11.10.00
Rom e diritti violati
Michela Guidi, Mediatrice culturale all'interno dell'Area sosta a Casalecchio di Reno (Bologna), illustra ai presenti la sua esperienza di lavoro con i rom e apre il suo intervento sottolineando che in Italia, la “questione rom” è ancora un capitolo fortemente problematico e irrisolto. Nel 1996 a Casalecchio di Reno, una zona limitrofa a Bologna è stata creata attraverso contributi della regione, un'area per i rom situata in via Allende, nella quale la Guidi lavora.
La struttura campo crea però delle dinamiche molto contraddittorie: da un lato è funzionale a garantire una serie di servizi che altrimenti non potrebbero essere forniti se non con la concentrazione della “comunità” in uno stesso luogo.
In tal modo il Comune può facilmente assicurare una relazione stabile e continuativa con gli abitanti riuscendo a comprenderne le esigenze e le problematiche.
Da un altro punto di vista però l’area diventa un luogo di emarginazione e di ghettizzazione in quanto posizionata in un luogo lontano dalla città, dove sono presenti solo rom.
Il rapporto con la scuola non esula da questa relazione dualistica e contraddittoria.
I residenti dell’area sosta infatti hanno diritto ad una serie di agevolazioni economiche e di sostegno scolastico che altri non hanno, come ad esempio la mensa e i libri di testo gratuiti o il servizio post-scolastico. Dall’altra parte però la scuola italiana è ancora fortemente elitaria e ciò determina l’impossibilità per i ragazzi rom di arrivare agli standard degli altri alunni.
La scolarizzazione di questo gruppo di rom abruzzesi è un fenomeno ancora in atto, inizialmente la presenza di questi ragazzi era attestata solo alla scuola elementare. Solo in un secondo momento hanno cominciato a frequentare regolarmente le medie e la materna, inoltre, ad oggi, nessuno di loro ha conseguito un diploma di scuola media superiore. Per quanto riguarda le ragazze hanno cominciato a frequentare la scuola solo da pochi anni.
Il problema evidente è che molto spesso i ragazzi vengono bocciati e non raggiungono la licenza media e, qualora riescano, gli standard di conoscenze acquisite non sono adeguate ad affrontare le scuole successive.
Si è cercato spesso di interagire con gli insegnanti che molte volte non hanno le competenze e le energie adeguate per affrontare l'inserimento di questa minoranza così soggetta a pregiudizio, ma la maggioranza del corpo docente non ha mai raccolto l'invito.
I problemi dell’incontro/scontro con la diversità, la difficoltà di rapportarsi con la differenza e superare le diversità in maniera costruttiva, sono tutti temi relativamente recente all'interno dell'istituzione scuola. Anche nella pedagogia, fino a trent’anni fa, c’è sempre stata una visione etnocentrica, in cui la propria cultura era il modello da trasmettere. Chi era “diverso” doveva adeguarsi imparando la lingua nazionale e dimenticando la propria perché proprio questa diversa base culturale era vista come un ostacolo allo sviluppo dell’intelligenza e all’apprendimento. Solo negli anni ’60, con le rivolta degli studenti e grazie all’opera di Don Milani, si cominciò a riflettere sulle differenze culturali. Nella scuola di oggi ci si nasconde troppo spesso dietro ai laboratori interculturali o al sostegno, per non trattare realmente questo tema. Tali interventi sono importanti ma dovrebbero essere affiancati ad un tipo di didattica più coerente con le finalità interculturali.
La scuola è ancora meritocratica, i “Pierini” e i “Gianni” citati dai ragazzi della scuola di Barbiana negli anni ‘60 ci sono ancora, e le distinzioni sono, oggi, più nette che mai.