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Martedì 25 febbraio 2014 si è aperto a Bologna il convegno nazionale annuale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL organizzato in collaborazione con l’Associazione professionale Proteo Fare Sapere.
Quest’anno il tema è particolarmente stimolante: Leadership partecipata: la dirigenza scolastica tra didattica ed organizzazione un tema che attraversa da parecchio tempo il dibattito culturale e professionale di tutto il mondo della scuola.
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Prima sessione
I lavori della mattinata sono stati aperti da Antonino Titone, organizzatore del Convegno e membro della Struttura nazionale del comparto dei dirigenti scolastici della FLC CGIL, e presieduti da Isabella Filippi, Presidente di Proteo Fare Sapere dell’Emilia Romagna.
Sono state illustrate le idee guida sulle quali è stata costruita la due-giorni di Bologna: il confronto dialettico tra i modelli di governance della scuola, i diversi modi di interpretare l’autonomia scolastica e la dirigenza scolastica, la stretta correlazione tra le politiche educative e l’apprendimento degli studenti, il coinvolgimento e la partecipazione alle decisioni che sollecita la corresponsabilità di docenti ed ATA nella preparazione dell’ambiente migliore per l’apprendimento, la gestione partecipata delle scuole considerata non solo come opportuna ma anche come quella potenzialmente più efficace per il modello organizzativo, l’organizzazione vista non più in contrapposizione con la didattica ma come condizione per favorire la didattica.
Problemi e prospettive che devono fare i conti con il taglio delle risorse umane ed economiche, il dimensionamento, le professionalità sempre meno curate.
I contenuti del tema del convegno sono stati affrontati subito nella relazione di apertura di Gianni Carlini, coordinatore nazionale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL, il quale in modo analitico e partecipato ha rappresentato la situazione preoccupante in cui versa la scuola pubblica statale nel nostro Paese ma anche gli appuntamenti più importanti ed impegnativi che aspettano la scuola ed i dirigenti nell’immediato futuro.
Ha ricordato come il Convegno annuale dei dirigenti scolastici sia sempre stato un momento importante per riaccendere ed alimentare la speranza di un cambiamento, per dare senso al lavoro nella scuole. Ha evidenziato lo stretto rapporto tra autonomia delle scuole e ruolo del dirigente scolastico con la sua funzione di promozione e sviluppo della capacità delle scuole di rispondere ai diversi bisogni educativi, di istruzione e formazione delle persone e delle comunità: il cuore della funzione della dirigenza scolastica sta nella ricerca di miglioramento realizzata attraverso l’innovazione dei modelli didattici ed organizzativi, la valutazione delle scelte effettuate e la rendicontazione ai portatori di interesse interni ed esterni.
La discussione nasce dal bisogno di indagare quale sia oggi il modo giusto di operare, nelle condizioni in cui vivono i dirigenti e la scuola pubblica, affinché una leadership partecipata sia praticabile e praticata. Ha quindi analizzato la pesante condizione professionale dei dirigenti scolastici: le scuole sono cresciute di dimensione e di complessità in conseguenza delle politiche di riduzione della spesa pubblica comportando maggiori carichi di lavoro per i dirigenti scolastici; ogni iniziativa di legge o dell’Amministrazione ha aumentato i carichi di lavoro e le responsabilità per i dirigenti indotti a credere che così si andava verso un maggior prestigio professionale e che più la scuola veniva inserita nel sistema amministrativo pubblico, senza tener conto delle sue esigenze e specificità, più si sarebbero ridotte le differenze con gli altri dirigenti pubblici sia nell’esercizio dei poteri sia nelle retribuzioni. Dopo il Contratto siglato nel luglio 2010 i dirigenti scolastici hanno visto una progressiva diminuzione della loro retribuzione contrattuale; i dirigenti scolastici diminuiti da 10.630 dell’a.s. 2008-2009 a 7.472 dell’a.s. 2013-2014, sono pagati di meno anche se lavorano di più per gestire lo stesso sistema scolastico con scuole di maggiori dimensioni e complessità : la minor retribuzione diminuisce il valore del loro lavoro, non riconosce la loro professionalità e colpisce il loro reddito.
Che la condizione professionale dei dirigenti scolastici sia pesante lo prova il disagio espresso soprattutto da coloro che hanno cominciato questo lavoro negli ultimi due anni : mai si era registrato un numero così alto di richieste di tornare alla professione docente da parte di dirigenti, quasi esclusivamente donne, che hanno vinto l’ultimo concorso. L’Amministrazione ha dato pessime risposte al disagio dei nuovi dirigenti che hanno scoperto di dover fare un lavoro del tutto diverso da quello che si aspettavano e per il quale si erano preparati molto seriamente. Invece di fornire loro adeguati supporti l’Amministrazione li ha continuamente distolti dal loro lavoro molestandoli con continue richieste burocratiche e con una formazione inutile rispetto ai loro bisogni.
Nulla è diminuito della grande quantità di adempimenti e obblighi scaricati sulle scuole; anzi si è aggiunto qualcosa a cominciare dall’applicazione della normativa sull’anticorruzione e sulla trasparenza.
Le prospettive per il futuro: sono due anni che le scuole e i dirigenti scolastici vivono in uno stato di perenne precarietà ed incertezza sull’entità dei fondi del Miglioramento dell’Offerta Formativa, nell’impossibilità di programmare e realizzare non solo le necessarie innovazioni ma persino le attività ordinarie: in una scuola senza le risorse per pagare il lavoro di migliaia di docenti e personale ATA che assicurano il funzionamento delle scuole sembrerebbe non avere alcun senso parlare di autonomia e di leadership partecipata. Noi crediamo invece che sia possibile tornare indietro e ricreare le condizioni per rendere praticabile e praticata una leadership partecipata della scuola pubblica statale, quella che serve perché la scuola funzioni e progredisca. È necessario che siano restituite le risorse tolte alla scuola in questi anni, che si torni ad investire per il suo sviluppo, e che sia riaperta la discussione su tutte le professioni della scuola in tutti i campi compresi quello etico-professionale, quello normativo, relativo alla governance e soprattutto quello contrattuale.
Sul dirigente scolastico grava la responsabilità di promuovere lo sviluppo di una leadership che realizzi le funzioni affidate alla scuola autonoma e ai suoi organi, ma l’obiettivo del consolidamento di una leadership efficace non può essere un obiettivo del solo dirigente scolastico; perché essa si realizzi è indispensabile che tutti i componenti della comunità scolastica possano assumere le responsabilità e gli impegni necessari. Il tema della leadership partecipata interroga quindi i docenti e il personale ATA prima ancora che il dirigente scolastico; una leadership non può essere partecipata, né condivisa, né tanto meno diffusa in assenza dei soggetti che intendono e possono partecipare. La leadership partecipata non può che emergere nei processi di interazione tra gli individui . Invece il profilo professionale dei docenti, come emerge dal CCNL, è esclusivamente riferito all’insegnamento e non prevede l’assunzione di una responsabilità di cooperazione alla gestione condivisa della vita della comunità. Mentre nel CCNL della dirigenza scolastica è previsto l’obbligo nella gestione della comunità educativa, nel CCNL scuola per i docenti si trova solo il riferimento all’attività di insegnamento e alle attività funzionali.
Leggi la relazione introduttiva di Carlini
Dopo i saluti istituzionali da parte di Francesca Ruocco della CGIL di Bologna e da parte dell’ing. Stefano Versari Direttore Generale dell’USR Emilia Romagna, la mattinata è proceduta con la relazione di Roberto Serpieri dell’Università degli Studi Federico II di Napoli dal titolo “Leadership democratica e distribuita.
Premesso che la questione del profilo del dirigente scolastico in Italia è legata alla questione valutazione, ha cercato di rispondere alla domanda “leadership democratica o management distribuito?” e si è soffermato sulla complessità e sulle responsabilità del dirigente scolastico, tanto che in Inghilterra sono in pochi a rispondere all’appello “cercansi dirigenti scolastici”. Ha trattato quindi l’importanza del clima relazionale e sociale della scuola, dimostrando che la scuola italiana è una scuola di più poveri.
La sua è stata una relazione ricca di provocazioni, anche in contrapposizione al tema del convegno, e di spunti di approfondimento e riflessione.
Vai alla relazione e alle slide di Serpieri
Ha completato i lavori della mattinata il Dirigente Tecnico del MIUR Giancarlo Cerini relazionando sul tema “La scuola come luogo di apprendimento: contesto, organizzazione e comunità professionale”.
Ha precisato che le sue considerazioni sono il frutto dei contatti quotidiani che lui ha con i dirigenti scolastici ed ha apprezzato la leadership facilitativa, orientata all’apprendimento, verso il perimetro del fare scuola, nelle aule, nei corridoi, attorno alla scuola, quella leadership che fa crescere la propria comunità.
La scuola italiana di oggi è il frutto amaro di 15 anni di autonomia stretta tra razionalizzazione della spesa pubblica, crisi finanziaria e crisi di fiducia.
Ha riferito che anche in Europa il profilo del Capo d’Istituto è orientato alla leadership educativa, partecipata; non funziona “un uomo solo al comando”, non funziona il leaderismo carismatico. Anche in Germania è apprezzata la capacità del dirigente di far crescere i propri docenti, di valorizzare i ruoli intermedi, a cominciare dal vice preside.
In Italia il dirigente scolastico deve essere negoziatore, uomo pubblico, capace di continue relazioni con l’arena della scuola, abile nel tenere insieme e nel garantire la tenuta. Citando Romei, ha detto che il dirigente scolastico deve saper essere “cantastorie”, celebratore di quello che si fa a scuola. Anche se una parte del profilo appartiene alla dirigenza pubblica, il dirigente scolastico deve essere “costruttore di comunità”, “attrattore di fiducia”, deve saper scegliere dalla valigetta costituita dall’art. 25 del DLgs 165/01 gli strumenti più adatti.
È necessario tenere le luci accese sulle 42.000 scuole italiane,presidio della vita democratica e civile, dove si rimettono in gioco i saperi e si trasmettono i saperi.
Ha illustrato il quadro d’insieme con cui si deve misurare il dirigente scolastico.
Il dirigente scolastico non è un capoufficio . Non si può mettere tutto sulle spalle sulle spalle del dirigente scolastico: c’è una comunità professionale, è necessario far crescere tutti, che tutti si sentano partecipi di un’impresa.
Parlando della responsabilità dei risultati, ha chiarito cosa sono i risultati degli allievi; sulle prove INVALSI ha affermato che le scuole intelligenti sono meno condizionate da esse.
La valutazione non può consistere in quello che si fa 2 giorni all’anno: cosa si fa negli altri 198 giorni?
La maggior parte delle scuole sono diventate istituti comprensivi per caso: manca il modello organizzativo-didattico; non si presta l dovuta attenzione al “tempo”, con settimane corte e conseguente accatastamento di ore di lezioni nella fascia antimeridiana.
Le competenze dovrebbero essere il frutto della costruzione dell’ambiente di apprendimento, il risultato del lavoro in classe, dei processi cognitivi, affettivi e relazionali attivati.
Toccato il rapporto tra dirigente scolastico e risorse (delle quali va senz’altro aumentata la consistenza), ha concluso definendo le risorse di cui ha bisogno una buona scuola: Risorse semplici (organici, spazi, edilizia funzionanti), Risorse composte (ordinamenti, cicli, curricolo nazionale, norme, strumenti giuridici, strumenti di valutazione..) e Risorse complesse (fiducia, reciprocità, motivazione).
Seconda sessione
I lavori del pomeriggio sono proseguiti con l’intervento di Antonio Bettoni, Presidente di Proteo Fare Sapere, che ha ripreso le ragioni del Convegno e ha lanciato la proposta di percorsi sperimentali per la costruzione di condizioni organizzative volte a dare alla scuola dell’autonomia gambe per camminare.
È seguita la relazione di Antonio Valentino, Componente del Comitato Tecnico Scientifico di Proteo Fare Sapere, sul tema “Gli insegnanti nell’organizzazione della scuola” che ha ripreso e articolato la proposta di Antonio Bettoni sul ruolo dei docenti in una organizzazione della scuola centrata sulla leadership educativa diffusa. Messe a confronto le due visioni della dirigenza scolastica a cavallo degli anni 2000, una centrata sull’enfatizzazione del ruolo dirigenziale l’altra sulla valorizzazione delle professionalità, ha affrontato l’idea della leadership educativa diffusa e del dibattito internazionale che attorno ad essa si è sviluppato. L’idea di leadership diffusa contempla necessariamente il coinvolgimento in primo luogo dei docenti, membri di una squadra, corresponsabili del suo funzionamento didattico e dei suoi risultati; quindi di una diversa collocazione degli insegnanti nell’organizzazione complessiva e nei rapporti col dirigente scolastico.
Ne consegue l’idea di scuola come comunità di pratica, come organizzazione che apprende.
Ha illustrato poi una configurazione operativa, una ipotesi non astratta, di una leadership educativa diffusa che coinvolge col dirigente scolastico figure come le funzioni strumentali, il DSGA e le altre figure di coordinamento, presidio e collaborazione; si è soffermato sui problemi di fattibilità e di contraddittorietà.
Ha concluso con un focus sul dirigente scolastico, sul suo profilo rivisitato in un modello di leadership educativa diffusa, sulla sua funzione di coordinamento tendente alla costruzione di un clima interno fatto di affiatamento e di uno stile di lavoro che faciliti la produttività e ad un sistema decisionale che coinvolga tutti gli attori nelle scelte che contano e che hanno ricaduta organizzativa. Si è soffermato su alcune parole chiave quali “coordinamento”, “esserci”, “intelligenza emotiva” ed ha indicato le qualità indispensabili ad un dirigente scolastico: equilibrio, capacità di autogestirsi, ascolto attivo. Ha concluso prefigurando la scuola come impresa collettiva e come attività integrata impegnata a superare separatezze, isolamento, individualismi, protagonismi non funzionali.
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Tavola rotonda
Nella seconda parte del pomeriggio si è svolta una tavola rotonda molto seguita ed apprezzata sul tema “Le responsabilità diffuse a livello di scuola” coordinata da Antonino Titone.
Hanno preso parte ad essa il prof. Antonio Cocozza Presidente del Corso di laurea in Formazione e Sviluppo delle risorse umane del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre; Beppe Bagni docente e Presidente nazionale del CIDI; Giuseppe Menditti Direttore SGA del Veneto; Emanuela Zoia Dirigente scolastica del Piemonte.
Il Prof. Cocozza, esperto anche in sociologia delle organizzazioni, ha descritto il passaggio da Capo di istituto a leader educativo ed ha illustrato le caratteristiche organizzative del sistema scolastico in Italia: norma (sarebbe necessario un testo unico aggiornato della legislazione scolastica) e legami deboli. Ha spiegato che una istituzione diventa organizzazione quando ci sono valori condivisi. Si è soffermato sui rapporti del dirigente scolastico con gli organi collegiali equiordinati (Collegio, consiglio d’istituto) e con la RSU ed ha evidenziato la sovrapposizione di competenze tra le due figure create nel 2000, Dirigente scolastico e RSU, e Consiglio di istituto e Collegio, nati nel 1974. Tutti nella scuola dovrebbero avere anche una cultura gestionale; per questo il dirigente scolastico dovrebbe creare le condizioni perché tutti diano il proprio contributo. Bisognerebbe pensare a ruoli differenziati, a differenziazione di carriera, ad una vera incentivazione (il tempo del volontarismo è finito). Non si possono valutare risultati individuali; il risultato di un docente consiste nell’apporto di una persona in una logica di gruppo. La sfida consiste allora nel fare della scuola una casa di vetro; nessuno si salverà da solo. La scuola ha bisogno di docenti eticamente responsabili: quanto più migliora la responsabilità degli attori tanto più miglioreranno le prestazioni.
Beppe Bagni ha definito la scuola come luogo di confronto tra diverse responsabilità; ha quindi usato la metafora del medico per rappresentare il docente: il medico in equipe non può ignorare il lavoro degli altri mentre l’insegnate spesso pretende di svolgere il ruolo di Napoleone. Il lavoro dei docenti è diventato sempre più individuale ed individualista; la scuola non ha veri professionisti dell’educazione. Appena il docente entra in ruolo smette di studiare, di apprendere. La scuola si può definire così una comunità educante? Il dirigente scolastico sta gestendo il timone? È necessario creare forze di campo per spostare l’apprendimento degli alunni, rivedere profondamente l’organizzazione scolastica, rinforzare il carattere e l’autonomia del docente. C’è assenza di autonomia e di responsabilità ai vari livelli. La scuola deve diventare luogo di ricerca. È cosa da bambini pensare di orientare la macchina ferma della scuola con le prove INVALSI; bisogna accendere il motore della scuola, ai diversi livelli di responsabilità ed autonomia. Non può essere definita leadership condivisa quella di un dirigente scolastico che si circonda di dodici megafoni.
Giuseppe Menditti, per sottolineare i continui cambiamenti che si sono scaricati sulla scuola, ha ricordato che lui ha dovuto cambiare 4 timbri: da quello di segretario a quello di coordinatore amministrativo, a quello di responsabile amministrativo ed infine a quello di direttore dei servizi generali ed amministrativi. L’autonomia che doveva essere linfa generativa e stimolo per le istituzioni scolastiche è stata invece avvertita come fai da te, casualità, progettificio; ha creato un sovraccarico di adempimenti amministrativi; solo eccezionalmente è stata vista come occasione di protagonismo, coinvolgimento e motivazione per tutto il personale. Le risorse umane ed economiche, sempre più ridotte, hanno rincorso e rincorrono il decentramento ed il trasferimento di compiti dagli uffici scolastici territoriali alle singole istituzioni scolastiche. Anche con la dematerializzazione, col tutto on-line, scarica ancora una volta le criticità del lavoro (mancata formazione, assenza di procedure e software specifico) sulle segreterie scolastiche. Altro aggravio di lavoro e di spesa è costituito dagli adempimenti del DLgs 33/2013 con gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione ai quali le istituzioni scolastiche non sono pronte. Ha concluso evidenziando come nel processo di decentramento e aggiornamento dei processi lavorativi ciascuna scuola debba avere risorse e competenze per affrontare i nuovi livelli di complessità progettuale, gestionale, e di responsabilità che non possono prescindere dalla valorizzazione professionale di tutti i lavoratori a cominciare da veri percorsi formativi.
Emanuela Zoia si è soffermata sulla falsa contrapposizione organizzazione-didattica e sull’obiezione che spesso viene sollevata al tavolo contrattuale sui fondi destinati all’organizzazione. Una scuola che fa buona didattica è una scuola bene organizzata. Una buona scuola non è fatta di buoni insegnati ma di buoni gruppi di insegnanti; funziona bene per pratiche educative, non per sole pratiche. Ha affermato che come dirigenti scolastici della FLC CGIL non possiamo vedere la governance della scuola che nella leadership partecipata, diffusa. Per quanto riguarda invece le scelte condivise ci vuole tempo e tanta capacità di ascolto; si va avanti per tentativi ed errori.
Dopo alcuni interventi dei numerosi partecipanti presenti, ha ripreso la parola il prof. Cocozza ribadendo che dalle funzioni e complessità diverse all’interno delle scuole è necessario arrivare alla condivisione. La leadership educativa è partecipativa; quella democratica richiama la democrazia politica (una testa, un voto) ma non può essere così nella relazione di lavoro dove serve la partecipazione. Una buona scuola è fatta da buoni studenti che devono essere messi al centro dal dirigente scolastico, dai docenti e dal personale ata.
Anche Beppe Bagni ha replicato sottolineando l’importanza dell’autonomia dei diversi ruoli; vanno incrociati i diversi punti di vista. Per far diventare la scuola comunità educante sono necessari organici funzionali e flessibilità orarie. Bisogna passare dall’essere connessi all’essere in contatto. È vero, ci vuole tempo per costruire un pensiero condiviso; ma le cose più veloci sono le esplosioni che non sono controllabili.
Giuseppe Menditti ha voluto aggiungere che la trasparenza richiede organizzazione e che il MIUR finora non ha fornito alcun supporto né alcun tipo di formazione alle scuole.
Emanuela Zoia ha evidenziato che la scuola, nonostante tutte le difficoltà di non adeguate risorse umane ed economiche e le molestie a cui è sottoposta, è migliore di quello che sembra. Ha ribadito che nell’incrociare i diversi punti di vista di chi lavora nella scuola è necessario incrociare anche quelli degli studenti. Ha concluso che le scuole devono sviluppare maggiormente l’autovalutazione.