Seminario "Impatto della crisi economica su Università e Ricerca in Europa" - Prima giornata

  • 10.45

    Si sono aperti questa mattina a Roma presso l'Auditorium dell'ISPRA i lavori del seminario "Impatto della crisi economica su Università e Ricerca in Europa".
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    In questo difficile contesto il ruolo dei sindacati è quello di pretendere coerenza dai governi e dai politici e di spingerli a fare le scelte giuste economicamente ed eticamente. È con questo impegno che si incontrano oggi: rispondere in modo concreto e propositivo agli effetti di una crisi che va combattuta, insieme e con obiettivi comuni, investendo nell'istruzione e nella formazione, come dice la Comunità europea.

    Come di consueto, con una web-cronaca seguiremo in presa quasi diretta le due giornate di svolgimento del seminario. In tempo reale, invece, scorreranno sul nostro sito le immagini della diretta video.

    11.05

    Bernardo De Bernardinis, presidente dell'ISPRA, esprime apprezzamento per l'iniziativa presa dalla CGIL in questo particolare momento di crisi. "Non credo - afferma - che ci sia una soluzione univoca, panacea di tutte le problematiche per questa situazione ma è necessaria una discussione profonda sull'impatto che può avere la Ricerca dei nostri istituti sulla situazione nazionale.

    De Bernardinis sottolinea che la conoscenza innanzitutto è un patrimonio e non è proprietà di nessuno. Inoltre, l'autonomia e l'indipendenza della ricerca e dei ricercatori vanno coniugati coi processi selettivi dei nuovi modelli di lavoro.

    "Riflettere su base comune in relazione al ruolo dei nostri istituti è importante e aspetto con interesse di ascoltare le conclusioni del vostro lavoro. Spero che l'ospitalità dell'ISPRA - conclude De Bernardinis - possa dare slancio e vigore per un proficuo lavoro".

    11.15

    Obiettivi comuni e proposte concrete per superare la crisi

    Su nostra iniziativa, spiega Joelle Casa, segretaria nazionale FLC CGIL, sette sindacati europei si incontreranno e si confronteranno con l'obiettivo di elaborare proposte ed azioni comuni in un Manifesto dell'Università e della Ricerca, "Il Manifesto di Roma".

    Investire in educazione e formazione costituisce una priorità per l'economia e la coesione sociale nell'Europa post-industriale. Una priorità europea e nazionale di ogni Stato membro perché i cittadini europei devono poter accedere ad un insegnamento ed una formazione di qualità secondo gli obiettivi di Lisbona 2000. Inoltre, l'importanza vitale dell'insegnamento e della formazione è ripresa nei nuovi obiettivi della strategia 2020 della UE e partono dalla stessa analisi.

    "Stiamo invece assistendo - sottolinea Casa - al restringimento delle garanzie e dei diritti dei lavoratori conquistati nel dopoguerra, all'aumento del lavoro precario e delle differenze sociali". Insomma, l'applicazione di questa politica è alquanto deludente. Molti Stati membri hanno intrapreso una politica, senza via d'uscita, di riduzione massiccia degli investimenti in materia di educazione e formazione. Questi tagli hanno un effetto disastroso sulla qualità e sull'acceso all'istruzione e alla formazione. Ridurre i fondi del settore per abbassare il debito pubblico è una minaccia per il futuro delle nuove generazioni e rischia di rendere l'Europa ancor più vulnerabile nella competizione globale.

    E l'Italia? "Ci indigniamo" - commenta con ferma decisione Casa - di fronte alle scelte insensate che stanno mettendo in discussione la tenuta del sistema ricerca nel nostro Paese; e al governo europeo diciamo che "deve essere più coraggioso".

    Nonostante tutto, con l'incontro di oggi la FLC CGIL e gli altri sindacati europei vogliono lanciare un messaggio di speranza e dire che l'Europa può farcela. "Si tratta - sottolinea Casa - semplicemente di volontà politica e non è impossibile farcela se ci mettiamo in moto subito". "I sindacati non rimarranno in silenzio - ammonisce Casa- perché abbiamo le nostre idee e le nostre azioni da condividere con chi, come noi, pensa: Se non ora quando?".

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    11.45

    I numeri della crisi

    Spazio ai numeri e alla loro lettura in chiave critica, non per sostenere questa o quella posizione, ma per uscire dai luoghi comuni e per fare chiarezza.

    È in questa direzione che va il contributo di Carlo De Gregorio dell'ISTAT. Avvalendosi di alcune slide traccia il contesto di un "crisi" economica nella quale ci troviamo da lungo tempo. Forzature, miopie e contraddizioni non mancano. Ad essere in crisi, afferma De Gregorio, è anche e soprattutto il paradigma teorico dominante che continua a reggere le sorti dell'economia mondiale e l'attività delle istituzioni finanziarie internazionali. Comunque la si veda, però, questa crisi costituisce una opportunità immensa per la costruzione europea.

    De Gregorio passa ora in rassegna alcune informazioni statistiche, mai così abbondanti come negli ultimi anni, per giudicare questa fase e soffermarsi brevemente sull'eterogeneità dei paesi dell'Unione Europea. Passa in rassegna i dati relativi alle retribuzioni medie lorde dell'industria, al tasso di disoccupazione, alla distribuzione del reddito e ai tassi di cambio.

    In quali direzioni si sta muovendo l'Unione Europea e la zona euro? È la domanda a cui De Gregorio dedica la parte conclusiva del suo intervento, sottolineando le scorciatoie (pericolose) e le forzature fin qui emerse. Ben altre, conclude, dovrebbero essere le scelte che vorremmo leggere nell'agenda delle priorità con le quali tracciare la rotta per uscire dalla crisi.

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    12.05

    Politiche della Commissione Europea nel settore dell'Educazione ed in particolare su Università e Ricerca

    Pierre Mairesse, direttore della DG Istruzione della Commissione Europea, nel suo intervento si è preoccupato di rispondere ad alcune polemiche aperte in Europa circa l'invadenza dei mercati e delle aziende in campo educativo e la possibile subordinazione di questo alle politiche aziendali e mercantili. La sua finalità è stata quella di costruire un equilibrio tra gli obiettivi umanistici della formazione e quelli produttivo-economici, anche se ha sottolineato che in un periodo di crisi sono inevitabilmente i secondi a prevalere. Ha messo in risalto come il ruolo alto che l'istruzione occupa oggi nell'agenda europea dipenda proprio dalla crisi stessa, oltre che essere effetto di processi, come quello di Bologna, che spingono sempre più verso scelte comuni.

    Nel merito la Commissione Europea propone oggi due indicatori di riferimento:

    • l'abbandono scolastico, che costituisce uno spreco di risorse e che oggi è al 14% in Europa, e dovrebbe scendere al 10%
    • l'obiettivo del 40% di giovani laureati che oggi è al 33% in Europa e al 20% in Italia

    La crisi ha avuto un impatto sugli investimenti in istruzione perché, nonostante la Commissione avesse detto il contrario, molti paesi hanno tagliato proprio lì, sull’università più che sulla ricerca oppure hanno aumentato le tasse di iscrizione. Nove paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Svezia, Malta ecc.) non lo hanno fatto e hanno invece aumentato gli investimenti, dimostrando che si può investire di più e investire meglio, cioè con equilibrio e riforme. E' una scelta di maggiore investimento che va fatta avendo come guida non la competitività, ma l'apprendimento per tutta la vita, l'equità e la cittadinanza attiva. Su ciò bisogna però passare dal dire al fare, contro l'abbandono scolastico e a favore della qualità dell'insegnamento.

    La Commissione Europea milita a favore dell'autonomia universitaria, la quale è pur sempre una autonomia inquadrata, con rendicontazione ai pubblici poteri. Non si oppone alle tasse universitarie ma vuole dai governi anche borse di studio. La sua idea è quella di lavorare con le imprese, ma senza vendere l'anima.
    L'attenzione oggi è stata spostata verso un settore fino a qualche tempo fa impensabile: la scuola per la prima infanzia, non per subordinare anche i bambini ai mercati, come qualcuno ha detto, ma perché costituisce una fase importante e costitutiva dell'apprendimento.
    Naturalmente ci si continuerà ad occupare anche della formazione professionale, che raccoglie il 50% dell'utenza ma che spesso non è attrattiva, salvo alcune fortunate eccezioni. Va resa dunque, più attrattiva.

    Occorre avere, infine, un panorama del mercato del lavoro europeo, mettendo insieme i vari osservatori che ci sono nei 27 paesi dell'Unione. Non è facile ma bisogna colmare i vuoti di personale orientando gli studenti.

    Per il periodo 2014-2020 ci sarà una nuova programmazione dei fondi europei, che dovranno servire anche per gli interventi sull'istruzione e sulla ricerca interni ai singoli paesi, mentre per i programmi transnazionali ci sarà il programma "Erasmus for all". 

    Mairesse ha concluso così invitando a un maggior ottimismo e all'unità nella realizzazione degli obiettivi indicati.

    12.35

    Impatto della crisi economica su Università e Ricerca in Europa

    È ora la volta dei rappresentanti dei sindacati europei che espongono gli interventi sulle politiche governative nei rispettivi paesi.

    Marc Delepouve (Francia), segretario nazionale SNESUP-FSU - responsabile del settore internazionale.

    Odile Cordelier (Francia), segretaria nazionale SNES - co-responsabile del settore internazionale.

    Jean-Hervé Cohen (Francia), responsabile nazionale CPGE-SNES Formazione superiore post maturità.

    Mike Jennings (Irlanda), segretario generale IFUT Irish Federation of University Teachers.

    Ore 13.40

    I lavori del seminario vengono sospesi e riprenderanno alle ore 15.00.

    15.15

    Riprendono i lavori della sessione pomeridiana

    Crisi di sistema ed effetti sui settori della Conoscenza

    La crisi finanziaria ed economica internazionale che ha colpito le società industrializzate negli ultimi quattro anni è stata giustamente definita da Jean-Claude Trichet: "crisi sistemica". È una definizione che per Pasquale Cuomo dell'Università di Pisa, arriva in ritardo rispetto alla velocità della propagazione della crisi, iniziata nel luglio 2007, che allo stato attuale sembra essere al secondo stadio di espansione. Nel 2008, gli stati si sono impegnati nel salvataggio di istituti bancari nazionali, durante la fase acuta autunnale, imponendo una contrazione della spesa pubblica per i sistemi di Welfare. Nel biennio 2010-2011 assistiamo ad un duplice effetto: alla crisi di diversi operatori finanziari europei e al peggioramento delle condizioni finanziarie di alcuni paesi del vecchio continente. Le misure adottate in sede UE sono ancora quelle di sostegno al sistema creditizio, senza alcun contrasto all'azione dei fondi speculativi internazionali e agli strumenti finanziari che hanno contribuito allo scoppio della crisi.

    Queste scelte, prosegue Cuomo, espongono i sistemi economici più deboli, ossia quelli che hanno dei limiti nella gestione del loro bilancio pubblico, come un ingente deficit e un elevato debito pubblico, ad un taglio radicale della spesa pubblica verso l'assistenza sociale e l'istruzione. Infatti la scuola, l'università e la ricerca, sono gravemente colpite dalla riduzione drastica delle risorse, che avviene spesso in paesi che strutturalmente hanno destinato risorse per questi settori inferiori alla media dei paesi Ocse. Si tratta di una ricetta pienamente coerente con le politiche neoliberiste in voga negli ultimi trenta anni. Scelte economiche che hanno condotto, sia al logoramento dei sistemi di protezione sociale precedenti, sia all'attuale crisi finanziaria e quasi-depressione economica.

    Quali gli effetti immediati, si chiede il relatore, di queste manovre restrittive sul settore della conoscenza? Sono numerosi. In particolare si riduce la possibilità di accedere ad una istruzione di qualità e alla formazione dei cittadini del futuro; si impone una limitazione di reddito per l'accesso all'istruzione superiore con effetti immediati sul tessuto economico dei vari paesi (bassa specializzazione dei lavoratori, investimenti carenti e prodotti di basso valore aggiunto); si precarizza il personale addetto alla didattica e alla ricerca nelle scuole, università e nei centri di ricerca, abbassandone il livello scientifico; infine, un limitato livello d'istruzione e la mancanza di una formazione continua mettono ai margini della vita pubblica un numero sempre maggiore di cittadini, rappresentando un pericoloso virus che può colpire le società democratiche.

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    15.30

    Oltre la crisi: la Conoscenza per la società

    Chiara Cavallaro, ricercatrice del CNR, ha illustrato, con una serie di diapositive, l'importanza della scienza per la società. La scienza è necessaria quando i problemi della società non trovano risposte preconfezionate. L'obiettività, la sistematicità e l'apertura mentale di chi fa ricerca sono fondamentali per trovare nuove soluzioni. Partendo da una analisi storica, si è soffermata sulla discrasia tra la domanda mondiale di sviluppo economicamente, socialmente e ambientalmente sostenibile e gli interventi dei Governi anche sulla ricerca. Una analisi economica/sociale che chiede un profondo e nuovo impegno alle ricercatrici e ai ricercatori.

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    Ore 16.00

    "Datori di Lavoro e Istituzioni di fronte alla crisi"

    Inizia la tavola rotonda a cui partecipano

    • Helen Fairfoul, rappresentante della Federazione Europea dei Datori di Lavoro dell’Educazione EFEE/FEEE/FEDLE
    • Ludovica Ioppolo, ADI (Associazione dottorandi e dottori di ricerca)
    • Marco Mancini, presidente della CRUI (Conferenza Rettori Università Italiane)
    • Francesco Profumo, presidente CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche)
    • Francesco Sinopoli, segretario nazionale FLC CGIL
    • Walter Tocci, deputato e componente della Commissione istruzione della Camera
    • Francesco Sylos Labini, ricercatore Centro Fermi

    Pietro Greco, giornalista scientifico Fondazione Idis - Città della Scienza, che modera l'incontro esordisce con tre domande:

    1. L'Europa si trova dopo 400 anni in una condizione di subordine rispetto altri paesi per quanto riguarda gli investimenti e la produzione di ricerca. Come questa condizione incide sullo sviluppo e sulla società?
    2. Se la produzione in ricerca è in declino questo è vero anche per lo sviluppo, per la produzione? In altri termini esiste una equivalenza stretta tra ricerca e sistema produttivo?
    3. Nei paesi del sud-est asiatico si registra un aumento nel numero dei laureati e parallelamente migliorano gli indici di benessere sociale. Investire in conoscenza può essere, anche, motore di uguaglianza, promotore di cittadinanza?

    Il primo intervento è di Helen Fairfoul, la quale ringrazia per l'invito di un interlocutore che di solito siede dall'altra parte del tavolo. Forse è l'occasione per stare dalla stessa parte e approfondire il confronto. La crisi è straordinaria e l'educazione superiore europea non può trascurare l'aumento della concorrenza del resto del mondo. Ci sono forti aspettative sociali e degli studenti. È necessario sviluppare proposte realistiche.
    L'agenda 2020 della comunità, prosegue Helen, è importante per l'istruzione superiore che è indispensabile per il futuro della società. È importante la citazione della ricerca svolta nel Regno Unito da parte del moderatore. Molte sono le sfide per il finanziamento della formazione superiore. Anche i datori di lavoro devono assumersi le loro responsabilità, ma un grande contributo deve venire dalla fiscalità generale. Noi abbiamo una serie di proposte – dichiara Helen – ed in particolare: non perdere di vista la qualità accademica e della ricerca, assumere i migliori, garantire le pari opportunità. In una situazione di austerità dobbiamo operare per garantire l'occupabilità ai nostri studenti. Sulle pensioni non possono essere i figli a pagare per i padri: deve esserci uno stretto rapporto con quanto versato, anche a costo di dover lavorare di più. Helen conclude il suo intervento con un appello a dimostrare tutti insieme una vera apertura culturale: di fronte ad una dimostrazione di saper fare, anche i contribuenti sono più disponibili a sostenere l'onere della formazione superiore.

    Segue l'intervento di Francesco Profumo. Il neo Presidente del CNR, partendo da un aneddoto autobiografico, ha posto l'attenzione sul rapporto tra formazione-ricerca-trasferimento e sviluppo. Analogamente ad altri paesi questa è la chiave di volta che può permettere al sistema Italia di rinnovarsi. Punto fondamentale, cinghia di trasmissione tra i quattro pilastri sopra enunciati sono i giovani, gli studenti che nel loro percorso formativo sono gli attori di quella interazione stretta tra scuola e mondo del lavoro. Porre attenzione ai dottorati industriali, identificare un percorso che abbia un out-put di creazione di valore per la ricerca e per il tessuto produttivo del paese diventa strategico per mantenere il sistema paese competitivo. Esperienze italiane già ci sono bisogna moltiplicarle. Il mondo della ricerca italiano presenta, analogamente a quanto riscontrato in questi primi mesi nel CNR, alcune patologie:

    1. eccesso di parcellizzazione non più sostenibile, viceversa, dove c'è integrazione tra Ente di Ricerca - Università la quantità e la qualità della ricerca è migliore con l'instaurarsi di economie di scala che aiutano a meglio utilizzare le infrastrutture (laboratori, apparecchiature ecc.);
    2. scarsa propensione a proteggere la proprietà intellettuale. L'Ente deve porre attenzione alla proprietà intellettuale che è strategica e considerarla un “un bene comune” frutto del lavoro e di soldi di tanti;
    3. scarsa propensione a “Tirar fuori i progetti dai nostri cassetti”. La ricerca pura e la ricerca applicata non esistono c'è buona ricerca e cattiva ricerca, ricerca che ha tempi lunghi di rientro e ricerca con ritorni corti.

    Nel nostro paese le risorse sono limitate, se non investiamo nei “pochi” giovani che abbiamo rispetto ad altri, non riusciremo ad avviare il volano dello sviluppo
    I paesi con cui dovremmo competere hanno il 60% dei giovani o noi attraiamo cervelli o la partita è persa. Dobbiamo trovare una nuova via facendo tesoro delle esperienze degli altri paesi per aumentare la capacità di ricerca e tradurla in sviluppo.

    Prende poi la parola Francesco Sylos Labini, il quale, con una serie di diapositive, risponde alle sollecitazioni del moderatore rispetto alle questioni della fuga dei cervelli e della necessità di una seria politica della ricerca. Presenta una serie di dati e di elaborazioni sulla situazione degli atenei, sulla formazione terziaria e sui vari problemi di Università e Ricerca con particolare riferimento alle politiche di reclutamento e di "ringiovanimento".

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    Marco Mancini, apre la riflessione riformulando il tema del convegno e ponendo l'attenzione alla domanda: “data la natura internazionale della crisi come questa agisce ed arreca danni nelle diverse condizioni? In altri termini quali gli effetti su paesi con sistemi di ricerca diversi?". Citando Rampini editorialista e profondo conoscitore dell'estremo occidente (USA) indica come la risposta può essere trovata nel diverso rapporto tra crisi ed investimenti pubblici, tanto più nella ricerca. Gli USA modello di sviluppo e faro dell'economia mondiale oggi è in declino perché dall'era Regan in poi sono mancati investimenti pubblici che hanno minato la capacità produttiva americana. I paesi BRIC, invece, investono e crescono. Il problema rimane sulla destinazione delle risorse finanziarie. Dipende da chi manovra l'economia e dagli interessi di un paese. In Italia la crisi morde ancor di più perché esistono problemi strutturali, il sistema produttivo è debole e non crede nella ricerca, cioè non investe se non per proprio puntuale tornaconto. Nelle condizioni date se tagli devono essere fatti che siano certi ed una volta definiti sia data concretezza alle disponibilità in modo che si possa definire una certa programmazione anche nel reclutamento. Senza certezze, navigando a vista la ricerca alla fine affonda. Senza certezza nei finanziamenti non si può agire sulle infrastrutture se non ci sono soldi per l'edilizia universitaria non si possono fare alloggi per gli studenti meritevoli per gli stranieri e quindi viene meno l'appetibilità delle nostre Università. I pochi soldi disponibili dovrebbero essere spesi dove un certo grado infrastrutturale esiste in modo che almeno qualche centro sia competitivo con il resto del mondo. I tagli colpiscono i diritti dei lavoratori e nel caso specifico dei lavoratori (docenti e ricercatori) dell'Università leggi dello stato vengono disattese da nuove norme che vanno ad incidere negativamente sui livelli contributi del personale. Muovere l'intera macchina da soli non sarà possibile è necessario il contributo di tutti mettendo a frutto quella capacità di pressione che anche se poca cosa hanno permesso di ottenere per le Università uno stanziamento aggiuntivo di 300 ML di €.

    Ludovica Ioppolo, si sofferma sulle questioni più legate agli interessi e alle aspettative dei giovani in formazione. Siamo ricercatori in prima persona - esordisce - e ci rappresentiamo direttamente. Rimarca l'importanza della ricerca sociale che spesso è relegata in secondo piano rispetto a quella tecnologica, non solo in Italia, ma anche negli altri paesi. Ludovica sottolinea che anche negli ambienti accademici c'è una totale assenza di entusiasmo, sopperita in parte dai giovani che però vengono lentamente espulsi. In questo modo si determina una vera e propria immobilità sociale.
    Alla domanda, "da che parte stare e come uscire da questa situazione?" la risposta è secca: non certo con la riforma universitaria marcata Gelmini che ingessa ancora di più il sistema. Come primo esempio della inadeguatezza di tale riforma si può citare la proposta di intervento sui Dottorati che vede una drastica riduzione di quelli con borsa di studio, senza alcuna indicazione sull'entità di quelli senza borsa che precedentemente non potevano superare il 50% del totale.

    A chiusura della tavola rotonda, Francesco Sinopoli affronta l’ulteriore questione posta da Pietro Greco: esiste un problema di sviluppo o di specializzazione produttiva oppure e difficile risolvere i nostri problemi perché il sistema paese non è adeguato a competere?
    La risposta di Sinopoli, parte confutando la tesi che per la crescita del paese il vero problema sia il costo del lavoro e una estrema rigidità nelle relazioni che legano la produzione alla “manodopera”. Partendo dalla crescita tumultuosa degli anni '50 individua negli anni novanta il momento in cui il paese ha iniziato a ripiegarsi venendo meno l'esportazione e la possibilità di concorre sui mercati internazionali grazie ad una divisa debole resa tale dalle ripetute svalutazioni. A fronte di tali fenomeni il lavoro ha visto diminuire progressivamente la propria remunerazione con una perdita del potere d'acquisto quindi contrazione dei salari senza investimenti nell'innovazione ma nella finanza. Oggi, date le condizioni è necessario reperire risorse fuori dal paese per finanziare quella ricerca capace far progredire l'umanità. Orientare il modello produttivo, (in questo entra in gioco il consumo consapevole ndr) riproporre una idea di economia e società che metta al centro il sapere quale diritto e motore di sviluppo. Lo spostamento geopolitico non riusciamo ad attuarlo ma possiamo individuare elementi convergenti esercitare insieme una pressione, agire direttamente sui nostri governi affinché il costo che è destinato ad aumentare, non gravi solo sui giovani.

    Il prof. Walter Tocci non ha potuto intervenire nella discussione in quanto ha dovuto recarsi urgentemente alla Camera per adempimenti indifferibili.

    18.00

    Impatto della crisi economica su Università e Ricerca in Europa

    Riprendono gli interventi dei rappresentanti dei sindacati europei.

    Maria Luísa Sánchez Simón (Spagna), rappresentante FECCOO

    Mustafa Ecevit  e Acalya Temel (Turchia), rispettivamente segretario e coordinatore relazioni internazionali EGITIMSEN

    Manuel Pereira dos Santos (Portogallo), professore universitario rappresentante FENPROF

    18.40

    Si concludono i lavori della prima giornata.

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