Seminario nazionale "Il valore delle professioni amministrative, tecniche e ausiliarie in una scuola accogliente" - Seconda giornata
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10.00
I lavori della seconda giornata del seminario nazionale "Il valore delle professioni amministrative, tecniche e ausiliarie in una scuola accogliente" riprendono.
Vai alla web-cronaca della prima giornata
A condurre la mattinata, Antonio Bettoni, Presidente Proteo Fare Sapere che introduce i resoconti dei lavori di gruppo che si sono svolti nel pomeriggio di ieri (più in basso alcune immagini).
I tre gruppi si sono soffermati, in particolare, sui temi centrali richiamati nel documento di ingresso. Luciano, Tiziana e Angela sono stati indicati come portavoce dei rispettivi gruppi.
Organici:
proposte concrete e praticabili per difendere e rilanciare la qualità dei servizi
Luciano Andreacchio,
collaboratore scolastico, Genova.
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Decentramento amministrativo-gestione delle risorse finanziarie:
scuola e ministero, un rapporto complicato. Idee per lavorare meglio
Tiziana Mosca,
assistente amministrativa, Ancona.
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Risorse e diritti:
prospettive per la contrattazione nazionale e riconquista di spazi e idee per la contrattazione di scuola
Angela Uricchio,
assistente amministrativa, Matera.
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La scuola come "insieme"
La seconda sessione dei lavori procede con tre comunicazioni.
La prima, dal titolo Il lavoro "integrato" della comunità educante è di Armando Catalano, dirigente scolastico.
È da almeno un decennio, afferma Catalano, che nella scuola convivono due diverse "culture": quella che considera il personale ATA come "bassa forza-lavoro di servizio di cui le scuole avrebbero persino potuto fare a meno" e quella che considera la scuola come un corpo unitario, articolato, o, per meglio dire, "integrato".È quest'ultima la visione alla quale si ispira la nostra organizzazione. Una prima conseguenza, precisa Catalano, è quella di considerare il personale ATA “lavoratore-educatore”, mentre una seconda conseguenza è quella di ripensare il concetto stesso di "utenza" (genitori e alunni). Se la scuola è un bene comune, il personale ATA non deve essere tagliato fuori da nessun organismo, a nessun livello, che gestisce questo bene, che gestisce il diritto universale istruzione, che governa la comunità educante costituita da ciascun punto di erogazione del servizio.
Sul versante delle proposte, Catalano ne avanza due:
- trovare un modo di interconnettere, di far parlare tra loro, il Piano delle Attività del personale ATA e il Piano dell’Offerta Formativa della scuola
- qualificare i percorsi di aggiornamento e formazione del personale ATA innalzando il livello dei contenuti formativi. In particolare, dovrebbero riguardare i seguenti contenuti: il disagio sociale, l’intercultura, il bullismo, le dipendenze, la genitorialità oggi, l’infanzia, la preadolescenza e l’adolescenza oggi.
"Ormai - conclude Catalano - ne siamo convinti, la scuola con la sua docenza, con la sua diffusa intellettualità, può fare da sé, costruendo percorsi di Ricerca/Azione autonomi in cui tutto il suo personale può e deve essere coinvolto da protagonista, compreso, a pieno titolo, il personale ATA".
Scarica il testo integrale della prima comunicazione
11.10
Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, per anni è stata docente universitaria, quindi ha competenza sui problemi del modello educativo, direttrice della rivista "Psicologia contemporanea", rivista di psicologia applicata, con continuo riferimento al mondo della scuola.
Interviene al nostro seminario con la comunicazione Il ruolo educativo dell’adulto in un contesto formativo.
La sua relazione è incentrata sul rapporto personale docente e personale ATA, a partire da quattro ordini di questioni:
1. i temi e i problemi legati alla Comunicazione, verbale e non
2. una buona disposizione rispetto al proprio lavoro nella scuola
3. cosa significa frequentare la scuola per un ragazzo o una ragazza
4. alcune nozioni fondamentale sulle fasi psicologiche dello sviluppo
Inizia con l'esempio "virtuoso" negli anni 70 della scuola di Lòczy, istituzione formativa che aveva l'obiettivo di favorire il nuovo adattamento di giovani disagiati. I bambini di Lòczy dovevano sentirsi accolti da tutto il personale, sia per abituarsi a nuovi rapporti, sia per sentire come "propri" tutti gli spazi della scuola, per avere un senso di appartenenza.
Molte scuole del nord Europa mantengono questo impianto "totale", tra queste la Finlandia che, negli anni più recenti, brilla come modello per la formazione. In questa scuola c'è una professionalità piena anche per il personale ATA.La "presenza" del personale a scuola, e il modo di interpretarla è importante anche perché la formazione si misura con una comunicazione verbale e non verbale: entrambe svolgono molteplicità di funzioni fondamentale per trasmettere elementi di formazione
Non sempre ci rendiamo conto della funzione che la nostra comunicazione svolge. Una buona comunicazione svolge un ruolo decisivo nel processo formativo.
Alcune persone, prosegue la Oliverio Ferraris, hanno come doti innate alcuni aspetti decisivi della comunicazione non verbale. Il semplice esempio del saluto/non saluto è un passaggio decisivo. Può trasmettere emozioni e in primis disponibilità all'accoglienza. I ragazzi si sentono riconosciuti e accolti nelle loro problematiche.
Un atteggiamento "respingente" può creare un clima non accogliente. E questo è appannaggio di tutte le figure presenti nella scuola: può essere un modello educante o anti educante. È un punto importante che si può molto migliorare. Su questo si potrebbero fare dei corsi di formazione interni alle singole istituzioni scolastiche.Il secondo aspetto riguarda il modo in cui si vive il proprio lavoro: se si vive con nervosismo il proprio lavoro trasmette questa emozione, in un circolo vizioso che incide sulle dinamiche di relazione e di conseguenza anche sui processi formativi e di apprendimento.
Quando si stabilisce un buon rapporto, in cui il ragazzo si sente riconosciuto e accolto, si stabilisce la possibilità anche di governare le dinamiche di relazione.Cosa rappresenta la scuola per i ragazzi? È il luogo in cui si va per imparare ma, fondamentale, si imparano anche i modi per vivere insieme agli altri. Non è solo il riconoscimento di se stessi ma anche il luogo dove dipanare la relazione con "gli altri", diversi dal soggetto. È una esperienza fondamentale che permette di capire le differenze e di accettarle come luogo del confronto.
Cosa fa star bene i ragazzi a scuola? Quando si sentono "appartenenti" a quel luogo, quindi parte costitutiva di un determinato ambiente. In questo senso la scuola diventa "luogo" di vita, della propria vita. La durata ha importanza perché favorisce l'acquisizione di sicurezza individuale: diventa un luogo di vita in cui ci si trova bene e si possono acquisire le regole di vita e accettare le dinamiche che vi si svolgono. Si acquisiscono i principi base della convivenza.
Fondamentale diventa quindi una conoscenza preliminare delle fasi psicologiche della età evolutiva, non ci sono solo le differenze di genere, ma anche quelle legate all'età.
Il periodo tre/sei anni è un passaggio decisivo. È un'età molto critica e decisiva perché permette di sviluppare "l'intelligenza sociale", cioè la comprensione delle dinamiche della relazione. La modalità per comprendere ed acquisire si muove su molti terreni non solo su quello delle conoscenze. Trovare disponibilità nel personale apre spazi molto importanti nello sviluppo della personalità, dal momento che in questa fare sono delle "spugne", soprattutto perché prioritario in questa fase è il legame sul terreno della affettività. Iniziano ad esplorare una realtà molto complessa, la loro curiosità è decisiva: l'adulto deve saper ascoltare e trovare il modo adeguato per cercare di rispondere. Spesso le domande hanno un carattere quasi "filosofico". È poi l'età della scoperta di sé sul terreno dell'identità sessuale. Il rapporto con il corpo deve essere centrale ma calibrato nella "giusta" distanza.
I bambini vanno rispettati, non vanno trattati come "zimbelli" per evitare la loro chiusura su se stessi.
Tra i sei e i dodici anni c'è una evoluzione significativa che sviluppa nuove dinamiche. È l'età in cui si codificano delle regole, in maniera condivisa o no dipende dalla precedente stagione. Qui cominciano a definirsi delle regole che vanno comunicate alle famiglie, anche perché non sempre coincidono: si passa dalla dimensione ristretta del nucleo familiare ad una dimensione di comunità.
C'è una forte progressione nell'ambito della comunicazione. È l'età in cui compaiono le prime forme di bullismo, cioè la "violenza" premeditata; forme di aggressività esistevano anche nella fase precedente, ma senza intento e progettazione. In questa nuova fase i ragazzi si aspettano reazioni da parte della comunità e degli adulti. Il non intervento è anch'esso una forma di comunicazione, negativa ovviamente.
La reazione al bullismo è uno strumento di correzione dell'aspetto educativo e di sviluppo del processo di crescita.
Serve quindi, su questo terreno un modello di comportamento che abbia un programma comune e condiviso in tutti gli operatori della scuola. Ormai ci sono delle conoscenze precise e consolidate su questo terreno e sui comportamenti corretti da adottare: ogni operatore della scuola deve essere consapevole del progetto educativo della scuola e anche degli strumenti didattici per rispondere alle sollecitazioni. La Oliverio Ferraris presenta una scheda analitica sui motivi per cui si elabora un comportamento da bullo.
Sono coinvolti soprattutto gli insegnanti in questa situazione ma non sempre l'insegnante è presente.Nel passaggio alla adolescenza sopraggiungono nuove problematiche. In particolare quella del corpo in trasformazione: i temi della sessualità diventano decisivi e le modalità della relazione cambiano. C'è la ricerca di una propria identità di genere che richiede vari anni, quindi un percorso lungo. C'è un ruolo soggettivo e autonomo del ragazzo adolescente, ma la figura degli operatori scolastici è altrettanto decisiva, anche se meno appariscente di fronte alla indipendenza del soggetto.
Dal momento che, in questa fase, c'è l'ambizione al "distacco" dai genitori diventa più importante il ruolo della presenza e del comportamento di altri adulti che sono modelli di riferimento.Il processo di costruzione della personalità, secondo le ultime riflessioni in campo psicologico, avviene in un periodo molto lungo, almeno fino ai 22/24 anni di età.
L'emotività può spingere a non tener conto delle motivazioni razionali nei comportamenti e spingere alla impulsività: questo avviene anche nell'età tra i 15 e i 18 anni, quando in apparenza i giovani sembrano autosufficienti.Ovviamente c'è una questione di "equilibrio" nelle scelte da compiere da parte del personale educativo e del personale tutto: adattare scelte e comportamenti rispetto alle situazioni di contesto specifiche.
11.45
Interviene Gianni Carlini, Centro nazionale FLC CGIL, con la comunicazione su Modello partecipativo e riforma degli organi collegiali.
Dopo aver ricordato che tutti i sistemi fondati sull'autonomia professionale, sulla partecipazione attiva degli "utenti" e sulla necessità della condivisione nelle decisioni richiedono che al loro funzionamento concorrano i tutti soggetti interessati, Carlini richiama l'intenzione del Governo di centrodestra di costruire un sistema gerarchico e autoritario anche nella scuola attraverso il decreto "Brunetta" e il disegno di Legge Aprea.
Tale disegno è stato sconfitto dall'opposizione dei lavoratori e del sindacato e dalla sua "pochezza". Restano però i danni di politiche devastanti per il sistema di istruzione alle quali è necessario porre rimedio.In questo contesto il ddl di riforma degli organi collegiali in discussione in Parlamento è una buona occasione per dare alla scuola organi di autogoverno rappresentativi, partecipati ed adeguati alla sfida del miglioramento del sistema di istruzione.
Nei nuovi organi collegiali, ne è convinto Carlini, sarà indispensabile la presenza del personale ATA non solo perché sarebbe ingiusto e perché svaluterebbe una professionalità importante, ma perché un organo di indirizzo, di controllo e di impulso alla progettualità non può fare a meno di tutti i "saperi" organizzativi e gestionali che sono necessari a realizzare una buona scuola.
Occorre infatti evitare i danni che derivano dall'esclusione dai momenti decisionali dei soggetti che conoscono le condizioni e le potenzialità delle strutture scolastiche come è avvenuto con l'esclusione delle scuole autonome dalle decisioni sul dimensionamento scolastico.Scarica il testo integrale della terza comunicazione
12.15
Si aprono ora gli interventi dal pubblico per il dibattito conclusivo della seconda sessione. Sono intervenuti:
Gennaro Pezzuno, assistente tecnico, Napoli
Mario Gianni, DSGA, Venezia
Simonetta Rossi, collaboratrice scolastica, Milano
Marco Ramella Trotta, assistente amministrativo, Biella
Alessandro Tatarella, collaboratore scolastico, Roma
Giuseppe Verralitti, DSGA, Verona
Pasquale Sansone, assistente tecnico, Napoli
Salvatore Cancitano, assistente tecnico, Trapani
Milena Veronesi, DSGA, Mirandola (Modena)15.00
I lavori del seminario riprendono con un cambiamento di programma. Alla tavola rotonda avrebbe dovuto partecipare Gianna Fracassi, Segretaria nazionale della FLC CGIL, che però è impegnata a Roma in un incontro al Ministero dell'Istruzione. Si è allora deciso di far intervenire in sua sostituzione Domenico Pantaleo, Segretario generale della FLC CGIL.
Personale ATA: valorizzazione professionale e contrattazione vadano di pari passo
Prima di iniziare la tavola rotonda Domenico Pantaleo ha rinnovato ai lavoratori ATA l'impegno di riflessione e di iniziativa del sindacato sulle problematiche del settore. Pantaleo ha ricordato che abbiamo affrontato una fase difficile; i tagli di organico degli anni passati hanno peggiorato le condizioni di lavoro per tutto il personale della scuola ed in particolare per gli ATA. Si sono scaricate sui lavoratori maggiori incombenze e non c'è stato alcun riconoscimento retributivo del maggior carico di lavoro. C'è poi stato un tentativo di cambiare alcuni tratti caratteristici della scuola pubblica statale ed in particolare il suo carattere di comunità aperta e partecipata nella quale si integrano le funzioni di tutti e che funziona solo se ogni componente si impegna per il miglioramento; a questa visione della scuola deve corrispondere una integrazione non gerarchica ma funzionale dei soggetti.
La FLC CGIL continua a pensare, senza farsi suggestionare, a differenza di altri, dalle teorie della Aprea, a un contratto nazionale che integri i lavori e le figure professionali nella scuola respingendo l'idea di un contratto per gli ATA e di uno stato giuridico per i docenti. A questo preteso "modernismo" non ci stiamo: la valorizzazione professionale si può fare con la contrattazione e noi siamo pronti, con le nostre proposte, a confrontarci in qualsiasi momento.
Molte delle questioni sollevate nei gruppi di lavoro, importanti e ben analizzate, potranno trovare soluzione solo con il rinnovo del contratto nazionale di lavoro; senza il contratto - ha sottolineato Pantaleo - non possiamo risolvere i problemi, possiamo solo enunciarli. Vale per tutti l'inadeguatezza del salario del personale ATA, rispetto sia al costo della vita che al contenuto professionale delle prestazioni richieste; senza contratto non c'è soluzione al progressivo impoverimento. Oggi stanno tentando di prelevare dal Fondo di istituto i soldi per pagare gli scatti di anzianità e questo impoverirebbe una fonte retributiva che negli anni ha riconosciuto carichi di lavoro e professionalità e ha rappresentato un modo per seguire il cambiamento radicale delle mansioni svolte dal personale ATA avvenuto non solo per i tagli ma anche per il cambiamento dei lavori nella scuola. Il prossimo contratto dovrà affrontare questo tema ed il lavoro fatto in questo seminario sarà prezioso.
Il Segretario generale della FLC CGIL ha chiuso il suo intervento con due precisazioni.
La prima: se parliamo di professionalità tutta la discussione sugli insegnanti tecnico-pratici è sbagliata. Si distrugge un patrimonio di saperi nelle scuole e soprattutto si cancella il fondamento, la ragione di essere degli istituti tecnici e professionali: i laboratori che sono una parte decisiva della loro funzione didattica e pedagogica.
La seconda: c'è un'emergenza nelle scuole che non è solo occupazionale, ma deriva dal fatto che è stata compromessa la possibilità concreta di funzionamento. Perfino la sicurezza degli utenti e dei lavoratori e la possibilità di aprire le scuole è stata messa in discussione dalla riduzione degli organici ATA.Rilanciamo l'idea - ha suggerito Pantaleo - che per uscire dalla crisi economica e sociale ci vuole più istruzione e lavoriamo per unire tutti i soggetti del mondo della conoscenza, per ridare loro la speranza.
Governare la scuola dell'autonomia
È il titolo della tavola rotonda alla quale hanno partecipato Antonio D'Andrea, Docente di Diritto Costituzionale Università di Brescia, Maria Filomena Fotìa, gruppo tecnico MIUR, Stella Targetti, Assessore Istruzione Regione Toscana e Domenico Pantaleo, Segretario generale della FLC CGIL.
A condurla, Anna Villari, giornalista e Direttrice della Rivista "Articolo 33".Dopo 12 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha ridisegnato le autonomie istituzionali, conferendo rango costituzionale anche alle scuole, possiamo dire - ha affermato Villari - che si è trattato di una riforma incompiuta. Si spiegano così le numerose sentenze della Corte costituzionale che negli anni sono intervenute sugli ambiti di competenza tra Stato e Regioni e gli innumerevoli tentativi di costruire intese tra Stato e Regioni per regolare i difficili rapporti istituzionali.
In questi 12 anni si è fatta tanta confusione e poca chiarezza, anche in campo legislativo e il contenzioso Stato-Regioni non si è mai risolto: ultimo quello sul dimensionamento su cui si è pronunciata il 4 giugno scorso la Corte costituzionale con la sentenza 147/12. Unica certezza è che la "cenerentola" dell'autonomia è stata proprio la scuola che, stretta tra due centralismi e soffocata da tagli disastrosi, non ha potuto dispiegare - se non raramente e per sforzo e responsabilità dei singoli - le opportunità che l'autonomia le offriva per svolgere al meglio la sua "missione". Nonostante il regolamento (Dpr 275/99) la declini con precisione, questa autonomia non è decollata per ragioni più che altro esterne alle scuole.
Dopo questa breve introduzione Villari ha voluto soffermarsi sui probabili scenari, anche alla luce dell'ultimo accordo Stato-Regioni, che si potranno presentare nei prossimi mesi, chiedendo ai suoi interlocutori se sarà possibile per le scuole dotarsi finalmente di un governo che sia espressione della loro particolarità e sia funzionale ai compiti che la Costituzione assegna loro.
Dimensionamento e sentenza della Consulta: e ora cosa cambia?
Tra le materie dell'accordo Stato-Regioni c'è la ripartizione delle dotazioni organiche e il dimensionamento della rete scolastica. Sul dimensionamento la Corte costituzionale ha accolto un ricorso di alcune regioni, tra cui la Toscana, annullando il comma 4 dell'art. 19 della legge 111/11. La sentenza arriva a dimensionamento già fatto, ma in modo incostituzionale. Questo dovrebbe spingere le regioni a rivedere il tutto.
Rivolgendosi a Stella Targetti, Assessore Istruzione Regione Toscana, Anna Villari ha chiesto quali decisioni si stanno prendendo.
L'assessore ha risposto che questa sentenza si inserisce in un quadro di riferimento, presente ormai da tempo nel nostro Paese, purtroppo non chiaro, perciò non si poteva fare a meno di ricorrere; ma dimostrare contentezza è comunque una magra consolazione. Ciò che vuol fare la regione Toscana è lavorare su questioni importanti come i temi dell'accordo Stato/Regioni sul trasferimento di competenze in materia scolastica alle Regioni, nel nome di una sussidiarietà vera in un contesto che non reggeva più, nella confusione più totale tra chi si è occupato fino ad ora degli organici (lo Stato) e chi del dimensionamento (le Regioni). I due strumenti: organico e dimensionamento devono poter marciare insieme e non possono essere assegnati più a due entità diverse e lasciati dunque alla discrezionalità dei rapporti tra USR e Regioni. L'assessore Targetti precisa inoltre che, nell'accordo, ci sono solo i principi generali di questa sussidiarietà verticale, le modalità operative sono da definire e sarà necessario il supporto di tutti, anche dei sindacati. L'autonomia scolastica sta al di sopra di ciò e ne è salvaguardata, ma sottolinea che, tale autonomia, deve realizzarsi poi in una nuova modalità gestionale delle scuole in unione col territorio, per fare arricchire la scuola ed integrarla davvero con la realtà circostante, creando così una cultura del territorio. È per questo che la Regione deve poter agire su tutte le componenti della scuola per "dare gambe" al concreto realizzarsi dell'autonomia scolastica e risulta necessario e fondamentale trovare una rappresentatività dell'autonomia che renda forte il rapporto col territorio.
Dimensionamento e sentenza della Consulta: poca coerenza delle Regioni?
Domenico Pantaleo ha evidenziato la contraddizione delle Regioni che hanno presentato il ricorso alla Corte costituzionale sul dimensionamento: dopo aver avuto ragione non ne hanno tratto le conseguenze mantenendo le decisioni che hanno prodotto un "dimensionamento" devastante della rete scolastica. È ora - ha detto il Segretario generale della FLC CGIL - di passare dopo 12 anni di conflitto continuo fra Stato e Regioni alla cooperazione che deve assicurare una forte partecipazione, un processo aperto, al quale possano partecipare i territori, le parti sociali, gli enti locali e le scuole. È necessario superare un rapporto fino ad ora ridotto a due soli soggetti: lo Stato e le Regioni.
Compiti e competenze di Stato e Regioni: siamo fuori dalla selva oscura?
Antonio D'Andrea, Docente di Diritto Costituzionale Università di Brescia, è stato sollecitato dalla coordinatrice della tavola rotonda a dare un suo giudizio sull'Accordo fra Stato, Regioni e Province Autonome in materia di istruzione in attuazione del Titolo V della Costituzione presentato al MIUR il 28 giugno 2012. E in modo particolare a soffermarsi sulla chiarezza delle competenze fra Stato e Regioni e sul ruolo delle scuole autonome che non compaiono nel documento e fanno la solita figura dei "vasi di coccio". Altro argomento posto al prof. D'Andrea è stato quello dell'associazionismo scolastico, se esso può essere una via d'uscita dalla minorità dell'autonomia delle scuole come finora l'abbiamo conosciuta.
Il prof. D'Andrea è convinto che la riforma del Titolo V in materia di istruzione abbia consegnato una situazione da "avvelenamento dei pozzi". Nel senso che i concetti del nuovo testo rendono quasi impossibile la gestione. Il nuovo testo ha provocato non pochi pasticci, anche lessicali. Nella Costituzione, infatti, non troviamo nulla di federale, mentre i nuovi concetti espressi nel titolo V riformato (come sussidiarietà, leale collaborazione) complicano l'individuazione delle competenze. E troviamo semmai il fenomeno degli enti decentrati minori che rivendicano competenze. Da ciò lo sforzo che sta facendo - inevitabilmente - la Corte Costituzionale per dirimere la questione delle competenze che si presenta di volta in volta su questo o su quel provvedimento. Da ultimo - ha proseguito il prof. D'Andrea - abbiamo assistito all'ennesimo scontro Stato-Regioni, con l'intervento della Corte Costituzionale, sulla questione del dimensionamento della rete scolastica.
Verso il superamento degli USR e USP: quale comunicazione tra Ministero e scuole?
Nell'ipotesi di accordo Stato-Regioni si delinea una nuova configurazione dell'amministrazione periferica dell'istruzione con il superamento degli Uffici Scolastici Regionali (USR) e Uffici Scolastici Provinciali (USP). A questo proposito Anna Villari ha chiesto a Maria Filomena Fotìa, gruppo tecnico MIUR, attraverso quali canali avverrà la comunicazione tra scuola e il , visto che il sistema di istruzione resta nazionale.
La professoressa Fotìa ritiene che sia stato un pasticcio di stampo elettorale la scelta fatta 12 anni fa di modifica del Titolo V con le conseguenze che ne sono derivate nei rapporti tra istituzioni, sul ruolo delle scuole e quello degli Enti locali, sulla guerra tra i vari Enti.
Tale situazione avrebbe avuto bisogno di una autonomia scolastica sul modello di quanto pensato da Berlinguer: autonomia organizzativa, di ricerca-azione; di una idea di scuola che va ad identificarsi con la più vasta comunità educativa.
Sinora invece l'autonomia scolastica, oltre a subire l'incursione di tante leggi, è stata distrutta nella parte più costruttiva; invece di ottenere l'organico funzionale, che sarebbe stato una delle gambe dell'autonomia, la scuola ha dovuto subire continui tagli di risorse sia umane che finanziarie.
I 70.000 posti in meno del personale ATA erano già nella Legge 133/08 e nelle Finanziarie che sono seguite.
È stata azzerata l'autonomia di fatto; nella dinamica complessa tra Stato, Regioni ed Enti locali, la scuola non ha avuto la forza di essere rappresentativa.Il decentramento amministrativo - ha proseguito Fotìa - è stato soltanto lo scarico parziale o totale di lavoro sulle scuole, senza alcuna formazione per il personale amministrativo e senza assegnazione di apposite risorse. Le segreterie delle scuole si sono attrezzate per essere pezzi dell'Amministrazione, per svolgere compiti che spettavano al MIUR.
Con le misure conseguenti alla spending review, con l'ipotesi di abolizione degli uffici periferici del MIUR, si va verso l'impoverimento della pubblica amministrazione: la riduzione dei funzionari, la riduzione di organico e di retribuzioni sono un segnale chiaro di chi non crede in essa; al contrario servirebbe una pubblica amministrazione moderna, efficace e funzionale.
È positivo che nel Decreto Sviluppo, grazie anche all'impegno del MIUR, ricompaia l'organico funzionale, pur se in una formulazione vuota di contenuti.
Bisogna risolvere il problema del governo della scuola, attraverso una ridistribuzione di compiti tra centro e periferia, che non carichi la scuola, che deve essere così centro di flessibilizzazione dell'offerta formativa vera. È necessario utilizzare le risorse costituite dai fondi europei che alcune regioni non hanno saputo utilizzare.Con le scuole, in collaborazione con gli Enti locali - ha sottolineato Fotìa - bisogna tendere all'attuazione del vero diritto all'istruzione.
È riprovevole che sia stata esclusa la scuola nella predisposizione del piano di dimensionamento e ristrutturazione della rete scolastica. È auspicabile - ha concluso Fotìa - che, nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale, il piano di dimensionamento futuro sia regolamentato meglio e veda maggiore partecipazione e condivisione.Ipotesi di Accordo Stato-Regioni: le scuole non hanno voce. E il sindacato?
Nel recente accordo Stato-Regioni sul trasferimento di funzioni amministrative, risorse ("finanziarie, umane e strumentali"), sulla sperimentazione di nuovi modelli organizzativi ecc. la grande assente resta la scuola che ancora una volta non ha voce, né sui criteri di ripartizione degli organici, né sulle sperimentazioni previste, tra cui una che riguarda la professione docente. Il secondo escluso su organici, sperimentazioni, valutazione e modelli organizzativi è il sindacato. Anna Villari ha chiesto l'opinione di Domenico Pantaleo.
Per il Segretario generale della FLC CGIL il tema centrale da affrontare in modo partecipato è quello dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che il servizio pubblico di istruzione deve garantire. I LEP non debbono essere livelli minimi, ma standard qualitativi generali da raggiungere in tutto il territorio nazionale. Il finanziamento dei LEP non può avvenire spostando l'onere finanziario dallo allo Stato alle Regioni, perché così si finisce per lasciare in difficoltà le Regioni più fragili. L'idea di un piano straordinario per il Sud deve riguardare anche le differenze strutturali e le esigenze del sistema di istruzione.
Rispetto agli organici vanno affrontati sia il problema dei criteri per la loro distribuzione che devono garantire l'unitarietà del sistema di istruzione (ad esempio gli ordinamenti decisi dallo Stato devono essere garantiti ovunque) sia il problema del rapporto di lavoro che deve essere regolato dal contratto nazionale. Un eventuale terzo livello di contrattazione regionale, oltre a quello nazionale e di scuola, deve essere regolato in modo chiaro e non derogabile dal contratto nazionale: non è accettabile che due contratti, nazionale e regionale, affrontino lo stesso tema.
Autonomia scolastica, autonomia minore: chiarire i rapporti istituzionali fra Stato, Regioni e Scuole
Nella "triangolazione" tra istituzioni autonome, Stato, Regioni, Scuole, come dovrebbero essere gestiti i rapporti? Per le materie di sua competenza può lo Stato (il MIUR) dialogare con 10mila scuole? E le regioni con ogni singola scuola del proprio territorio? Per Anna Villari la scuola in tutto questo sembra esercitare un'autonomia "minore", il vaso di coccio tra i vasi di ferro. È proprio così?
L'opinione di Maria Filomena Fotìa è che bisogna cogliere anche l'occasione della crisi per ridisegnare la Pubblica Amministrazione. È urgente risolvere il problema di dare gambe all'autonomia scolastica; continuare con i tagli delle risorse umane e finanziarie significa mandare alle scuole il messaggio di arrangiarsi.
È necessario affrontare il problema della rappresentanza delle scuole autonome, partendo dalla domanda non su "chi" ma su "che cosa" serva. La scuola è il lievito del territorio: serve una rappresentanza della comunità scolastica in grado di co-progettare, co-programmare l'offerta formativa anche in relazione al territorio; una rappresentanza collettiva delle scuole. Sicuramente per fretta nel DDL di riforma degli organi collegiali è stata fatta fuori la componente ATA.
Le scuole poi devono imparare a rispondere al territorio, ai portatori di interesse, attraverso il bilancio e la rendicontazione sociale.Tutta la vicenda del dimensionamento, secondo Pantaleo, ha evidenziato come l'assenza di un interlocutore essenziale, le scuole autonome, abbia prodotto istituti comprensivi dove, in conseguenza delle eccessive dimensioni, della estesa distribuzione territoriale, della aggregazione forzata di storie diverse, è compromessa e resa impossibile proprio la finalità per la quale si era deciso di costituirli: la continuità didattica ed educativa.
Per il Segretario generale della FLC CGIL è necessario tornare a parlare di dimensioni compatibili con l'efficacia funzionamento, fuori della logica del risparmio di spesa, e ragionare sul limite massimo di 900 alunni per scuola e su 600 alunni come media regionale per assicurare prima di tutto il funzionamento delle scuole.
L'autonomia delle scuole ha come prima finalità la ricerca, la costruzione del progetto della comunità educante, per garantire standard di qualità sempre più elevati. Alle scuole, per questo, servono risorse adeguate e certe che debbono essere erogate con tempestività e questo è un primo obiettivo da raggiungere.Le scuole hanno poi bisogno che la loro autonomia, di valore costituzionale, sia rispettata. Per questo hanno bisogno di una rappresentanza che possa interloquire con i decisori politici e possa far valere il proprio compito di rispondere alle esigenze concrete del territorio e ai bisogni dei cittadini. Una rappresentanza plurale, non affidata al solo dirigente scolastico e capace di far contare le scuole e il loro progetto.
A Palazzo Chigi - ha continuato Pantaleo - è in corso una discussione (sulla spending review) che non si misura con le esigenze del Paese. Si continua a parlare di tagli e non di investimenti, che, invece, paradossalmente vengono previsti per la scuola privata. Noi siamo impegnati perché alle scuole sia dato quello che serve a funzionare e a governarsi. Il processo in corso rischia di portare da un governo centralista al nulla con il rischio concreto che la scuola resti senza un sistema di governo. Per questo la FLC CGIL è in campo con le proprie proposte sia sulla riforma degli organi di autogoverno delle scuole sia sull'intesa fra Stato e Regioni in attuazione del Titolo V della Costituzione.
Autonomia scolastica, autonomia minore: come uscirne?
Come deve fare la scuola per uscire da questa "autonomia minore" ed essere riconosciuta dagli altri interlocutori istituzionali, in uno spirito di reciprocità anche se non di parità, ma anche per esercitare al meglio la funzione che la Costituzione le assegna? Anna Villari lo ha chiesto al costituzionalista presente alla tavola rotonda.
Il prof. Antonio D'Andrea ha evidenziato come in realtà nella recente ipotesi di accordo fra Stato e Regioni le scuole non compaiano, nel senso che non troviamo il "minimo garantito" per l'autonomia delle scuole. È necessario allora costruire una rappresentanza delle istituzioni scolastiche che consenta una loro partecipazione al processo che si sta avviando. Ma seppure assente dal testo di accordo, l'autonomia non può essere compressa dal legislatore perché "è fatta salva". E tuttavia non possiamo tacere sul fatto che la formula presenta una sua intrinseca debolezza. Ecco perché, per eliminare questo altro elemento di complicazione, la proposta è che si faccia opera di "pulizia" e si cambi semplicemente il testo costituzionale eliminando la parola istruzione dalla legislazione concorrente e riconducendo l'istruzione stessa interamente alla norma generale. E per la chiarezza del concetto di autonomia, il suggerimento del prof. D'Andrea è che debba esplicitarsi che essa è uguale a libertà ma non a omogeneità. Da questo punto di vista i LEP non hanno nulla a che vedere con l'autonomia che può essere di due tipi per le scuole: organizzare ciò che si deve insegnare o individuare ciò che si deve insegnare. In ogni caso occorrono i trasferimenti certi per fare queste cose che la legge consegna come compiti delle scuole.
Apprendistato e obbligo scolastico: quali prospettive?
Nel corso della tavola rotonda sono state poste dal pubblico alcune domande sul tema dell'autonomia e del dimensionamento, ma anche su apprendistato e obbligo scolastico.
Stella Targetti ha risposto sostenendo che c'è un evidente parallelismo tra la legge Bassanini (Legge 59/97) sul decentramento amministrativo e il regolamento dell'autonomia scolastica (DPR 275/99); purtroppo entrambe non si sono completamente realizzate. Risulta ora più che mai necessario portarle a termine. La Regione Toscana attuando il Titolo V della Costituzione si muove nel quadro di tali norme facendosene garante. Consapevole della necessità di agire sugli organici per una vera realizzazione dell'autonomia, dichiara inoltre di aver chiesto un tavolo con il Ministro Profumo per discutere delle criticità sugli organici, specialmente dei collaboratori scolastici.
Riguardo all'apprendistato e alla legge che permette di terminare l'obbligo scolastico a 15 anni, consentendo di svolgere l'ultimo anno nel mondo del lavoro, l'Assessore spiega che il tema è stato al centro di un acceso dibattito in Conferenza Stato/Regioni e che la sintesi trovata è la migliore possibile anche se permette a regioni come la Lombardia di attuare appieno la norma abbassando, di fatto, il limite dell'obbligo. Sottolinea, infine, che da tenere presente è il tema della dispersione scolastica: il problema stringente è quello di tenere i ragazzi a scuola e la Regione Toscana può avere un ruolo nel cercare soluzioni possibili (innovazione, modelli didattici...) e conclude ribadendo che solo sul territorio, in un'ottica di decentramento amministrativo e reale sussidiarietà, potranno essere trovate soluzioni credibili ed efficaci.Maria Filomena Fotìa ha riferito che il gruppo di lavoro al MIUR, di cui lei fa parte, sta lavorando da mesi su un progetto di lotta alla dispersione nelle regioni "convergenza". Ci vuole una revisione del modello di scuola, in particolare per le regioni meridionali. Occorre anche ripensare all'obbligo scolastico senza abbassarlo.
Sulle forme di rappresentanza, Fotìa ha anche sostenuto che il MIUR deve fare la sua parte per offrire spazi di partecipazione al mondo della scuola.