Convegno nazionale "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative" - Seconda giornata

  • 10.00

    I lavori del convegno nazionale "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative" riprendono nella Cappella palatina di Palazzo Reale a Napoli.
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    La sessione antimeridiana di venerdì 4 maggio, coordinata in due tempi da Giulietta Ottaviano dell'esecutivo nazionale di Proteo e dalla dirigente scolastica Patrizia Di Franco, è stata particolarmente impegnativa, come prometteva l'argomento. Si parlava infatti del profilo del dirigente scolastico e di "idee e forme di leadership nelle scuole".
    Gli stessi aggettivi che accompagnano il sostantivo leadership danno il senso della complessità che il termine evoca e i modelli, le idee e le ideologie o visioni che gli stanno dietro.

    Ha cominciato il professor Giovanni Moretti, docente dell'Università Roma 3, che tra i diversi modi di interpretare l'autonomia scolastica ha ritenuto preferibile la scuola di comunità e di prossimità e la leadership diffusa che ne consegue (invece del modello competitivo e di una leadership di tipo manageriale).

    Il tipo di scuola richiamato da Moretti tiene conto del contesto, delle situazioni di partenza; è un luogo di crescita non solo professionale ma anche umana. È una scuola attenta alla qualità e al risultato, ma meno preoccupata di certificazioni e conformità formali, dietro alla quali spesso non c'è nulla. È la scuola dei legami professionali e dei legami tra le persone, che non ha paura di sbagliare, ma impara dai propri errori. In questo contesto scolastico definito inclusivo il dirigente scolastico diventa un leader. La leadership educativa, diffusa e inclusiva, coinvolge tutto il personale della scuola e anche le famiglie, quindi non può essere né formale né di tipo gerarchico.

    Ha suscitato qualche perplessità tra i convegnisti l'affermazione del professor Moretti sul dimensionamento. "Piccolo non è bello" ha detto, e in particolari contesti (es. le aree metropolitane) le scuole possono avere dimensioni ben superiori ai 1.000 allievi perché così costituiscono reti con più potere negoziale verso le istituzioni locali ("fare massa critica") e intervenire con progetti e proposte di interesse civico. La leadership, secondo Moretti, va esercitata ben oltre la gestione del Pof (legame col territorio). Tra i concetti importanti che accompagnano la leadership educativa, diffusa e inclusiva c'è l'informalità della comunicazione e delle relazioni (che non sostituisce i luoghi formali), c'è l'idea della cultura di rete dove tutti apprendono, compreso il leader, l'apertura, la permeabilità, l'osservazione tra pari, l'autovalutazione. In questa circolarità la famiglia non è il cliente esterno ma uno dei soggetti dell'apprendimento e dell'autovalutazione.

    Quale leadership per un governo democratico della scuola è la domanda posta a Roberto Serpieri, docente dell'università Federico II di Napoli, il quale ha tentato di presentare una mappa dei linguaggi e delle tante, troppe, definizioni di leadership. Serpieri ha presentato uno schema molto articolato per spiegare le diverse articolazioni della leadership e dell'esercizio del potere che discendono da un modello o da una concezione ideologica. Il modello più democratico è quello interattivo perché è più coinvolgente. La leadership democratica persegue l'obiettivo di sollecitare la partecipazione e sviluppare motivazioni professionali, promuove l'adozione di un punto di vista critico, ha bisogno di tempo e spazi.

    Sia Serpieri che Moretti non lesinano critiche al progetto Vales. Moretti ha dubbi che sia un progetto integrato, perché richiama un dirigente scolastico "poco implicato" che lavora su obiettivi indicati da altri (il direttore regionale), quindi è solo un esecutore e perde autorevolezza. Intravede il rischio che il progetto divida la comunità professionale dal dirigente scolastico.

    Serpieri critica la concezione manageriale e individualistica che sta dietro il progetto e solleva la questione, successivamente riproposta da Gianni Carlini, dei premi ai dirigenti alla fine del percorso. Ma critica anche gli obiettivi del progetto che ritiene arretrati anche rispetto ai più avanzati modelli applicati nell'industria. E si chiede: Valutare i risultati o gli sforzi? Premiare i gruppi invece che gli individui? E visto che parla di leadership democratica e di inclusione conclude dicendo che in Vales di democratico e giustizia sociale c'è poco.

    Non ha un compito facile, quindi, Damiano Previtali, esperto Invalsi e responsabile del progetto Vales, a spiegare la bontà del progetto, la cui finalità è il risultato. Ogni processo di valutazione ha dietro un leader, dice, e le leadership sono plurime, comunque vengano definite il problema è il risultato, cioè l'apprendimento degli studenti, dietro il risultato c'è una buona o cattiva leadership. La sfida è come raggiungere questo risultato che viene misurato su indicatori formalizzati (Ocse). I risultati sugli studenti permettono delle comparazioni. Previtali tiene a precisare che il progetto parte dai processi interni alla scuola, dunque l'autovalutazione è determinante. Le scuole italiane sono molte diverse e il Miur non riesce ad avere una visione completa. Sono le scuole che devono autorappresentarsi. L'autovalutazione dà centralità alla scuola, ma i dati sono determinanti. All'obiezione che già stata qualche anno fa una sperimentazione che non ha avuto seguito, Previtali risponde che precedenti esperienze di valutazione sono state troppo autoreferenziali. Dalla diagnosi (autovalutazione) si passa poi al miglioramento attraverso un piano ampio (obiettivi), lungo (3 anni minimo). Il modello rischia di essere gerarchico - riconosce Previtali - se il dirigente non negozia anche bene le condizioni per realizzare il miglioramento e la definizione di obiettivi e priorità. E negozia meglio se ha potere e autonomia, altrimenti non è in grado di gestire i processi e negoziare i cambiamenti.

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    Gianni Carlini, intervenendo subito dopo, ha voluto precisare che il progetto Vales ha bisogno di essere meglio definito e concordato proprio per evitare che il dirigente svolga un ruolo subalterno nei confronti del direttore regionale e la scuola assuma un'autonomia vigilata perché i suoi obiettivi sono decisi altrove. Inoltre ha detto che tre anni sono troppo lunghi per decidere la retribuzione di risultato dei dirigenti e che su questo punto va rispettato il contratto. Sul Vales ha quindi chiesto un tavolo tra le parti, altrimenti "la FLC si metterà di traverso".

    Sul tavolo di confronto e sul dialogo tra le parti prima di avviare il Vales il professor Previtali ha dato la massima disponibilità.

    15.00

    Il convegno si conclude con una sessione straordinaria che comprende una tavola rotonda sulla proposta di legge "Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche statali".

    Punto di partenza della discussione su "Autonomia scolastica e organi di governo della scuola", coordinata dal dirigente scolastico Armando Catalano, è stata la proposta di legge di riforma degli organi collegiali attualmente all'esame del Parlamento.

    La prima domanda è stata posta, quindi, ad Anna Maria Santoro della segreteria nazionale della FLC CGIL proprio per esprimere un giudizio sul ddl.
    Santoro, dopo avere spiegato che il ddl è una buona base di discussione visto che è stato epurato degli aspetti più controversi del testo Aprea, si è soffermata sui principi portanti della posizione FLC sul governo della scuola. A questi principi si ispirano gli emendamenti al testo di legge che la FLC ha presentato ai gruppi parlamentari. La posizione della FLC nasce da un'elaborazione costruita negli anni sull'autonomia scolastica, che non è mai stato un concetto astratto, ma declinato sulle finalità della scuola e sulla sua missione. Non a caso ha citato gli articoli 3, 5, 33 e 35 della Costituzione. Il governo della scuola deve fondarsi sulla più ampia partecipazione di chi vi lavora, per questo tra gli emendamenti al ddl c'è l'inclusione del personale ATA nel Consiglio dell'autonomia e il diritto di voto del DSGA. Escludere una parte del personale della scuola dalla partecipazione attiva è "un errore politico, culturale, organizzativo" perché la separazione non crea qualità nel servizio. Ma la partecipazione deve includere anche genitori e studenti. La FLC guarda con interesse all'autonomia statutaria, ma essa non deve significare frammentazione del sistema di istruzione, al quale va garantita unitarietà. Altri aspetti su cui la FLC richiama l'attenzione sono gli organismi di garanzia della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale, la questione della rappresentanza delle scuole autonome, il ruolo dei privati, di cui le scuole possono avvalersi, ma solo se lo vogliono.

    Il richiamo all'autonomia statutaria ha fornito lo spunto per la seconda domanda che Catalano ha rivolto al costituzionalista Antonio D'Andrea, Docente all'Università di Brescia, sottolineando i timori e speranze che un tale concetto suscita.
    Il professor D'Andrea ha colto una serie di aspetti problematici insiti non solo nella definizione, ma anche nelle fonti legislative. Ha tenuto subito a sottolineare la differenza con l'autonomia universitaria che con la legge 240/2010, ma già prima col ministro Moratti, è stata mortificata e subisce una dettagliata regolamentazione tutta incentrata sulla figura del rettore. L'autonomia non è autogoverno, perché le scuole fanno riferimento a due livelli normativi, quello statale e quello regionale, quindi l'autonomia statutaria sarà quello che questi due legislatori lasceranno disponibile. In astratto l'autonomia statutaria attiene alla libertà dell'istituzione scolastica che però incrocia un diritto costituzionale; la scuola attiva una macchina organizzativa che deve garantire l'eguaglianza nella fruizione del bene istruzione. Se i due legislatori lasciano alla scuola spazi di regolamentazione, attraverso l'autonomia essa può aggiungere un di più (di saperi) sugli standard già definiti. Quindi si tratta di un intervento aggiuntivo e non sostitutivo. Il ddl si occupa di aspetti solo organizzativi, libertà nell'organizzazione della somministrazione dei saperi e valutazione dei processi di apprendimento, ma non risolve questioni di fondo abbastanza complesse. L'autonomia statutaria è funzionale e non territoriale, qui il ddl già all'art. 1 dà definizioni improprie. L'autonomia statutaria non significa automaticamente autonomia finanziaria. C'è poi il problema dei controlli - chi e come - perché se il controllo è per consentire non c'è più autonomia. E poi c'è la questione basilare della libertà di insegnamento. La questione va chiarita anche concettualmente. Fino adesso è un tentativo maldestro di maquillage politico su un tema spinoso.

    I problemi dell'autonomia professionale, che riguardano certo i docenti ma anche il resto del personale, soprattutto i dirigenti spingono Catalano a introdurre il tema del Consiglio nazionale delle Autonomie scolastiche, che, nelle intenzioni del ddl, dovrebbe sostituire il vecchio Cnpi. La questione viene posta a Mario Battistini che del Cnpi è componente da diversi anni.
    Battistini pone subito il concetto della centralità della scuola nel campo dell'istruzione. La dipendenza dell'amministrazione dalla politica, così accentuata negli ultimi anni, ha messo la scuola un po' in disparte con conseguenze tutte negative. La scuola è un "luogo appartato" ma "non separato". C'è stata una forte crisi della rappresentanza, ma un organo nazionale è utile non solo per l'autonomia delle istituzioni scolastiche, ma anche a garanzia dell'autonomia del sistema di istruzione. Il Cnpi è stato funzionale a un modello centralistico, oggi c'è bisogno di un organismo formato non solo da esperti ma che sia di rappresentanza di tutte le componenti scolastiche e delle istituzioni locali. Battistini ha poi richiamato una serie di problemi irrisolti, quale quello dell'autonomia professionale e dello statuto delle professioni, e aspetti critici, come le questioni disciplinari (di cui il Cnpi si è sempre occupato), sulle quali pesa e crea confusione la normativa Brunetta. Infine, ha espresso preoccupazione su possibili sovrapposizioni di competenze e sulla difficile gestione di un eventuale conflitto tra sindaco e dirigente scolastico in materia di istruzione.

    La questione del riformato Titolo V della Costituzione da oltre 10 anni continua a riproporre nodi irrisolti. Ma sugli organi di governo della scuola la FLC intende aprire un dibattito, il più ampio possibile, affinché le scuole, prima di tutti, sia protagoniste nella decisione di come vanno governate.

    Alla tavola rotonda avrebbe dovuto partecipare il dirigente scolastico della Regione Toscana, Elio Satti che però è stato trattenuto da impegni inderogabili.

Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
e i lavoratori di scuola, università, ricerca
e AFAM possono far sentire la loro voce.

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