la settima”, finanziato dalla Fondazione per il Sud.

  • 11.10

    Rom e diritti violati

    Michela Guidi, Mediatrice culturale all'interno dell'Area sosta a Casalecchio di Reno (Bologna), illustra ai presenti la sua esperienza di lavoro con i rom e apre il suo intervento sottolineando che in Italia, la “questione rom” è ancora un capitolo fortemente problematico e irrisolto. Nel 1996 a Casalecchio di Reno, una zona limitrofa a  Bologna è stata creata attraverso contributi della regione, un'area per i rom situata in via Allende, nella quale la Guidi lavora.
    La struttura campo crea però delle dinamiche molto contraddittorie: da un lato è funzionale a garantire una serie di servizi che altrimenti non potrebbero essere forniti se non con la concentrazione della “comunità” in uno stesso luogo.
    In tal modo il Comune  può facilmente assicurare una relazione stabile e continuativa con gli abitanti riuscendo a comprenderne le esigenze e le problematiche.
    Da un altro punto di vista però l’area diventa un luogo di emarginazione e di ghettizzazione in quanto posizionata in un luogo lontano dalla città, dove sono presenti solo rom.

    Il rapporto con la scuola non esula da questa relazione dualistica e contraddittoria.

    I residenti dell’area sosta infatti hanno diritto ad una serie di agevolazioni economiche e di sostegno scolastico che altri non hanno, come ad esempio la mensa e i libri di testo gratuiti o il servizio post-scolastico. Dall’altra parte però la scuola italiana è ancora fortemente elitaria e ciò determina l’impossibilità per i ragazzi rom di arrivare agli standard degli altri alunni.

    La scolarizzazione di questo gruppo di rom abruzzesi è un fenomeno ancora in atto, inizialmente la presenza di questi ragazzi era attestata solo  alla scuola elementare. Solo in un secondo momento  hanno cominciato a frequentare regolarmente le medie e la materna, inoltre, ad oggi, nessuno di loro ha conseguito un diploma di scuola media superiore. Per quanto riguarda le ragazze  hanno cominciato a frequentare la scuola solo da pochi anni.
    Il problema evidente è che molto spesso i ragazzi vengono bocciati e non raggiungono la licenza media e, qualora riescano, gli standard di conoscenze acquisite non sono adeguate ad affrontare le scuole successive.

    Si  è cercato spesso di interagire con gli insegnanti che molte volte non hanno le competenze e le energie adeguate per affrontare l'inserimento di questa minoranza così soggetta a pregiudizio, ma la maggioranza del corpo docente non ha mai raccolto l'invito.

    I problemi dell’incontro/scontro con la diversità, la difficoltà di rapportarsi con la differenza e  superare le diversità in maniera costruttiva, sono tutti temi relativamente recente all'interno dell'istituzione scuola. Anche nella pedagogia, fino a trent’anni fa, c’è sempre stata una visione etnocentrica, in cui la propria cultura era il modello da trasmettere. Chi era “diverso” doveva adeguarsi imparando la lingua nazionale e dimenticando la propria perché proprio questa diversa base culturale era vista come un ostacolo allo sviluppo dell’intelligenza e all’apprendimento. Solo negli anni ’60, con le rivolta degli studenti e grazie all’opera di Don Milani, si cominciò a riflettere sulle differenze culturali. Nella scuola di oggi ci si nasconde troppo spesso dietro ai laboratori interculturali o al sostegno, per non trattare realmente questo tema. Tali interventi sono importanti ma dovrebbero essere affiancati ad un tipo di didattica più coerente con le finalità interculturali.

    La scuola è ancora meritocratica, i “Pierini” e i “Gianni” citati dai ragazzi della scuola di Barbiana negli anni ‘60 ci sono ancora, e le distinzioni sono, oggi, più nette che mai.

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